ISSN 2385-1376
Testo massima
La notifica dell’atto di appello e del decreto di fissazione dell’udienza ex art. 435 c.p.c. eseguita al difensore deceduto dell’appellato non può essere considerata idonea ad una regolare instaurazione del contraddittorio ed è causa di nullità delle ulteriori fasi processuali eventualmente svolte.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 24271 del 28 ottobre 2013, decidendo sul ricorso di una s.n.c., che denunciava la nullità del processo di appello e la conseguente nullità della sentenza. Più precisamente, la ricorrente deduceva di non aver avuto contezza dell’appello proposto dalla controparte, in quanto era intervenuto, in data antecedente al decreto di fissazione dell’udienza di discussione ex art.435 cpc, il decesso del proprio difensore, a cui l’appello era stato notificato.
I giudici di legittimità hanno ribadito il principio di diritto, già stabilito dalle Sezioni Unite, secondo cui la morte del difensore determina sempre l’effetto interruttivo del processo, anche qualora l’evento morte riguardi il difensore di una parte che, sebbene si sia costituita nel precedente grado di giudizio, non abbia fatto altrettanto nel nuovo: ciò in quanto il presupposto della già avvenuta costituzione rileva esclusivamente in relazione al primo grado di giudizio.
In generale, secondo un orientamento interpretativo ispirato alla tutela dei valori costituzionali garantiti dall’art. 24 Cost., e ribadito anche dalla Consulta, viene affermato che il diritto alla difesa tecnica è riconosciuto alle parti non solo all’interno delle singole fasi processuali, ma anche in quelle di “quiescenza”, o meglio di passaggio da un grado all’altro del giudizio, in quanto caratterizzate da cogenti termini di decadenza e comportanti per le parti stesse il rischio del giudicato.
Ne deriva che deve essere attribuita efficacia interruttiva a qualsiasi evento di natura involontaria suscettibile di menomare l’effettività delle potenziali esplicazioni del diritto di difesa della singola parte.
Non v’è dubbio, dunque, che la morte del procuratore, anche se intervenuta tra la proposizione del ricorso in appello e l’emissione del decreto di fissazione dell’udienza ex art. 435 cpc, comporti l’automatica interruzione del processo. Anzi, proprio in considerazione del fatto che, nella specie, trattavasi di controversia soggetta all’applicazione del rito del lavoro, in cui il giudizio si instaura con ricorso, ad avviso della S.C. può parlarsi di interruzione in senso proprio dell processo d’appello, già pendente.
La pronuncia della Cassazione, annullando con rinvio la sentenza impugnata, stante la nullità della notifica dell’atto di appello, da far valere quale motivo di gravame ex art.161 cpc, fa registrare una netta presa di posizione rispetto alla tutela del diritto di difesa, inviolabile, a norma dell’art.24 Cost., non solo in ogni grado del giudizio, ma anche in ogni stato del medesimo, ivi compreso quello di quiescenza.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 7054/2012 proposto da:
SOCIETA’ AGRICOLA ALFA, in persona del legale rappresentante pro tempore,;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS);
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 184/2011 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 06/04/2011 R.G.N. 16/2007;
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Potenza, con la sentenza di cui si chiede la cassazione, in riforma della sentenza del Tribunale di Matera, accoglieva la domanda, proposta in via riconvenzionale, dall’INPS, nei confronti, tra l’altro, della società Agricola Alfa, condannando quest’ultima al pagamento di Euro 1.470.220,17 per pretese contributive oltre sanzioni ed interessi.
La Corte del merito, per quello che interessa in questa sede, nella contumacia della predetta società, la condannava, condividendo gli accertamenti espletati dal consulente tecnico d’ufficio nominato nel corso del giudizio di secondo grado, al pagamento in favore dell’INPS appellante della precitata somma a titolo di contributi omessi trovando i rispettivi crediti fondamento nelle denuncie trimestrali presentate dallo stesso datore di lavoro.
Per l’annullamento di tale sentenza la società anzidetta propone ricorso affidato a tre motivi.
L’INPS deposita delega in calce al ricorso notificato.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso la società in epigrafe, denunciando, ex art. 360 c.p.c., n. 4, nullità del processo di appello e nullità derivata della sentenza, deduce di non aver avuto contezza dell’appello proposto dall’INPS essendo stato il relativo atto notificato (in data 18 aprile 2008) al procuratore costituito in primo grado quando questi (in data 21 dicembre 2007) era già deceduto.
Prospetta al riguardo la società, richiamando la sentenza n. 12060 del 1998 delle Sezioni Unite di questa Corte, la violazione del diritto di difesa non avendo, tra l’altro, essa società potuto proporre impugnazione incidentale.
La censura è fondata.
E’ oramai acquisito alla giurisprudenza di questa Corte l’orientamento interpretativo secondo il quale la morte del procuratore determina sempre l’effetto interruttivo del processo, rendendo irrilevante il fatto che l’evento morte riguardi il procuratore di una parte costituitasi nel precedente grado di giudizio, ma non ancora del nuovo, in quanto il requisito della già avvenuta costituzione rileva solo in relazione alla fase processuale del precedente giudizio (Cass. S.U. 27 novembre 1998 n. 12060). Ciò proprio in considerazione della priorità dei valori costituzionali garantiti dall’art. 24 Cost., i quali conducono a ritenere che nelle fasi dinamiche del processo, caratterizzate da cogenti termini di decadenza, deve essere attribuita efficacia interruttiva ad ogni evento, di natura involontaria, in grado di alterare l’effettività dell’esplicarsi delle possibilità dell’esercizio del diritto di difesa della singola parte (Cfr. Cass. S.U. 8 febbraio 2010 n. 2714).
Né può non venire in considerazione, con riferimento al caso in esame, l’affermazione della Corte costituzionale secondo cui il diritto alla difesa tecnica non è tutelabile solo all’interno delle singole fasi processuali ma si estende, sotto il profilo specifico della continuità dell’assistenza tecnica anche nelle fasi di quiescenza, o più esattamente, di passaggio da un grado all’altro del giudizio, in quanto scandite da adempimenti assoggettati a preclusioni ed esposte al rischio, non più soltanto endoprocessuale, del giudicato (sentenza n. 41 del 1986).
Ed è innegabile che questa Corte è tendenzialmente orientata a privilegiare una interpretazione funzionale alla priorità dei valori costituzionali garantiti dall’art. 24, rispetto ad ogni altro possibile modello, nel senso del principio generale di “responsabilità” delle parti e dei loro oneri di attivazione, “consolidando il risultato di far corrispondere – nell’ambito delle fasi “dinamiche” del processo, caratterizzate da cogenti termini di decadenza – l’effetto interruttivo ad ogni evento, di natura involontaria, in grado di alterare la effettività dell’esplicarsi delle possibilità di esercizio del diritto di difesa della singola parte” (Cfr. sent., S.U. 27 novembre 1998 n. 12060 e 8 febbraio 2010 n. 2714 cit.).
Avuto riguardo al caso di cui trattasi, nel quale il decesso del difensore dell’attuale ricorrente è intervenuto dopo il deposito nella cancelleria della Corte di Appello di Potenza dell’atto di appello proposto dall’INPS ed in epoca antecedente al decreto di fissazione dell’udienza di discussione ex art. 435 c.p.c., non vi è dubbio che la notifica del detto atto di appello e del relativo precitato decreto notificato al difensore deceduto dell’appellato non può essere considerato idoneo ad una regolare instaurazione del contraddittorio.
Invero, trattandosi di controversia soggetta al rito del lavoro il cui processo di appello s’instaura con il deposito del ricorso presso la cancelleria della Corte di appello, il decesso del procuratore della parte già costituita nel precedente grado di giudizio determina l’interruzione del processo – di appello – in senso proprio.
Diversamente il diritto di difesa dell’appellato rimarrebbe vulnerato risultando impedito l’adempimento del dovere di informare la parte dell’avvenuta impugnazione e della necessità od opportunità di costituirsi in giudizio approntando, se del caso, un’impugnazione incidentale.
Del resto la morte del procuratore, a mezzo del quale la parte è costituita in giudizio, determina automaticamente l’interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne hanno avuto conoscenza e tale interruzione preclude ogni ulteriore attività processuale, la quale, se compiuta, è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza (Cfr. per tutte Cass. S.U. 8 febbraio 2010 n. 2714 cit.).
Trattasi ovviamente di nullità che può essere fatta valere secondo il principio di cui all’art. 161 c.p.c., per il quale i motivi di nullità della sentenza si convertono in motivi di gravame.
La sentenza impugnata va, pertanto annullata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello indicata in dispositivo.
Le altre censure, relative rispettivamente alla denuncia di violazione degli artt. 424 e 441 c.p.c., nonchè degli artt. 434, 436, 437 c.p.c., e L. n. 333 del 1995, art. 3, rimangono assorbite.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Salerno.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 settembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2013
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Numero Protocolo Interno : 631/2013