Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado.
La formulazione dell’atto d’appello che esige l’individuazione di un “percorso logico alternativo a quello del primo giudice non si traduce in un “progetto alternativo di sentenza”, in quanto il richiamo, contenuto nei citati artt. 342 e 434, alla motivazione dell’atto di appello non implica che il legislatore abbia inteso porre a carico delle parti un onere paragonabile a quello del giudice nella stesura della motivazione di un provvedimento decisorio, atteso che quello che viene richiesto è che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perchè queste siano censurabili.
Questi i principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, Pres. Rordorf. Rel. Cirillo con la sentenza n. 27199 del 16.11.2017.
La vicenda processuale esaminata, che ha visto la Suprema Corte di Cassazione investita di una dirimente questione di diritto attinente all’esatta interpretazione dei contenuti minimi dell’atto di appello, trae spunto dal giudizio promosso da un utilizzatore avverso la società concessionaria del bene con cui aveva stipulato un contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto un’unità da diporto.
In particolare, essendo insorte alcune contestazioni in ordine all’esecuzione del contratto, su richiesta della società di leasing il Tribunale di Torino ha dapprima emesso decreto ingiuntivo per il mancato pagamento dall’utilizzatore di alcuni canoni del leasing e successivamente per effetto dell’opposizione promossa dall’Utilizzatore ha disposto la revoca del medesimo.
Avverso la suindicata statuizione la società concessionaria del leasing ha proposto appello che, tuttavia, la Corte ha dichiarato inammissibile ritenendo che il gravame non contenesse una, sia pur sintetica, disamina e confutazione delle molteplici argomentazioni poste a base della sentenza impugnata; pertanto, la società di leasing ha promosso ricorso per cassazione.
Con ordinanza interlocutoria la Terza Sezione Civile della S.C. ha chiesto alle Sezioni Unite di stabilire se: I. il giudizio d’appello richieda formule sacramentali o disponga la riprodurre della gravata decisione sebbene con un diverso contenuto; II. sia sufficiente o quantomeno necessaria, un’analitica individuazione chiara ed asauriente del quantum appellatum, circoscrivendo l’appello a specifici capi della sentenza impugnata nonchè ai passaggi argomentativi in punto di fatto o di diritto che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto opportuno ripercorrere i punti salienti dell’interpretazione delle norme sul contenuto dell’atto di appello fino alla riforma del 2012, osservando che nel sistema delle impugnazioni, il giudizio di appello ha carattere di revisio prioris instantiae piuttosto che quello di novum iudicium; si tratta, cioè, di un’impugnativa avverso la sentenza piuttosto che di un rimedio introduttivo di un giudizio sul rapporto controverso, allorché in esso la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante (anche incidentale) attraverso la prospettazione-deduzione di specifiche censure, senza che il giudice di secondo grado debba “ripetere” il giudizio di primo grado, rinnovando la cognizione dell’intero materiale di causa e pervenendo ad una nuova decisione che involga “tutti” i punti già dibattuti in prima istanza.
In tal senso, i Giudici di palazzo Cavour hanno ritenuto di aderire alle numerose pronunce emesse dal medesimo collegio circa l’inammissibilità dell’appello in ipotesi di violazione dell’art. 342 c.p.c., nonché l’inapplicabilità dell’art. 164 c.p.c., in termini di non sanabilità delle irregolarità formali attraverso la costituzione in giudizio dell’appellato, osservando che sebbene all’appellante sia richiesto di individuare in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum deve escludersi che il testo normativo successivo al D.L. n.83 del 2012 imponga alla parte di compiere le proprie deduzioni in una determinata forma, magari ricalcando la decisione impugnata ma con diverso contenuto, rilevando che l’impugnazione deve, per non essere inammissibile, offrire una “ragionata e diversa soluzione della controversia rispetto a quella adottata dal primo giudice”.
In particolare la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado”.
Alla luce delle suesposte argomentazioni la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha accolto il ricorso promosso dalla società di leasing cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione personale, anche per le spese del giudizio di cassazione
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
APPELLO: INAMMISSIBILE IL GRAVAME PRIVO DI CENSURE SPECIFICHE ED ADEGUATE
IL DIFETTO DI SPECIFICITÀ DELLA MOTIVAZIONE È RILEVABILE ANCHE D’UFFICIO
Sentenza | Corte d’Appello di Catanzaro, sez. terza, Pres. C. De Martin – Rel. M. R. Di Girolamo | 07.01.2016 | n.12
APPELLO: NESSUNA PRECLUSIONE PER LA PRODUZIONE IN ORIGINALE DELLA COPIA GIÀ DEPOSITATA IN PRIMO GRADO
COSTITUISCE MERA REGOLARIZZAZIONE FORMALE DI UNA PRODUZIONE PREGRESSA
Sentenza | Cassazione civile, sez. prima, Pres. Di Palma – Rel. Bernabai | 26.01.2016 | n.1366
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno