ISSN 2385-1376
Testo massima
Il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità o l’inesistenza di un contratto, in base all’articolo 1421 del codice civile, va coordinato con il principio della domanda fissato dagli articoli 99 e 112 del codice di procedura.
Pertanto, se è in contestazione l’applicazione o l’esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice può rilevarne la nullità in qualsiasi stato e grado del giudizio, indipendentemente dall’attività assertiva delle parti.
Se, invece, la contestazione attiene direttamente all’illegittimità dell’atto, una diversa ragione di nullità non può essere rilevata d’ufficio, né può essere dedotta per la prima volta in grado d’appello, trattandosi di domanda nuova e diversa da quella ab origine proposta dalla parte.
Il principio di diritto è stato così specificato dalla Corte di Cassazione, I sezione civile, presidente dr. Forte Fabrizio, con sentenza n. 24159 del 30 settembre 2014.
Materia del contendere era l’esistenza di un patto scritto limitativo della concorrenza, mediante il quale una società si era impegnata a non commercializzare, neppure per il tramite di partecipazioni ad altre aziende, i beni prodotti da altra società per un periodo minimo di tre anni.
Successivamente, la prima società provvedeva a costituire rapporti di collaborazione con una terza impresa operante in Russia, pur essendo a conoscenza della contestuale presenza in quel mercato dell’altra parte con cui aveva stipulato il patto di non concorrenza.
Quest’ultima, ritenendosi danneggiata, proponeva ricorso ex art. 700 c.p.c., fondando le proprie ragioni sulla violazione della scrittura privata e richiedendo l’emissione di un’ordinanza cautelare che intimasse la cessazione degli atti di concorrenza sleale.
Il Tribunale accoglieva le ragioni della ricorrente, emetteva l’ordinanza ed in seguito confermava il provvedimento cautelare con sentenza di merito, condannando l’altra parte ad un risarcimento in denaro oltre al pagamento delle spese.
La parte soccombente in primo grado proponeva appello ed ivi risultava vittoriosa: il giudice di seconde cure dichiarava infatti la nullità assoluta del patto di non concorrenza per violazione dell’art. 2596 c.c., in quanto tale accordo non aveva previsto alcun limite territoriale alla propria operatività.
Il successivo ricorso per cassazione si fondava quindi sulla violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, essendosi l’atto di appello limitato a chiedere la nullità della scrittura per mancata determinazione dell’attività inibita e non con riferimento all’inesistenza di carattere territoriale.
La Suprema Corte ha però rigettato l’opposizione, precisando che, poiché la domanda di concorrenza sleale avanzata all’inizio traeva fondamento dalla violazione del patto di non concorrenza, la validità di tale atto è comunque il presupposto indispensabile per accertare la fondatezza della domanda.
Pertanto la nullità del patto medesimo può validamente essere rilevata dal giudice d’ufficio, in qualunque stato e grado del giudizio.
La Cassazione ha quindi confermato la sentenza di appello e condannato la ricorrente all’integrale pagamento delle spese.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 3/2014