Il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi dell’art. 119 del d.lgs. n. 385 del 1993 (T.U.B.), anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell’esistenza del rapporto contrattuale, non potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all’art. 210 c.p.c., perché non può convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, III. sez. civ., Pres. Frasca – Rel. Moscarini, che con la sentenza n. 24181 del 30 ottobre 2020 si è soffermata sul valore dell’art. 119 T.U.B.
Il diritto del cliente ad avere copia della documentazione ha natura sostanziale e non meramente processuale e la sua tutela si configura come situazione giuridica “finale”, a carattere non strumentale.
Non trovano pertanto applicazione, nella fattispecie, i principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di ordine di esibizione dei documenti ex art. 210 cod. proc. civ. e non può pertanto negarsi il diritto del cliente di ottenere copia della documentazione richiesta, adducendo a ragione e in linea di principio la natura meramente esplorativa dell’istanza in tal senso presentata.
La norma del comma 4 dell’art. 119 T.U.B. non contempla nessuna limitazione che risulti in un qualche modo attinente alla fase di eventuale svolgimento giudiziale dei rapporti tra correntista e istituto di credito. D’altra parte, non risulta ipotizzabile una ragione che, per un verso o per un altro, possa giustificare, o anche solo comportare, un simile risultato. Da rimarcare, più ancora, è che la richiamata disposizione dell’art. 119 viene a porsi tra i più importanti strumenti di tutela che la normativa di trasparenza – quale attualmente stabilita nel testo unico bancario vigente – riconosca ai soggetti che si trovino ad intrattenere rapporti con gli intermediari bancari. Appare così chiaro come non possa risultare corretta una soluzione che limiti l’esercizio di questo potere alla fase anteriore all’avvio del giudizio eventualmente intentato dal correntista nei confronti della banca presso la quale è stato intrattenuto il conto. D’altra parte, neppure è da ritenere che l’esercizio del potere in questione sia in qualche modo subordinato al rispetto di determinate formalità espressive o di date vesti documentali; né, tantomeno, che la formulazione della richiesta, quale atto di effettivo esercizio di tale facoltà, debba rimanere affare riservato delle parti del relativo contratto o, comunque, essere non conoscibile dal giudice o non transitabile per lo stesso. Ché simili eventualità si tradurrebbero, in ogni caso, in appesantimenti dell’esercizio del potere del cliente: appesantimenti e intralci non previsti dalla legge e frontalmente contrari, altresì, alla funzione propria dell’istituto.
La Suprema Corte afferma espressamente la spettanza del diritto nei termini indicati anche al fideiussore e non solo al correntista, atteso che il generico riferimento del quarto comma dell’art. 119 del d.lgs. n. 385 del 1993 al “cliente” è idoneo a comprendere, ai fini della richiesta di documentazione, anche il fideiussore, il quale a sua volta può in senso lato definirsi un “cliente” della banca non diversamente dal correntista debitore principale. Ciò, in considerazione del fatto che, in ragione dell’accessorietà del rapporto di fidejussione rispetto al contratto di conto corrente e dunque dell’assunzione del contratto di conto corrente dal fideiussore garantito nel profilo dell’oggetto della fideiussione, il diritto del cliente di richiedere in ogni tempo la documentazione degli estratti conto deve ritenersi esteso anche al fideiussore atteso che la fideiussione determina – come è rivelato dalle norme degli artt. 1944 e ss. c.c. – “rapporti fra il creditore ed il fideiussore”, i quali certamente e se si vuole sulla base di una lettura lata dell’art. 1945 c.c. implicano che il fideiussore debba potersi “informare”, proprio per esercitare i diritti riconosciuti da dette norme, sullo svolgimento del contratto di conto corrente e, dunque, necessariamente implicando il diritto all’esercizio del potere di cui all’art. 119 T.U.B. Detti rapporti, al di là di quanto implica lo stesso profilo causale della fideiussione, giustificano ampiamente che il fideiussore sia “cliente” agli effetti di quella norma.
Il Collegio rileva che tale conclusione non si pone in alcun modo in contrasto con la risalente giurisprudenza di legittimità che ha escluso l’applicabilità automatica al fideiussore, garante dei crediti bancari, delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 385 del 1993 dettate per i contratti relativi alle operazioni ed ai servizi stipulati con il cliente, giacché detta giurisprudenza è relativa alla posizione del cliente e del fideiussore ai fini della stipulazione e dunque del contenuto dei rispettivi rapporti contrattuali (in particolare con riferimento all’operare della norma dell’art. 1938 c.c. per il fideiussore).
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