Provvedimento segnalato da Donato Giovenzana – Legale d’impresa
In assenza di un’apertura di credito o in caso di superamento del limite di fido, l’anticipazione di fondi da parte della Banca per conto del cliente costituisce una concessione temporanea di credito, frutto di uno specifico accordo o di mera tolleranza, come tale inidonea a far sorgere in favore del correntista il diritto ad analoghe erogazioni.
Il conto corrente bancario, o conto corrente di corrispondenza, costituisce un negozio giuridico atipico dominato dalle regole del mandato, in quanto la Banca assume l’incarico di compiere nei limiti della sua organizzazione, pagamenti o riscossioni di somme per conto del cliente e secondo le sue istruzioni. La disponibilità del conto può essere costituita con versamenti di somme o con accrediti sul conto, o anche con intervento da parte della Banca, la quale può dar corso ad ordini di pagamento con fondi propri. Quest’ultima modalità di esecuzione dell’incarico può costituire, a sua volta, oggetto tanto di un obbligo preventivamente assunto dalla Banca, la quale si sia impegnata a concedere credito al cliente fino a concorrenza di un determinato importo, per un certo periodo o a tempo indeterminato, quanto di una mera facoltà, il cui esercizio dà luogo, nella complessità del rapporto, ad una prestazione accessoria rispetto a quella principale di mandato assunta dalla Banca: nel primo caso l’accordo intervenuto tra le parti è configurabile come un contratto di apertura di credito, collegato a quello di conto corrente e produttivo di una specifica obbligazione a carico della Banca, ma solo entro i limiti d’importo e di durata preventivamente concordati, mentre nel secondo caso si tratta di una concessione temporanea di credito, dalla quale non può farsi discendere l’obbligo della Banca di provvedere per il futuro ad ulteriori anticipazioni.
La reiterata anticipazione di somme per il pagamento di assegni emessi in carenza di provvista non è di per sè sufficiente a giustificare il riconoscimento a carico della Banca dell’obbligo di far fronte ad ulteriori pagamenti, trattandosi di un comportamento astrattamente ascrivibile anche a mera tolleranza, e quindi inidoneo di per sè ad evidenziare univocamente la volontà di addivenire per facta concludentia ad una modificazione delle condizioni originariamente concordate. Per altro verso, non essendo configurabile tra le parti un rapporto di apertura di credito, in mancanza di un preventivo accordo tra le parti, il rifiuto della Banca di provvedere alla predetta anticipazione non può essere considerato espressione di una facoltà di recesso contrattualmente riconosciutale, con la conseguenza che la responsabilità della stessa non può essere ricondotta neppure alla violazione dell’obbligo di darne preavviso al correntista ai sensi dell’art. 1845 c.c., comma 3, o comunque nei termini imposti dall’osservanza del generale dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto, sancito dall’art. 1375 c.c..
Questi i principi espressi dalla Cassazione civile, sez. prima, Pres. Giancola – Rel. Mercolino, con la sentenza n. 2226 del 30.01.2017.
Nel caso in esame, un correntista, in proprio e nella qualità di socio accomandatario di una società di persone, conveniva in giudizio la Banca, per sentirla condannare al risarcimento dei danni cagionati dal mancato pagamento di alcuni assegni tratti su un conto corrente a lui intestato, e protestati per mancanza di fondi.
In particolare, l’attore, premesso di essere titolare di due conti correnti, assistiti da fidi, a loro volta garantiti da fideiussioni prestate dallo stesso attore e dal coniuge, ed aggiunto che la società era intestataria di un altro conto corrente, non assistito da alcun fido, esponeva che la Banca gli aveva consentito sin dall’inizio dei rapporti di consegnarle assegni postdatati, accreditandone l’importo su un conto ed addebitandoli contestualmente su un altro conto, sul quale veniva poi accreditato il pagamento alla scadenza, salvo poi, rifiutare, senza alcun preavviso, di pagare assegni, richiedendone il protesto, sebbene potesse contare sul possesso di assegni postdatati, sull’utilizzazione del fido per meno della metà del limite abituale e sulle fideiussioni prestate dallo stesso attore e dal coniuge.
Si costituiva in giudizio la Banca, chiedendo il rigetto delle domanda in quanto infondata in fatto ed in diritto e lamentando, all’uopo, che al momento della presentazione degli assegni, il conto corrente sul quale erano stati tratti era privo della necessaria provvista.
Il Tribunale di Ragusa rigettava la domanda e, proposto gravame innanzi alla Corte d’Appello di Catania, il giudice di seconde cure, rilevato, tra l’altro, che, come accertato dal c.t.u. nominato in primo grado, all’epoca della presentazione dei titoli, entrambi i conti correnti intestati all’attore risultavano incapienti, in quanto presentavano una scopertura superiore all’importo dei fidi concessi, rigettava l’appello proposto in quanto infondato.
La Corte, in buona sostanza, escludeva la possibilità di desumere dalla tolleranza degli sconfinamenti una manifestazione di volontà idonea a determinare il superamento degli accordi intervenuti tra le parti ed a giustificare una legittima aspettativa in ordine al pagamento di ulteriori assegni, atteso che nessuna norma giuridica imponeva alla Banca di comunicare al cliente l’avvenuta presentazione allo incasso dei titoli privi di copertura; peraltro, doveva ritenersi del tutto irrilevante il possesso da parte dell’Istituto di credito di assegni postdatati per un cospicuo importo e regolarmente onorati alla scadenza, non essendo quest’ultima tenuta ad anticipare l’importo di assegni postdatati o a considerarli come garanzia, oltre il limite pattuito.
Il Giudice del gravame, premesso inoltre, che l’obbligo di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto non può tradursi, in concreto, in una dilatazione dei limiti o delle modalità delle obbligazioni assunte dalle parti, ma solo nel dovere di preservare gli interessi della controparte finché non risulti pregiudicato l’interesse proprio, precisava che neppure sotto tale profilo la tolleranza manifestata dalla Banca avrebbe potuto condurre ad una rideterminazione delle condizioni pattuite, aggiungendo che l’asserita violazione dell’obbligo di preavvisare il cliente della avvenuta presentazione degli assegni privi di copertura non teneva conto del dovere di consentire la tempestiva levata del protesto, al fine di evitare d’incorrere in responsabilità nei confronti del presentatore, in caso di perdita dell’azione di regresso.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania, proponeva ricorso per Cassazione, affidato ad un solo motivo, il correntista, a cui resisteva con controricorso, illustrato con memoria, la Banca.
Con l’unico motivo d’impugnazione, il ricorrente denunciava la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1175, 1218, 1375, 1845, 2043 e 2697 c.c., del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 64 e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, osservando che, nel ritenere legittimo l’operato della Banca, la sentenza impugnata non aveva considerato che, come accertato dal c.t.u. ed ammesso dalla stessa convenuta nella comparsa conclusionale depositata in appello, essa, diversamente da quanto accaduto in precedenza, aveva omesso di far confluire su un certo conto corrente, tutti gli assegni postdatati in suo possesso, avendoli trattenuti per poi incassarli successivamente.
Il ricorrente, inoltre, aggiunto che, nel ritenere non provate le contestazioni sollevate in ordine alla data di presentazione degli assegni, la Corte di merito non aveva considerato le accertate modalità di svolgimento del rapporto contrattuale, caratterizzate per circa un decennio dal frequentissimo pagamento di importi superiori alla disponibilità esistente, e quindi non ascrivibili a mera tolleranza, ma configurabili come un vero e proprio modus operandi, garantito dal possesso degli assegni postdatati, nonchè remunerativo anche per la Banca, osservava che il recesso dall’apertura di credito avrebbe dovuto essere considerato illegittimo, in quanto esercitato con modalità imprevedibili e contrarie alla buona fede, oltre che lesivo della legittima e ragionevole aspettativa in ordine alla disponibilità degli importi degli assegni non pagati, lamentando, infine, la violazione da parte dell’Istituto di credito, dell’obbligo di preavviso della volontà di cambiare le modalità di svolgimento del rapporto.
La Suprema Corte ribadiva il principio secondo cui in assenza di un’apertura di credito o in caso di superamento del limite di fido, l’anticipazione di fondi da parte della Banca per conto del cliente costituisce una concessione temporanea di credito, frutto di uno specifico accordo o di mera tolleranza, come tale inidonea a far sorgere in favore del correntista il diritto ad analoghe erogazioni.
Il conto corrente bancario, o conto corrente di corrispondenza, infatti, costituisce un negozio giuridico atipico dominato dalle regole del mandato, in quanto la Banca assume l’incarico di compiere nei limiti della sua organizzazione, pagamenti o riscossioni di somme per conto del cliente e secondo le sue istruzioni; la disponibilità del conto può essere costituita con versamenti di somme o con accrediti sul conto, o anche con intervento da parte della Banca, la quale può dar corso ad ordini di pagamento con fondi propri.
Quest’ultima modalità di esecuzione dell’incarico può costituire, a sua volta, oggetto tanto di un obbligo preventivamente assunto dalla Banca, la quale si sia impegnata a concedere credito al cliente fino a concorrenza di un determinato importo, per un certo periodo o a tempo indeterminato, quanto di una mera facoltà, il cui esercizio dà luogo, nella complessità del rapporto, ad una prestazione accessoria rispetto a quella principale di mandato assunta dalla Banca: nel primo caso l’accordo intervenuto tra le parti è configurabile come un contratto di apertura di credito, collegato a quello di conto corrente e produttivo di una specifica obbligazione a carico della Banca, ma solo entro i limiti d’importo e di durata preventivamente concordati, mentre nel secondo caso si tratta di una concessione temporanea di credito, dalla quale non può farsi discendere l’obbligo della banca di provvedere per il futuro ad ulteriori anticipazioni.
In altri termini, secondo la Cassazione, la reiterata anticipazione di somme per il pagamento di assegni emessi in carenza di provvista non è di per sè sufficiente a giustificare il riconoscimento a carico della Banca dell’obbligo di far fronte ad ulteriori pagamenti, trattandosi di un comportamento astrattamente ascrivibile anche a mera tolleranza, e quindi inidoneo di per sè ad evidenziare univocamente la volontà di addivenire per facta concludentia ad una modificazione delle condizioni originariamente concordate.
Pertanto, non essendo configurabile tra le parti un rapporto di apertura di credito, in mancanza di un preventivo accordo tra le parti, il rifiuto della Banca di provvedere alla richiesta anticipazione non può essere considerato espressione di una facoltà di recesso contrattualmente riconosciutale, con la conseguenza che la responsabilità della stessa non può essere ricondotta neppure alla violazione dell’obbligo di darne preavviso al correntista ai sensi dell’art. 1845 c.c., comma 3, o comunque nei termini imposti dall’osservanza.
Per quanto suesposto, la Cassazione civile rigettava il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
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