ISSN 2385-1376
Testo massima
La parte, alla quale sia stato notificato l’appello principale, ove intenda proporre appello incidentale tempestivo, deve comunque osservare i termini di cui agli art. 325 e 327 c.p.c.; sicché, nel caso in cui l’appello principale sia stato notificato in prossimità della scadenza dei termini medesimi, allo scopo di evitare la eventuale sanzione di inefficacia di cui all’art. 334, secondo comma, c.p.c., per il caso in cui volontariamente o involontariamente l’appellato principale (omettendo di costituirsi in giudizio o determinandone comunque le relative condizioni) avesse poi dato luogo ad una causa di inammissibilità o improcedibilità della propria impugnazione può alternativamente procedere:
(a) alla iscrizione a ruolo della causa depositando la propria comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale entro la scadenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c.;
(b) proporre comunque la sua impugnazione con citazione notificata entro lo stesso termine.
E’ quanto si legge nella sentenza n. 7519 della Corte di Cassazione, terza sezione civile , del 01/04/2014.
La vicenda in esame concerne il tema assai delicato dei termini previsti dal nostro ordinamento per proporre appello incidentale. Oggetto di ricorso dinanzi alla Suprema Corte, infatti, è proprio la presunta tardività di un appello incidentale, come proposto dall’odierna ricorrente.
Ebbene, già la Corte d’appello distrettuale, presso la quale si era celebrato il giudizio di secondo grado, aveva rilevato sul punto che pur essendo stato, “l’appello incidentale proposto nel termine di cui all’art. 343 c.p.c. esso era stato comunque proposto dopo lo spirare del termine di cui all’art. 325 c.p.c. Né, poteva, in tal caso, invocarsi il beneficio dell’impugnazione tardiva, di cui all’art. 334 c.p.c., perché quella da essa proposta era una impugnazione autonoma e non dipendente, diretta a tutelare un interesse dell’impugnazione non scaturito dall’impugnazione principale”.
Ciò posto, l’appellante proponeva ricorso per cassazione, ivi denunciando l’errore dei giudici di merito, i quali avrebbero erroneamente ritenuto tardivo il suo appello incidentale, per violazione del termine c.d. “breve” di cui all’art. 325 c.p.c. (30 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado). In particolare, la parte ricorrente eccepiva che la sentenza di primo grado non le era mai stata validamente notificata, e pertanto, il termine breve citato, cui all’art. 325 c.pc., non era mai iniziato a decorrere. Anche a voler ritenere, però, che tale provvedimento fosse stato validamente notificato, “il suo appello non poteva comunque dirsi tardivo” sulla base dell’assunto per cui al fine di qualificare un appello incidentale come “tempestivo“, non rileva il rispetto o meno del termine di cui all’art. 325 c.p.c. (30 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado), ma unicamente il rispetto del termine di cui all’art. 343 c.p.c. (costituzione in giudizio venti giorni prima dell’udienza)”e ciò in quanto:
“(a) l’art. 333 c.p.c stabilisce il principio per cui, dopo che sia stata proposta la prima impugnazione, tutte le altre debbono assumere la forma dell’appello incidentale;
(b) l’appello incidentale si propone mediante costituzione in cancelleria venti giorni prima dell’udienza, ai sensi dell’art. 343 c.p.c.;
(c ) ergo, l’appello incidentale rispettoso del termine di cui all’art. 343 c.p.c. deve ritenersi “tempestivo”, a prescindere dal rispetto dei termine di cui cagli art. 325 e 327 c.p.c.“.
Orbene, tale tesi non è condivisa dagli Ermellini, che affermano, infatti , come due siano i termini che il sistema delle impugnazioni, previsto dal nostro ordinamento, pone a carico dell’impugnante incidentale, e cioè:
(a) un termine “ESTERNO”, cosiddetto perché preesistente alla proposizione di qualsiasi impugnazione, previsto dagli artt. 325 e 327 c.p.c.: si tratta di un termine di decadenza, cui la legge consente di derogare quando l’interesse all’impugnazione incidentale sorga dalla proposizione dell’impugnazione principale (art. 334 c.p.c.); la ratio di questo termine è garantire la certezza dei rapporti giuridici, in ossequio al tradizionale principio ne lites paene immortales fiant;
(b) un termine “INTERNO”, previsto dall’art. 343 c.pc.; non derogabile in alcun modo (salva ovviamente la remissione in termini di cui all’art. 153 c.cp.), e la cui ratio non è la certezza dei rapporti giuridici, ma la salvaguardia della parità processuale delle parti e del diritto di difesa dell’appellante principale, rispetto alle doglianze formulate con l’appello incidentale.
Ebbene, questi due termini sono tra loro complementari e non alternativi, ovvero legati da un nesso di implicazione unilaterale”.
“Infatti, ove non sia rispettato il termine per il deposito in cancelleria della comparsa contenete l’appello incidentale, di cui all’art. 343 c.p.c., l’appello è inammissibile ed a nulla rileverà che per l’appellante non sia ancora spirato il termine di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c. peraltro, è proprio questa (oltre a quella corrispondente dell’art. 371 c.p.c.) l’ipotesi cui si riferisce la decadenza di cui all’art. 333 c.p.c. , che non comporta tuttavia la invalidità di un appello comunque tempestivamente proposto”. “Non è, però vera la [situazione] reciproca, ossia una volta che siano spirati i termini di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c., l’appellato potrà ancora proporre il suo gravame incidentale, ma soltanto nelle forme dell’impugnazione tardiva di cui all’art. 334 c.p.c.”.
Orbene, a pensarla come sostiene la parte ricorrente si finirebbe per giungere ad una interpretatio abrogans dell’art.334 c.p.c.«Si consideri, infatti, che una volta proposta dall’appellante principale una impugnazione tempestiva, tutte le altre impugnazioni incidentali sarebbero tempestive anch’esse. Non potrebbe, dunque, mai verificarsi alcun caso in cui l’impugnazione principale sia tempestiva, ma per l’appellante principale sia spirato il termine per impugnare: non potrebbe, dunque, mai avverarsi la fattispecie processuale astratta delineata dall’art. 334 c.p.c. E poiché tra due interpretazioni alternative, l’interprete ha l’obbligo di preferire quella che garantisca alla norma di produrre effetti, piuttosto che quella che la priverebbe di ogni utilità, la tesi della ricorrente non può essere condivisa».
Ritiene, pertanto, la Suprema Corte che l’appello incidentale debba qualificarsi tardivo “se proposto dopo lo spirare dei termini di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c., a nulla rilevando che l’appellante incidentale si sia costituito nei termini di cui agli artt. 343 c.p.c“. Principio quest’ultimo, peraltro, affermato e ribadito in più occasioni dalla Suprema Corte. Si pensi, ad esempio alla sentenza della Sez. 3, n. 21745/2006 secondo cui le impugnazioni incidentali “possono essere proposte, in sede d’appello, con la comparsa di risposta (tempestivamente depositata) purché risulti rispettato il termine ordinario di trenta giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado”. (Anche Cass. Civ. Sez. 2 n. 6242/1993; Sez. 3 n. 2433/1988; Sez. L n. 1602/1984 e Sez. 1 n. 1302/1973).
Ulteriore conferma di suddetto principio si rinviene anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 11678/1990 , in cui si afferma che “tanto se siano stati proposti con il rispetto dei termini abbreviato o annuale appello e ricorso per cassazione incidentali devono osservare il termine di cui agli artt. 343 e 371, con la conseguenza che è ammissibile solo l’impugnazione tempestiva a norma degli artt. 325 e 327, che peraltro non abbia rispettato il termine di cui agli artt. 343 e 371“.
Non soltanto. Anche in dottrina si è più volte affermato che “il gravame incidentale proposto entro il termine di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c. è tempestivo perché è un gravame principale presentato in via iincidentale a norma dell’art. 33; quello proposto oltre questo termine è, indipendentemente dalla domanda di chi l’ha proposto, tardivo, e come tale, dipende dall’ammissibilità di quello principale“.
Orbene, se tutto ciò è vero, tanto basta ad affermare, con particolare riguardo al caso di specie, che <>.
A tal fine, aggiunge la Corte, la parte ricorrente, onde scongiurare il rischio in questione avrebbe potuto alternativamente: (a) procedere alla iscrizione a ruolo della causa depositando la propria comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale entro la scadenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c., ovvero (b) proporre comunque la sua impugnazione con citazione notificata entro lo stesso termine: impugnazione certamente ammissibile e destinata ad essere riunita e considerata a sua volta “incidentale” rispetto alla prima.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15241/2010 proposto da:
BANCA M. SPA (OMISSIS) in persona del Direttore Territoriale Retali di Messina Centro Est Dott. N.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DARDANELLI 13, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;
– RICORRENTE –
CONTRO
M.O. (OMISSIS), M.G.M. (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) con studio in MESSINA, VIA MAFFEI 5 giusto mandato a margine;
A. S.P.A. (OMISSIS) in persona dei procuratori Dr.ssa G.A. e Dr. C. A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce;
A.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SERRADIFALCO 7, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– CONTRORICORRENTI –
E CONTRO
UGC BANCA SPA (OMISSIS);
– INTIMATI –
avverso la sentenza n. 281/2009 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 14/04/2009, R.G.N. 1077/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/01/2014 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS)per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS)per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Nel 1991 due istituti di credito, la BANCA NL. S.P.A. e la BANCA M. S.P.A, chiesero ed ottennero dal Presidente del Tribunale di Messina un decreto ingiuntivo ciascuno, nei confronti del comune debitore sig. M. G..
2. Sulla base del decreto ingiuntivo rispettivamente ottenuto, i due istituti di credito iscrissero ipoteca su vari beni immobili ritenuti dei debitore.
3. In seguito a tale iscrizione i sigg.ri M.G.M. ed M.O. il 24.4.1991 convennero dinanzi al Tribunale di Messina la Banca NL e la Banca M., allegando di essere proprietari dei beni sui quali le due società avevano iscritto ipoteca, per averli acquistati in seguito alla divisione d’una comunione ereditaria.
Chiedevano perciò che fosse accertata l’invalidità dell’iscrizione ipotecaria.
4. Nelle more del processo, i sigg.ri M.G.M. ed M.O. convennero altresì in un separato giudizio sempre dinanzi al Tribunale di Messina il notaio A.A., allegando che questi aveva rogato l’atto di divisione della comunione ereditaria ed i successivi adempimenti pubblicitari, e che pertanto egli avrebbe dovuto tenerli indenni dalle pretese delle banche creditrici, ove mai la domanda di nullità dell’ipoteca fosse stata rigettata.
5. Il notaio A.A. si costituì chiedendo il rigetto della domanda e, in subordine, di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore della responsabilità civile, la RAS s.p.a., che provvedeva a chiamare in causa. Anche la RAS – la quale successivamente ha mutato ragione sociale in Allianz s.p.a. – si costituì chiedendo il rigetto della domanda principale.
6. Riuniti i due giudizi, con sentenza del 26.6.2003 il Tribunale di Messina accolse la domanda.
La sentenza venne impugnata sia dalla M., sia dalla società UGC s.p.a. la quale dichiarò di agire nella veste di mandataria della Banca NL. La Corte d’appello di Messina, con sentenza del 14.4.2009 n. 281, dichiarò inammissibili gli appelli di ambedue gli istituti di credito.
L’appello principale della UGC venne dichiarato inammissibile perchè la società appellante non aveva fornito la prova della propria qualità di rappresentante della Banca NL. L’appello della Banca M. venne invece dichiarato inammissibile perchè tardivo.
Secondo la Corte d’appello, infatti, pur avendo la Banca M. proposto l’appello incidentale nel termine di cui all’art. 343 c.p.c., esso era stato comunque proposto dopo lo spirare del termine di cui all’art. 325 c.p.c.. Nè la Banca M. avrebbe potuto invocare il beneficio dell’impugnazione tardiva, di cui all’art. 334 c.p.c., perchè quella da essa proposta era una impugnazione autonoma e non dipendente, diretta a tutelare un interesse dell’impugnante non scaturito dall’impugnazione principale.
7. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Banca M., sulla base di cinque motivi.
Hanno resistito con controricorso i sigg.ri M.G.M. ed M.O., A.A. e la RAS s.p.a., ciascuno eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso principale.
La UGC, ritualmente intimata, non si è difesa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il PRIMO MOTIVO di ricorso.
1.1. Con PRIMO MOTIVO del suo ricorso la società M. lamenta che la sentenza impugnata sia incorsa nel vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
Le norme violate sono indicate negli artt. 333, 334 e 343 c.p.c..
Il motivo si articola in due profili.
1.2. Sotto un primo profilo, la M. deduce che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto tardivo il suo appello incidentale, per violazione del termine c.d. “breve” di cui all’art. 325 c.p.c. (30 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado).
Infatti, poichè la sentenza di primo grado non le era mai stata validamente notificata, il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., non era mai iniziato a decorrere.
1.2. Sotto un secondo profilo, la M. allega che in ogni caso, anche a volere ritenere validamente notificatale la sentenza di primo grado, il suo appello non poteva essere ritenuto tardivo.
Infatti la parte cui sia notificato l’appello principale può proporre la propria impugnazione incidentale nella comparsa di costituzione e risposta, depositata venti giorni prima della prima udienza, ai sensi dell’art. 343 c.p.c., termine che nel caso di specie era stato rispettato.
Pertanto, conclude la M., al fine di qualificare come “tempestivo” l’appello incidentale non rileva il rispetto o meno del termine di cui all’art. 325 c.p.c. (30 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado), perchè quel che rileva è unicamente il rispetto del termine di cui all’art. 343 c.p.c. (costituzione in giudizio venti giorni prima dell’udienza).
1.3. Subordinatamente al rigetto delle doglianze appena esposte, la M. chiede a questa Corte di sollevare incidente di legittimità costituzionale degli artt. 333, 334 e 343 c.p.c., con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost..
Espone, al riguardo, la ricorrente che se si ritenesse l’impugnazione incidentale tempestiva solo se abbia rispettato i termini di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c., come ha fatto la Corte d’appello, verrebbe violato l’art. 3 cost., perchè gli appellati per i quali il termine per impugnare non sia spirato si troverebbero in una posizione più svantaggiosa rispetto a quelli per i quali il suddetto termine sia spirato: questi ultimi, infatti, beneficerebbero del termine di cui all’art. 334 c.p.c.; i primi invece no.
L’interpretazione della Corte d’appello, inoltre, secondo la ricorrente contrasterebbe anche con l’art. 24 Cost., perchè priverebbe l’appellato di un adeguato termine per preparare la propria difesa.
1.4. L’eccezione di inammissibilità del motivo per inadeguatezza del quesito, sollevata dalla RAS s.p.a., va rigettata.
Il quesito formulato a pag. 14 del ricorso coglie infatti esattamente il punctum pruriens agitato nel motivo, e cioè se sia o meno da ritenere “tardivo” l’appello incidentale proposto dopo lo scadere del termine di cui all’art. 325 c.p.c., ma prima dello scadere del termine di cui all’art. 343 c.p.c..
1.5. Nel merito, tuttavia, il motivo è infondato in tutti i suoi profili. La Corte d’appello ha accertato in fatto che:
(a) la sentenza del Tribunale venne notificata alla M. il 13.10.2003;
(b) da tale data è iniziato a decorrere per la M. il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., spirato il 12.11.2003;
(c) la M. ha proposto appello incidentale con comparsa di costituzione e risposta depositata il 24.1.2004.
1.6. Al cospetto di questi fatti va, innanzitutto, rilevata l’infondatezza del primo profilo del motivo di ricorso in esame, col quale si lamenta il vizio di notifica della sentenza di primo grado.
Dall’esame degli atti, consentito dalla natura processuale del vizio denunciato, si rileva che la sentenza di primo grado, allegata in copia sia nel fascicolo dei controricorrenti M., sia nel fascicolo della stessa Banca M., fu notificata ad istanza di “sig.a M.G. + 1” alla “banca M. s.p.a. presso il suo procuratore costituito, avv. (OMISSIS) nel domicilio eletto in (OMISSIS)”.
Segue la relazione di notificazione dalla quale si apprende che la consegna dell’atto è avvenuta “a mani della segretaria V.” il 13.10.2003.
La notifica della sentenza di primo grado alla M. fu dunque valida ed efficace, e da essa iniziò a decorrere il termine breve per impugnare, inutilmente spirato il 12.11.2003.
1.7. Essendosi nondimeno la M. tempestivamente costituita nel giudizio d’appello, occorre ora stabilire se la sua impugnazione incidentale debba essere qualificata come “tempestiva” o “tardiva”.
La questione rileva perchè nel primo caso l’appello incidentale della M. sopravvivrebbe alla declaratoria di inammissibilità dell’appello della UGC; nel secondo caso invece l’impugnazione della M. perderebbe in ogni caso efficacia per effetto della declaratoria di inammissibilità dell’appello principale, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2.
1.8. Secondo la società ricorrente, perchè un appello incidentale possa essere qualificato come “tempestivo” dev’essere rispettato un solo termine: quello dei venti giorni prima dell’udienza, di cui all’art. 343 c.p.c. (così il ricorso, pp. 11 e 13). Tale conclusione viene ricavata da un sillogismo così riassumibile:
(a) l’art. 333 c.p.c., stabilisce il principio per cui, dopo che sia stata proposta la prima impugnazione, tutte le altre debbono assumere la forma dell’appello incidentale;
(b) l’appello incidentale si propone mediante costituzione in cancelleria venti giorni prima dell’udienza, ai sensi dell’art. 343 c.p.c.;
(c) ergo, l’appello incidentale rispettoso del termine di cui all’art. 343 c.p.c., deve ritenersi “tempestivo”, a prescindere dal rispetto dei termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c..
1.9. La tesi, per quanto suggestiva, non può essere condivisa.
Infatti il sistema delle impugnazioni previsto dal codice di procedura civile pone a carico dell’impugnante incidentale l’onere di rispettare due termini: (a) un termine “esterno”, cosiddetto perchè preesistente alla proposizione di qualsiasi impugnazione, previsto dagli artt. 325 e 327 c.p.c.: si tratta di un termine di decadenza, cui la legge consente di derogare quando l’interesse all’impugnazione incidentale sorga dalla proposizione dell’impugnazione principale (art. 334 c.p.c.); la ratio di questo termine è garantire la certezza dei rapporti giuridici, in ossequio al tradizionale principio ne lites paene immortales fiant;
(b) un termine “interno”, previsto dall’art. 343 c.p.c.; non derogabile in alcun modo (salva ovviamente la rimessione in termini di cui all’art. 153 c.p.c.), e la cui ratio non è la certezza dei rapporti giuridici, ma la salvaguardia della parità processuale delle parti e del diritto di difesa dell’appellante principale, rispetto alle doglianze formulate con l’appello incidentale.
1.10. Questi due termini sono tra loro complementari e non alternativi, ovvero legati da un nesso di implicazione unilaterale.
Infatti, ove non sia rispettato il termine per il deposito in cancelleria della comparsa contenente l’appello incidentale, di cui all’art. 343 c.p.c., l’appello è inammissibile ed a nulla rileverà che per l’appellante non sia ancora spirato il termine di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c.. Peraltro, è proprio questa (oltre a quella corrispondente dell’art. 371 c.p.c.) l’ipotesi cui si riferisce la decadenza di cui all’art. 333 c.p.c., che, come si dirà, non comporta tuttavia la invalidità di un appello comunque tempestivamente proposto. Non è vera, però, la reciproca: una volta che siano spirati i termini di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c., l’appellato potrà ancora proporre il suo gravame incidentale, ma soltanto nelle forme dell’impugnazione tardiva di cui all’art. 334 c.p.c..
1.11. Depongono in tal senso i canoni ermeneutici dell’interpretazione sistematica, dell’interpretazione utile e dell’interpretazione costituzionalmente orientata.
1.11.1. Sotto il primo profilo (interpretazione sistematica) si è visto come gli artt. 325 e 327 c.p.c., da un lato, e l’art. 343 c.p.c., dall’altro, hanno rationes diverse: i primi due garantiscono la certezza dei rapporti giuridici, il secondo il diritto di difesa.
Questa eterogeneità dei fini impedisce di ritenere i termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c., “assorbiti” dalla previsione di cui all’art. 343 c.p.c., perchè l’esigenza di una sollecita definizione dei giudizi non viene meno sol perchè sia stato proposto un appello principale. Anche in questo caso, infatti, è necessario che le altre parti non appellanti prendano con solerzia le proprie decisioni: ed il decorso dei termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c., è funzionale giustappunto ad esercitare una coazione indiretta sulle parti non appellanti, affinchè sappiano che se vogliono evitare il rischio che la loro impugnazione incidentale sia dichiarata inefficace a causa dell’inammissibilità della principale, dovranno proporla tempestivamente. A seguire la tesi della ricorrente, invece, anche una impugnazione incidentale proposta dopo lo spirare dei trenta giorni dalla notifica della sentenza di primo grado sarebbe da ritenersi “tempestiva”, con la conseguenza che essa andrebbe esaminata anche nel caso di inammissibilità dell’impugnazione principale: interpretazione, per quanto detto, incoerente con la ratio degli artt. 325 e 327 c.p.c..
1.11.2. Sotto il SECONDO PROFILO (interpretazione utile) la tesi della ricorrente non può essere condivisa, perchè renderebbe inutile la previsione di cui all’art. 334 c.p.c..
Secondo la ricorrente infatti, “al fine di qualificare l’impugnazione incidentale quale tempestiva o tardiva, occorre fare esclusivo riferimento al momento della ricezione della notifica dell’impugnazione principale, e non a quello della proposizione dell’impugnazione incidentale” (così il ricorso, p. 10, terzo capoverso).
Sicchè – parrebbe di capire – secondo la ricorrente in un processo con pluralità di parti, una volta notificata la sentenza dalla parte vittoriosa a tutte le altre, basterebbe che una di queste proponga l’impugnazione incidentale nel termine di cui all’art. 325 c.p.c., perchè tutte le altre impugnazioni possano ritenersi tempestive.
Quella appena riassunta è tuttavia una tesi illogica, che condurrebbe ad una interpretatio abrogans l’art. 334 c.p.c..
Si consideri, infatti che una volta proposta dall’appellante principale una impugnazione tempestiva, tutte le altre impugnazioni incidentali sarebbero – secondo la tesi della M. – per ciò solo tempestive anch’esse. Non potrebbe, dunque, mai verificarsi alcun caso in cui l’impugnazione principale sia tempestiva, ma per l’appellante principale sia spirato il termine per impugnare: non potrebbe, dunque, mai avverarsi la fattispecie processuale astratta delineata dall’art. 334 c.p.c..
E poichè tra due interpretazioni alternative, l’interprete ha l’obbligo di preferire quella che garantisca alla norma di produrre effetti, piuttosto che quella che la priverebbe di ogni utilità, la tesi della ricorrente non può essere condivisa.
1.11.3. Sotto il terzo profilo (interpretazione costituzionalmente orientata) la tesi della ricorrente non può essere condivisa, perchè – imponendo di considerare tempestive e quindi esaminabili nel merito le impugnazioni incidentali anche quando la principale sia dichiarata inammissibile -rallenterebbe i tempi dei giudizi, in violazione del generale precetto di ragionevole durata di cui all’art. 111 Cost..
1.12. E’ doveroso aggiungere che le conclusioni sin qui esposte:
(a) sono indirettamente confermate da vari precedenti da questa Corte;
(b) sono condivise dalla dottrina prevalente e più autorevole;
(c) non sono contraddette dai precedenti invocati dalla M. nel proprio ricorso.
1.12.1. Che l’appello incidentale debba qualificarsi tardivo se proposto dopo lo spirare dei termini di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c., a nulla rilevando che l’appellante incidentale si sia costituito nei termini di cui all’art. 343 c.p.c., è principio desumibile indirettamente – tra le decisioni più recenti – da Sez. 3, Sentenza n. 21745 del 11/10/2006, Rv. 592772, secondo cui le impugnazioni incidentali “possono essere proposte, in sede di appello, con la comparsa di risposta tempestivamente depositata purchè risulti rispettato il termine ordinario di trenta giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado”. Il principio era stato già condiviso negli stessi esatti termini, in precedenza, da Sez. 2, Sentenza n. 6242 del 04/06/1993, Rv. 482677; Sez. 3, Sentenza n. 2433 del 14/03/1988, Rv. 458200; ed in modo implicito ma inequivoco da Sez. L, Sentenza n. 1602 del 08/03/1984, Rv. 433679 e Sez. 1, Sentenza n. 1302 del 12/05/1973, Rv. 363907. Indiretta conferma del principio si rinviene altresì nel decisum di Sez. 3, Sentenza n. 3056 del 08/02/2011, Rv. 616679, secondo cui l’inammissibilità del ricorso principale per cassazione non priva di efficacia il ricorso incidentale, se questo è stato proposto (oltre che tempestivamente ai sensi dell’art. 371 c.p.c.) anche nei termini per impugnare previsti dagli artt. 325, 326 e 327 c.p.c.: dal che si desume come una impugnazione incidentale proposta quando siano scaduti i termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c., non potrebbe mai essere ritenuta “tempestiva”. Infine, il principio qui affermato risulta condiviso dalle Sezioni Unite di questa Corte, allorchè – nella motivazione della sentenza pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 11678 del 05/12/1990, Rv. 470046 – affermarono che “tanto se siano tardivi nel senso di cui all’art. 334, ovvero tempestivi nel senso che sono stati proposti con il rispetto dei termini abbreviato o annuale, appello e ricorso per cassazione incidentali devono osservare il termine di cui agli artt. 343 e 371, con la conseguenza che è ammissibile solo l’impugnazione tardiva che abbia ottemperato a tali ultime disposizioni, ma non lo è l’impugnazione tempestiva a norma degli artt. 325 e 327, che peraltro non abbia rispettato il termine di cui agli artt. 343 e 371”: motivazione cristallina nel lasciare intendere che l’appellante incidentale, se vuole che la propria impugnazione sia qualificata come “tempestiva”, deve rispettare non solo il termine di cui all’art. 343 c.p.c., ma anche quelli di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c., (in senso conforme, più di recente, si è pronunciata anche Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009, Rv. 606406).
1.12.3. L’orientamento appena ricordato non è affatto contraddetto dai precedenti invocati dalla ricorrente a p. 9 – 10 del proprio ricorso, ed in particolare da Sez. 3, Sentenza n. 9862 del 05/10/1998, Rv. 519423. Nelle massime estratte da questa, come da altre decisioni, si legge in effetti che nel caso di appello incidentale i termini previsti dall’art. 343 c.p.c. (…) si sostituiscono ai termini stabiliti in linea generale dagli artt. 325 e 327 c.p.c., rendendo irrilevante, a tali fini, la mancata notificazione della sentenza” (sono parole di Sez. 1, Sentenza n. 2381 del 22/04/1981, Rv. 413141, riprese da Sez. 1, Sentenza n. 4558 del 06/08/1979, Rv. 401062). Tuttavia, ove si sposti l’attenzione dalla massima alla concreta fattispecie processuale ed alla effettiva ratio decidendi, ci si avvede che nel caso deciso da Cass. 2381/81, cit., la Corte di cassazione era chiamata a stabilire se l’appellante incidentale, costituitosi tardivamente in violazione dell’art. 343 c.p.c., potesse invocare l’ammissibilità del proprio gravame per il solo fatto che non fosse ancora decorso il termine di cui all’art. 327 c.p.c.: e fu solo nel risolvere questo problema, che la Corte affermò la “irrilevanza” del termine di cui all’art. 327 c.p.c., ai fini della ammissibilità dell’appello incidentale. “Irrilevanza”, dunque, ma solo nel senso che esso non esclude la concorrente operatività delle forme e dei termini prescritti dall’art. 343 c.p.c. (o, mutatis mutandis, dall’art. 371 c.p.c.), da rispettare comunque, non già in quello, sostenuto dalla ricorrente, secondo cui la sua pendenza renderebbe in re ipsa tempestiva l’impugnazione incidentale. Quale era peraltro la fattispecie processuale decisa da Cass. 9862/98, invocata dalla M..
Le considerazioni che precedono valgono, infine, per il terzo ed ultimo V. precedente di questa Corte la cui massima solo apparentemente avalla la tesi sostenuta dalla M., e cioè Sez. 3, Sentenza n. 10124 del 30/04/2009, Rv. 608201.
Anche nella motivazione di quest’ultima sentenza si legge infatti che l’appello incidentale va proposto nelle forme e nei termini di cui all’art. 343 c.p.c., “a prescindere dall’avvenuta notifica della sentenza di primo grado”: in quella vicenda processuale, infatti, la Corte era chiamata a stabilire non già – come nel presente caso – se dovesse ritenersi tempestivo o tardivo l’appello incidentale proposto dopo lo spirare del termine di cui all’art. 325 c.p.c., ma a stabilire se l’appello incidentale potesse essere proposto una volta spirato il termine di cui all’art. 325 c.p.c.: questione cui la Corte diede ovviamente risposta affermativa, ed in questo senso va inteso l’inciso secondo cui l’appello incidentale (ovviamente tardivo) è consentito “a prescindere dalla notifica della sentenza”.
1.13. L’orientamento qui condiviso, infine, da tempo è condiviso dalla migliore dottrina, registrandosi rispetto ad esso una sola – se pur autorevole – voce contraria, per di più risalente agli anni Quaranta del secolo scorso. Per contro, tutti gli altri autori che si sono occupati del problema, hanno concordato nel ritenere che la proposizione dell’impugnazione principale non produce l’effetto di fissare all’appellato incidentale termini per l’impugnazione che si sostituiscono a quelli acceleratori di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c.. Di conseguenza, assai correttamente si scrisse già molti anni or sono, in un celebrato testo, che “Il gravame incidentale proposto entro il termine di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c., è tempestivo perchè è un gravame principale presentato in via incidentale a norma dell’art. 333; quello proposto oltre questo termine è, indipendentemente dalla domanda di chi l’ha proposto, tardivo, e come tale, dipende dall’ammissibilità di quello principale”.
1.14. Si applichino ora i princìpi sin qui esposti al caso di specie.
Come già accennato, dalla sentenza impugnata si apprende che le parti vittoriose in primo grado, sigg.ri M.G.M. ed O., notificarono la sentenza del Tribunale alla M. il 13.10.2003.
Da questa data iniziò dunque a decorrere per la M. il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., che scadde il 12.11.2003.
Delle due parti soccombenti (U. e M.), più lesta ad impugnare fu la società UGC, che notificò il proprio gravame alla M. il 10.11.2003, assumendo così la veste di appellante principale.
In virtù di quanto prima esposto, l’appello incidentale della M. si sarebbe potuto ritenere dunque tempestivo soltanto se proposto entro il 12.11.2003.
Occorre tuttavia ora soggiungere che, a tale data, non solo l’appellante principale UGC non si era costituita in giudizio, ma nemmeno era scaduto il termine per farlo.
Di conseguenza, non essendosi costituito l’appellante principale, mancava effettivamente per l’appellante incidentale la possibilità di costituirsi secondo il modello previsto dall’art. 343 c.p.c.; ma tanto, a ben vedere, non avrebbe tuttavia impedito alla ricorrente di proporre ugualmente la sua impugnazione incidentale destinata ad essere considerata tempestiva, onde evitare la eventuale sanzione di inefficacia di cui all’art. 334 c.p.c., comma 2, per il caso in cui volontariamente o involontariamente l’appellato principale (omettendo di costituirsi in giudizio o determinandone comunque le relative condizioni) avesse poi dato luogo ad una causa di inammissibilità o improcedibilità della propria impugnazione.
A tal fine, infatti, onde scongiurare il rischio in questione, essa avrebbe potuto alternativamente: (a) procedere alla iscrizione a ruolo della causa depositando la propria comparsa di risposta con appello incidentale entro la scadenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c., ovvero (b) proporre comunque la sua impugnazione con citazione notificata entro lo stesso termine: impugnazione certamente ammissibile e destinata ad essere riunita e considerata a sua volta “incidentale” rispetto alla prima. Ciò, in quanto la norma di cui all’art. 333 c.p.c., che impone il rispetto delle forme di cui agli artt. 343 e 371 c.p.c., introduce una sanzione di “decadenza” ma solo per la diversa fattispecie, di cui si è dato prima conto, nella quale l’impugnazione incidentale venga invece proposta al di fuori dei predetti modelli processuali, cioè senza il rispetto anche dei relativi termini, ancorchè siano tuttora pendenti quelli di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c..
1.15. Per quanto fin qui detto, dal momento che, come si è visto, il sistema processuale appresta idonei strumenti per scongiurare il paventato pregiudizio in danno dell’appellante incidentale nella fattispecie de qua, vanno ritenuti manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale prospettati dalla ricorrente, sia con riferimento al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., posto che l’appellante incidentale viene a trovarsi in una posizione processuale diversa rispetto alla parte che più sollecitamente abbia impugnato la sentenza, ma ugualmente tutelata nella facoltà di proporre un appello “tempestivo”; sia appunto con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., in considerazione della ripetuta ampiezza della tutela giurisdizionale assicurata attraverso i mezzi processuali previsti dal codice. Nè può argomentarsi in senso contrario sul rilievo che la notifica dell’impugnazione principale eseguita l’ultimo giorno utile per l’impugnazione incidentale renda di fatto sostanzialmente preclusa o fortemente comprima la possibilità di conseguire il risultato della sua tempestività; soccorrendo infatti in proposito il principio: diligentibus iura succurrunt, secondo cui è solo imputabile all’appellato il ritardo nel non avere a sua volta proposto comunque la propria preventivata impugnazione.
1.16. La sentenza impugnata è dunque corretta nella parte in cui ha ritenuto “tardivo” l’appello proposto dalla M., in base al seguente principio di diritto:
La parte, alla quale sia stato notificato l’appello principale, ove intenda proporre appello incidentale tempestivo, deve comunque osservare i termini di cui agli art. 325 e 327 c.p.c.; sicchè, nel caso in cui l’appello principale sia stato notificato in prossimità della scadenza dei termini medesimi, allo scopo di evitare la eventuale sanzione di inefficacia di cui all’art. 334 c.p.c., comma 2, per il caso in cui volontariamente o involontariamente l’appellato principale (omettendo di costituirsi in giudizio o determinandone comunque le relative condizioni) dia poi luogo ad una causa di inammissibilità o improcedibilità della propria impugnazione, può alternativamente: (a) procedere alla iscrizione a ruolo della causa depositando la propria comparsa di risposta con appello incidentale entro la scadenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c., ovvero (b) proporre la sua impugnazione con citazione notificata entro lo stesso termine.
Tali rilievi escludono la manifesta fondatezza del dubbio di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., delle norme di cui agli art. 325, 327, 333 e 334 c.p.c., nella parte in cui non consentirebbero una impugnazione incidentale tempestiva nel caso di notifica di quella principale a ridosso della scadenza dei termini.
2. Il SECONDO MOTIVO di ricorso.
2.1. Col SECONDO MOTIVO di ricorso la M. lamenta che la sentenza impugnata sia viziata da violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
La norma violata sarebbe l’art. 334 c.p.c..
Espone la ricorrente, al riguardo, che la Corte d’appello ha ritenuto inapplicabile all’appello incidentale da essa proposto l’art. 334 c.p.c., sul presupposto che esso aveva ad oggetto un capo autonomo della sentenza, e non dipendente dall’impugnazione principale.
Tale statuizione sarebbe tuttavia erronea, perchè la giurisprudenza di legittimità ammette oggi l’impugnazione incidentale tardiva anche quando sia rivolta contro parti diverse dell’impugnante principale.
2.2. Il motivo e inammissibile per difetto di interesse.
La M. è nel vero allorchè afferma che l’impugnazione incidentale tardiva è consentita non solo quando abbia ad oggetto il medesimo capo della sentenza impugnato dall’appellante principale, ma anche quando investa un capo autonomo, ovvero sia rivolta nei confronti di parte diversa dall’appellante principale.
A questo approdo la giurisprudenza di legittimità è pervenuta per effetto dei due fondamentali arresti pronunciati dapprima da Sez. U, Sentenza n. 4640 del 07/11/1989, Rv. 464074 (che ha ampliato l’ambito oggettivo dell’impugnazione incidentale tardiva, consentendola avverso qualsiasi capo della sentenza, anche se diverso da quello investito dall’impugnazione principale); e quindi da Sez. U, Sentenza n. 24627 del 27/11/2007, Rv. 600589, che ha ampliato l’ambito soggettivo dell’impugnazione incidentale tardiva, consentendola anche contro parti diverse dall’impugnante principale.
2.3. Tuttavia nel caso di specie, come si dirà tra breve, corretta fu la pronuncia d’appello circa l’inammissibilità dell’appello principale proposto dalla UGC. Pertanto, anche a ritenere ammissibile, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., l’impugnazione incidentale tardiva proposta dalla M., questa non ne trarrebbe alcun vantaggio, in quanto comunque il suo appello avrebbe perso efficacia a causa della pronuncia di inammissibilità dell’appello principale.
3. Il TERZO MOTIVO di ricorso.
3.1. Col TERZO MOTIVO la M. lamenta il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
La norma violata è indicata nell’art. 111 c.p.c..
Espone, al riguardo, la ricorrente che nel corso del giudizio la BANCA NL aveva ceduto ad altra società il credito posto a fondamento del decreto ingiuntivo in base al quale era stata iscritta l’ipoteca oggetto del contendere.
Tuttavia, trattandosi di cessione a titolo particolare, essa non aveva fatto venir meno la legitimatio ad causam della BANCA NL e, per essa, della sua mandataria UGC, giusta la previsione dell’art. 111 c.p.c..
3.2. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello di Messina ha dichiarato inammissibile l’appello della UGC non già perchè, essendo avvenuta la cessione del credito da parte della BANCA NL, questa (ed i suoi mandatari) avessero per ciò solo perso la legittimazione ad agire e contraddire nel presente giudizio.
L’inammissibilità del gravame principale venne motivata dalla Corte d’appello in base al rilievo che il mandato conferito dalla BANCA NL alla UGC non comprendeva il potere di agire nel presente giudizio di cognizione, in quanto ne costituiva oggetto unicamente il potere di prendere parte alle “procedure esecutive”.
Il terzo motivo di ricorso censura pertanto una ratio decidendi diversa da quella effettivamente posta dalla Corte d’appello a base della propria decisione.
4. Il QUARTO MOTIVO di ricorso.
4.1. Col QUARTO MOTIVO di ricorso la M. lamenta il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
La norma violata è ravvisata nell’art. 285 c.p.c..
Espone la ricorrente, al riguardo, che la notifica della sentenza di primo grado era avvenuta in modo viziato, e da essa non si poteva far decorrere a carico della M. il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c.. Duplice, secondo la ricorrente, fu il vizio della notifica della sentenza. Da un lato, essa avvenne “alla parte presso il procuratore costituito”, e non a quest’ultimo; dall’altro, mancava nell’atto l’indicazione della parte ad istanza della quale fu eseguita la notifica.
4.2. Il motivo è infondato.
Il primo profilo di censura non tiene conto del consolidato principio secondo cui la notifica della sentenza in forma esecutiva alla parte presso il procuratore costituito è equivalente a quella eseguita al procuratore stesso ed è, pertanto, idonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione per il V destinatario (ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 8071 del 02/04/2009, Rv. 607606).
Il secondo profilo di censura è smentito dall’esame degli atti, consentito dalla natura del vizio denunciato, dai quali si rileva che sull’ultima pagina della copia della sentenza notificata, allegata proprio al fascicolo della M., vi è la tradizionale stampigliatura nella quale l’ufficiale giudiziario afferma di avere proceduto alla notifica “ad istanza come in atti”; e poco prima, in calce alla formula esecutiva, si legge che la stessa venne rilasciata “a richiesta dell’avv. (OMISSIS) nel’interesse di M.G. + 1”.
Dunque alcun dubbio avrebbe mai potuto nutrire la M. circa la provenienza soggettiva della notifica.
5. Il QUINTO MOTIVO di ricorso.
5.1. Col QUINTO MOTIVO di ricorso la M. lamenta la “omessa pronuncia” della Corte d’appello sui motivi concernenti il merito dell’appello dichiarato inammissibile.
5.2. Il motivo è ovviamente inammissibile, in quanto l’assorbimento dell’esame del merito a causa dell’accoglimento d’una pregiudiziale ad ingressum litis impediens non costituisce una “omessa pronuncia”.
6. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nei confronti di tutti gli intimati, in base al tradizionale principio secondo cui il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in causa dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda (ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 7431 del 14/05/2012, Rv. 622605).
P.Q.M.
la Corte di cassazione, visto l’art. 383 c.p.c., comma 1:
-) rigetta il ricorso;
-) condanna la Banca M. s.p.a. alla rifusione in favore di M.O. e M.G.M., in solido, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 12.200, di cui 200 per spese vive;
-) condanna la Banca M. s.p.a. alla rifusione in favore di A.A. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 12.200, di cui 200 per spese vive;
-) condanna la Banca M. s.p.a. alla rifusione in favore della A. s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 12.200, di cui 200 per spese vive.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 8 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 1 aprile 2014
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 248/2014