Laddove la parte nel corso del giudizio di primo grado non abbia mosso specifiche contestazioni in ordine ai criteri seguiti dal giudice per addivenire alla stima del bene, anche in relazione all’incidenza di diritti vantati da alcuni dei condividenti, non le è preclusa la possibilità di formulare le critiche alla stima stessa mediante la formulazione di uno specifico mezzo di gravame, senza che ciò implichi la proposizione di una domanda nuova ovvero di un’eccezione preclusa in appello ex art. 345 c.p.c.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sez. II, Pres. D’Ascola – Rel. Criscuolo con la sentenza n. 8194 del 24 aprile 2020.
Nel corso del primo grado di giudizio, un soggetto conveniva in giudizio l’ex coniuge al fine di procedere allo scioglimento della comunione esistente sull’immobile acquistato durante il matrimonio in regime di comunione legale, e successivamente adibito a casa familiare, che era stato però assegnato alla convenuta in sede di separazione consensuale l’attore chiedeva che nella formazione delle quote si tenesse conto anche delle rate di mutuo pagate in esclusiva.
Disposta la chiamata in causa della banca, che aveva trascritto un pignoramento sulla quota di spettanza dell’attore, il Tribunale assegnava la piena proprietà del bene alla convenuta condannandola al versamento dell’eccedenza in favore dell’attore.
La sentenza succitata veniva impugnata e confermata dalla Corte territoriale con conseguente rigetto del gravame.
In particolare, la corte di merito riteneva non contestata dall’appellante la stima del bene operata dal CTU e, quanto all’incidenza del diritto di abitazione, rilevava che del pari non erano state sollevate obiezioni in primo grado, neppure nella comparsa conclusionale.
Nella specie, l’atto di appello risultava inammissibile in quanto la formulazione del motivo non era idonea a contrastare la motivazione della sentenza impugnata.
Inoltre la questione relativa all’incidenza in sede di divisione del diritto di abitazione vantato dal coniuge assegnatario era del tutto nuova e quindi formulata in contrasto con il dettato dell’art. 345 c.p.c..
Avverso tale sentenza l’ex coniuge ha proposto ricorso per cassazione, deducendo che il motivo di appello, atteso che era stata proposta una domanda di divisione di un immobile in comune tra ex coniugi, era del tutto conforme al dettato dell’art. 342 c.p.c. e che del pari doveva escludersi la dedotta violazione dell’art. 345 c.p.c., atteso che la contestazione relativa all’incidenza del diritto di abitazione mirava ad individuare l’esatto ammontare della quota di spettanza del ricorrente.
L’ex moglie ha resistito con controricorso mentre la banca intimata non ha svolto difese.
La Corte di legittimità, nell’affrontare il thema decidendum, ha ritenuto fondato il motivo di gravame.
In particolare, gli ermellini hanno evidenziato che nel giudizio di appello – che non è un iudicium novum, ma è una revisio prioris instantiae – la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso l’enunciazione di specifici motivi.
Inoltre, la Suprema Corte ha specificato che deve ritenersi inammissibile un appello che riproponga le difese già disattese in prime cure, in quanto il requisito della specificità dei motivi di appello impone che alla parte volitiva debba sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.
Con riferimento al caso di specie, dunque, a fronte di una decisione del giudice di prime cure che si era essenzialmente limitata a recepire le indicazioni del CTU, senza specificamente approfondire le ragioni per le quali il diritto di abitazione avrebbe inciso sulla stima del bene, anche in sede di divisione, la contestazione formulata dall’appellante risultava idonea a contestare la correttezza della decisione di primo grado, ed imponeva al giudice di appello di verificare la fondatezza delle ragioni addotte dal ricorrente, palesandosi in tal modo l’erronea applicazione fatta dalla Corte distrettuale della previsione di cui all’art. 342 c.p.c..
Gli Ermellini hanno, inoltre, escluso la violazione dell’art. 345 c.p.c. in quanto, rilevato che l’attore aveva proposto domanda di scioglimento della comunione del bene comune, con l’atto di appello lungi dall’introdurre una domanda nuova, aveva semplicemente sollecitato una verifica circa la correttezza della stima del valore del bene, assumendo che sulla stessa non potesse avere incidenza l’avvenuto riconoscimento del diritto di abitazione in sede di separazione tra coniugi.
La contestazione mira semplicemente a verificare la legittimità dello svolgimento delle operazioni divisionali, e precisamente l’esattezza della stima del bene comune, ma sempre in vista del perseguimento del risultato cui mirava la proposizione della domanda originaria, ancorché non con il conseguimento di una quota in natura, ma con l’attribuzione del suo equivalente monetario.
Deve quindi affermarsi che, anche laddove la parte nel corso del giudizio di primo grado non abbia mosso specifiche contestazioni in ordine ai criteri seguiti dal giudice per addivenire alla stima del bene, anche in relazione all’incidenza di diritti vantati da alcuni dei condividenti, non le è preclusa la possibilità di formulare le critiche alla stima stessa mediante la formulazione di uno specifico mezzo di gravame, senza che ciò implichi la proposizione di una domanda nuova ovvero di un’eccezione preclusa in appello ex art. 345 c.p.c..
Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata con rinvio a diversa sezione della Corte d’Appello di Roma, anche al fine di provvedere sulle spese di lite.
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