ISSN 2385-1376
Testo massima
Allorquando l’atto di disposizione posto in essere dai coniugi, conforme alla previsione di legge, secondo quanto accertato dallo stesso Tribunale in sede di omologazione della separazione consensuale, riguardi precipuamente l’interesse del figlio minore e non assuma i connotati di mantenimento, non rientra nel novero degli atti revocabili, fintanto che permangono le condizioni previste nell’accordo in conformità al disposto dell’art.155 quater cc, rappresentate dal mantenimento della residenza da parte della convenuta nell’abitazione familiare, insieme con il figlio minore.
E’ quanto disposto dal Tribunale di Udine, Giudice dott. Gianfranco Pellizzoni nell’ambito di un giudizio proposto dalla curatela fallimentare, ex art.64 lf o in subordine ex artt.69 o 67 lf, relativamente all’atto di disposizione patrimoniale con cui, in sede di verbale di separazione consensuale, i coniugi avevano previsto l’assegnazione con diritto di abitazione esclusiva dell’immobile a loro cointestato in parti uguali, che rappresentava la loro abitazione familiare, in favore del coniuge del fallito.
In particolare, il Tribunale di Udine, con la decisione in esame, non dubita della generale revocabilità ai sensi degli artt.64 e 69 lf, nel caso si tratti di atti a titolo gratuito, o ai sensi dell’art.67, primo o secondo comma nel caso in cui si tratti di atti a titolo oneroso, anche degli accordi intervenuti in sede di separazione, nei quali i coniugi, nel quadro della regolamentazione dei loro rapporti patrimoniali, stabiliscano il trasferimento dei beni immobili o la costituzione di diritti reali minori (cfr. Cass. n.8516/2006).
Osserva, tuttavia, il Tribunale come, nel caso di specie, l’assegnazione della casa familiare sia stata disposta a favore del coniuge assegnatario del figlio minore, che continuava a risiedere in tale residenza insieme alla madre e, quindi, tenendo prioritariamente conto dell’interesse dello stesso, in applicazione del principio fissato dall’art.155 quater del cc, con conseguente trascrizione a mente del primo comma di tale norma, ai fini dell’opponibilità ai terzi, e non in funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento del minore stesso e del coniuge, considerato che gli aspetti economici della separazione venivano disciplinati a parte, prevedendo l’accordo il pagamento a carico del coniuge fallito di un assegno di mantenimento sia per il minore che a favore del coniuge.
Il Tribunale, pertanto, rileva come, nel caso in esame, l’assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole fosse infatti finalizzata esclusivamente alla tutela della prole, mentre non potesse essere considerata una componente dell’assegno di mantenimento, pur potendo influire sulla sua misura.
Muovendo da tali presupposti, il Tribunale di Udine ha ritenuto l’atto di disposizione posto in essere dai coniugi, in quanto conforme alla previsione di legge, secondo quanto accertato dallo stesso Tribunale in sede di omologazione della separazione consensuale (riguardando precipuamente l’interesse del figlio minore e non assumendo connotati di mantenimento) non annoverabile nell’ambito degli atti revocabili, fintanto che permangano le condizioni previste nell’accordo in conformità al disposto dell’art.155 quater cc, rappresentate dal mantenimento della residenza da parte della convenuta nell’abitazione familiare, insieme con il figlio minore.
Il Tribunale ha, pertanto, rigettato le domande proposte dalla curatela.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI UDINE SEZIONE II CIVILE
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il dott. Gianfranco PELLIZZONI, in funzione di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di 1° grado iscritta al n. omissis R.A.C.C. promossa con atto di citazione notificato il 29/10/2009, cron. n.2084
da
fallito in bonis
-attrice-
contro
coniuge
-convenuta-
Oggetto:Revocatoria fallimentare
FATTO E DIRITTO
Con atto introduttivo rubricato come in epigrafe il curatore del fallimento del fallito in bonis (dichiarato fallito in data 7/11/2006) citava in giudizio davanti a questo Tribunale il coniuge chiedendo la revoca ai sensi dell’art.64 l.fall. (o in subordine dell’art.69 o dell’art.67, primo e secondo comma l.fall.) dell’atto di disposizione patrimoniale di natura gratuita con cui in sede di verbale di separazione consensuale di data 10/06/2006 (omologata in data 22/06/2006) il fallito in bonis e la coniuge avevano previsto l’assegnazione con diritto di abitazione esclusiva dell’immobile a loro cointestato in parti uguali, sito in Comune di C, che rappresentava la loro abitazione familiare, in favore della coniuge, che debitamente trascritto nei Registri immobiliari sviliva notevolmente il valore dell’immobile e in particolare il valore della quota di proprietà del coniuge fallito.
Si costituiva ritualmente in giudizio la convenuta, contestando la sussistenza dei presupposti dell’azione revocatoria promossa dalla curatela chiedendone il rigetto, in quanto l’atto non era a titolo gratuito, ma rappresentava “il conguaglio a titolo transattivo delle sostanze familiari” e comunque non era stata a conoscenza dello stato di insolvenza del coniuge da cui viveva di fatto separata fin dal lontano 2003 ed era espressione dell’adempimento di un dovere morale del coniuge.
La domanda è infondata e va pertanto respinta.
La curatela ha impugnato l’atto di disposizione patrimoniale con cui il fallito in bonis in sede di separazione consensuale ha concesso al coniuge il diritto di abitazione nella casa coniugale, anche a lui intestata nella misura del 50%, atto che è stato trascritto presso i registri immobiliari in data in data 15/07/2006, ai sensi dell’art.155 quater cc, ma tale domanda appare infondata e da respingere, in quanto l’atto non rientra fra quelli presi in considerazione dagli artt.64 e 69 l.fall. in tema di revocatoria degli atti compiti dai coniugi, né tantomeno fra quelli previsti dall’art.67 l.fall., quale atto di disposizione patrimoniale.
E’ noto infatti che l’art.69 l.fall. nel testo attualmente vigente a seguito della riforma della legge fallimentare prevede la revocabilità degli atti previsti dall’art.67 compiuti fra i coniugi nel tempo in cui il fallito esercitava una impresa commerciale e di quelli a titolo gratuito computi più di due anni prima della dichiarazione di fallimento, ma nel tempo in cui il fallito esercitava una impresa commerciale se il coniuge non prova la inscientia decotionis, estendendo quindi la revocabilità prevista dall’art.64 l.fall. per gli atti a titolo gratuito compiuti nel biennio anche agli atti compiuti anteriormente a tale periodo temporale sospetto.
Per contro l’art.64 l.fall. considera revocabili gli atti di disposizione patrimoniale compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento a titolo gratuito, esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti a titolo di un dovere morale o di pubblica utilità.
Va invero osservato che in sede di separazione consensuale i coniugi avevano nel verbale di data 10/05/2006 (omologato in data 22/06/2006) e quindi pochi mesi prima della dichiarazione di fallimento, previsto l’assegnazione del diritto di abitazione nella casa coniugale alla coniuge, che era anche affidataria insieme al marito del figlio minore D, il quale continuava a risiedere nell’abitazione con la madre, pur avendo il padre l’affidamento congiunto, con obbligo del fallito in bonis di corrispondere un assegno di mantenimento del figlio minore di 500,00 “fino al raggiungimento di adeguata autonomia finanziaria” con corresponsione dello stesso direttamente alla coniuge “fintantoché il figlio continuerà a risiedere con la stessa. In caso di cessazione della convivenza con al madre, l’assegno verrà erogato direttamente al figlio se maggiorenne” e di corrispondere al coniuge un assegno di mantenimento di 1.000,00.
Gli stessi avevano anche previsto che “il fallito in bonis si impegna a trasferire con atto notarile l’immobile sito in C (casa coniugale) alla coniuge a titolo di piena proprietà, a titolo di conguaglio transattivo delle sostanze familiari”, ma a tale accordo non era stata poi data attuazione.
Non vi sono dubbi che anche gli accordi intervenuti in sede di separazione, nei quali i coniugi nel quadro della regolamentazione dei loro rapporti patrimoniali, stabiliscano il trasferimento dei beni immobili o la costituzione di diritti reali minori, rientrino nel novero degli atti revocabili ai sensi degli artt.64 e 69 l.fall nel caso si tratti di atti a titolo gratuito o ai sensi dell’art.67, primo o secondo comma nel caso in cui si tratti di atti a titolo oneroso (cfr. Cass 12/04/2006, n.8516, N.6460/09 secondo cui: “L’accordo con il quale i coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale, stabiliscano il trasferimento di beni immobili o la costituzione di diritti reali minori sui medesimi, rientra nel novero degli atti suscettibili di revocatoria fallimentare ai sensi degli artt.67 e 69 l.fall, non trovando tale azione ostacolo né nell’avvenuta omologazione dell’accordo stesso, cui resta estranea la funzione di tutela dei terzi creditori e che, comunque, lascia inalterata la natura negoziale della pattuizione; né nella pretesa inscindibilità di tale pattuizione dal complesso delle altre condizioni della separazione; né, infine, nella circostanza che il trasferimento immobiliare o la costituzione del diritto reale minore siano stati pattuiti in funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli, venendo nella specie in contestazione, non già la sussistenza dell’obbligo in sé, di fonte legale, ma le concrete modalità di assolvimento del medesimo, convenzionalmente stabilite dalle parti“).
Tale conclusione si impone “a fortiori” allorché il trasferimento immobiliare o la costituzione del diritto reale minore non facciano parte delle originarie condizioni della separazione consensuale omologata, ma formino invece oggetto di un accordo modificativo intervenuto successivamente fra i coniugi, del quale esauriscano i contenuti. (Nella specie, con l’accordo impugnato, il coniuge poi fallito, assegnatario della casa coniugale alla stregua delle condizioni della separazione consensuale omologata, a modifica di tali condizioni, aveva costituito a favore dell’altro coniuge, per tutta la durata della sua vita, il diritto di abitazione sulla predetta casa coniugale, ottenendo in cambio l’esonero dal versamento di una somma mensile, precedentemente pattuito a titolo di contributo alle spese per il reperimento di altro alloggio da parte del coniuge beneficiario).
Va tuttavia osservato che nel caso in esame l’assegnazione della casa familiare è stato disposta a favore del coniuge assegnatario del figlio minore, che continuava a risiedere in tale residenza insieme alla madre e quindi tenendo prioritariamente conto dell’interesse dello stesso, in applicazione del principio fissato dall’art.155 quater del cc, con conseguente trascrizione a mente del primo comma di tale norma, ai fini dell’opponibilità ai terzi, e non in funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento del minore stesso e del coniuge, dato che gli aspetti economici della separazione venivano disciplinati a parte, prevedendo l’accordo il pagamento a carico del fallito in bonis di un assegno di mantenimento per il minore di 500,00 e a favore del coniuge di 1.000,00.
L’assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole è infatti finalizzata esclusivamente alla tutela della prole, mentre non può essere considerata una componente dell’assegno di mantenimento, pur potendo influire sulla sua misura, tantoché non può essere disposta in assenza di figli minori o non economicamente autosufficienti non affidati al coniuge e in questo esclusivo e limitato caso non rientra nel novero degli atti di disposizione patrimoniale, non avendo contenuto economico, dato che gli artt.155 e ss non sono altro che applicazione del generale principio di cui all’art.147 cc in tema di doveri verso i figli e si distinguono nettamente dall’art.156 cc che regola i rapporti patrimoniali fra i coniugi ( sulla natura speciale del diritto di abitazione nella casa coniugale v. Cass., n.9079 del 20/04/2011 secondo cui: «L’art. 156, secondo comma cc stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell’assegno “in relazione alle circostanze ed ai redditi dell’obbligato“, mentre l’assegnazione della casa familiare, prevista dall’art.155 quater cc, è finalizzata unicamente alla tutela della prole e non può essere disposta come se fosse una componente dell’assegno previsto dall’art.156 cc; tuttavia, allorché il giudice del merito abbia revocato la concessione del diritto di abitazione nella casa coniugale (nella specie, stante la mancanza di figli della coppia), è necessario che egli valuti, una volta in tal modo modificato l’equilibrio originariamente stabilito fra le parti e venuta meno una delle poste attive in favore di un coniuge, se sia ancora congrua la misura dell’assegno di mantenimento originariamente disposto», nonché da ultimo Cass., n.1367 del 31/01/2012, secondo cui: “In tema di assegnazione della casa familiare, inizialmente disposta, come nella specie, con ordinanza del presidente del tribunale e poi oggetto di revoca, da parte del tribunale, con la sentenza che definisce il processo di separazione personale tra i coniugi, la natura speciale del diritto di abitazione, ai sensi dell’art.155-quater cc è tale per cui esso non sussiste senza allontanamento dalla casa familiare di chi non ne è titolare e, corrispondentemente, quando esso cessa di esistere per effetto della revoca, determina una situazione simmetrica in capo a chi lo ha perduto, con necessario allontanamento da parte di questi; ne consegue che il provvedimento ovvero la sentenza rispettivamente attributivi o di revoca costituiscono titolo esecutivo, per entrambe le situazioni, anche quando l’ordine di rilascio non sia stato con essi esplicitamente pronunciato”.
(Principio affermato dalla SC con riguardo all’opposizione, esperita dalla coniuge già assegnataria della casa familiare, al precetto notificatole dall’altro coniuge per il rilascio dell’immobile, sulla base della sola sentenza del tribunale di revoca dell’attribuzione).
Ne consegue che l’atto di disposizione posto in essere dai coniugi essendo conforme alla previsione di legge, secondo quanto accertato dallo stesso Tribunale in sede di omologazione della separazione consensuale (riguardando precipuamente l’interesse del figlio minore e non assumendo connotati di mantenimento) non rientra nel novero degli atti revocabili, fintanto che permangono le condizioni previste nell’accordo in conformità al disposto dell’art.155 quater cc, rappresentate dal mantenimento della residenza da parte della convenuta nell’abitazione familiare, insieme con il figlio minore (cfr. a contrariis Cass, n.4735 del 25/02/2011, secondo cui:
“L’assegnazione della casa coniugale disposta sulla base della concorde richiesta dei coniugi in sede di giudizio di separazione, in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, non è opponibile né ai terzi acquirenti, né al coniuge non assegnatario che voglia proporre domanda di divisione del bene immobile di cui sia comproprietario, poiché l’opponibilità è ancorata all’imprescindibile presupposto che il coniuge assegnatario della casa coniugale sia anche affidatario della prole, considerato che in caso di estensione dell’opponibilità anche all’ipotesi di assegnazione della casa coniugale come mezzo di regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, si determinerebbe una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà dell’altro coniuge, in quanto la durata del vincolo coinciderebbe con la vita dell’assegnatario“.
Nella specie la Corte ha confermato la pronuncia di merito che, in accoglimento della domanda di divisione, constatata la non comoda divisibilità dell’immobile e l’assenza di domande di assegnazione, aveva disposto la vendita all’incanto, dopo aver accertato l’inopponibilità al terzo, futuro acquirente, del provvedimento di assegnazione, peraltro trascritto successivamente alla domanda di divisione).
Alla stregua di tali considerazioni appare evidente che l’atto sarebbe stato revocabile solo nel caso in cui avesse costituito un diritto di abitazione perpetuo a favore del coniuge non fallito, andando a sostituire in tutto o in parte l’obbligo di mantenimento, eventualmente anche in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, a regolamentazione esclusiva delle condizioni patrimoniali della separazione e dei rapporti fra i coniugi, mentre nel caso in esame l’assegnazione della casa familiare è chiaramente connessa con l’interesse del minore che continua a risiedervi insieme alla madre affidataria.
Non va infatti dimenticato che l’assegnazione della casa familiare a mente dell’art.155 quater primo comma è di natura temporanea e il coniuge non assegnatario nel caso in cui vengano meno le condizioni ivi previste può sempre chiedere ai sensi della medesima norma la revoca del provvedimento di assegnazione.
Ne consegue che la curatela fallimentare, a prescindere dai termini delle azioni revocatorie, può sempre chiedere, ove cessino le condizioni previste dall’art.155 quater cc, di procedere alla divisione dell’immobile, previo accertamento della sopravvenuta inopponibilità ai terzi anche eventuali futuri acquirenti dello stesso del provvedimento di assegnazione debitamente trascritto, ma non può impugnare l’atto con l’azione revocatoria prevista dalla legge fallimentare non trattandosi di un atto di disposizione patrimoniale ( cfr. ancora Cass cit n.4735/011).
Non vi sono infatti dubbi che gli atti suscettibili di azione revocatoria, anche fallimentare ai sensi dell’art.2901 cc devono avere un contenuto di disposizione patrimoniale, vale a dire devono comportare l’uscita del bene (anche parziale) o del credito dal patrimonio del debitore, non formando più oggetto della responsabilità patrimoniale, dato che l’azione revocatoria fallimentare costituisce solamente una species del genus rappresentato dalla revocatoria ordinaria a prescindere dalla natura indennitaria o meno della stessa ed è quindi escluso che vi rientrano atti come quello in esame che non hanno contenuto patrimoniale, ma sono espressione di un dovere imposto dalla legge ai genitori nei confronti dei figli attinente al mantenimento, istruzione e educazione della prole.
Il pagamento delle spese segue la soccombenza.
PQM
Il Giudice Unico fra le parti definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, eccezione e istanza reietta:
Respinge la domanda in quanto infondata;
Condanna l’attrice al pagamento delle spese, che liquida in 3.350,00, oltre a 120,00 per spese, cna e iva , se dovuta.
Dichiara la presente sentenza immediatamente esecutiva.
Udine, lì 2/03/2013
Il Giudice Unico dott. Gianfranco PELLIZZONI
Depositato in Cancelleria il 27.06.2013
Il Collaboratore di Cancelleria
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