Provvedimento segnalato da Donato Giovenzana – Legale d’Impresa
In tema di risarcimento del danno da protesto illegittimo di assegno bancario, la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, non è, di per sè sufficiente per la liquidazione del danno, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, fermo restando, tuttavia, l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali potersi desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio.
Il soggetto pluriprotestato ha l’onere di provare che il protesto, benchè illegittimamente elevato, ha leso la sua reputazione professionale, procurandogli un danno sul piano dell’affidabilità commerciale e dell’immagine sociale ulteriore rispetto alla già maturata compromissione di tali valori conseguente ai precedenti plurimi protesti.
Questi i principi espressi dalla Cassazione civile, sez. terza, Pres. Vivaldi – Rel. Moscarini, con la sentenza n. 10904 del 05.05.2017.
Nel caso controverso, la Corte d’Appello di Perugia aveva riformato la sentenza del Tribunale di Perugia che aveva parzialmente accolto la domanda di risarcimento del danno formulata da una società nei confronti di un NOTAIO, ritenuto responsabile di aver pubblicato illegittimamente un protesto, relativo ad operazioni effettuate dalla società, nel bollettino dei protesti anzichè in quello delle cambiali tratte.
La Corte d’Appello, in sintesi, aveva osservato che la mera illegittimità del protesto non poteva determinare una responsabilità risarcitoria del NOTAIO, costituendo un mero indizio del danno, superabile attraverso prove presuntive, dovendo invece essere dimostrata la gravità della lesione e la non futilità del pregiudizio conseguente.
Nella fattispecie, ad avviso della Corte d’Appello, il protesto non era illegittimo, in assenza di accettazione del pagamento della tratta, ma era frutto di un mero errore materiale che aveva determinato la pubblicazione nel bollettino dei vaglia cambiari anzichè in quello delle tratte, in mancanza, peraltro, della prova della lesione alla reputazione della società.
Il Giudice di seconde cure aveva osservato che il danno cagionato dall’illegittima pubblicazione del protesto deve essere non soltanto allegato ma anche provato, eventualmente attraverso presunzioni, specie quando, il soggetto è già protestato.
In questa ipotesi, infatti, il soggetto pluriprotestato ha l’onere di provare che il protesto, benchè illegittimamente elevato, ha leso la sua reputazione professionale, procurandogli un danno sul piano dell’affidabilità commerciale e dell’immagine sociale ulteriore, rispetto alla già maturata compromissione di tali valori, conseguente ai precedenti protesti.
Avverso la decisione della Corte d’Appello, la società proponeva ricorso per Cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria, a cui resisteva il NOTAIO e la Compagnia di Assicurazione con distinti controricorsi.
Con il primo motivo, la società ricorrente denunziava la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., dell’art. 2 Cost., degli artt. 2043 e 2059 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in merito alla prova del danno all’immagine commerciale derivante dall’illegittima pubblicazione del protesto, lamentando il fatto che l’impugnata sentenza aveva mal interpretato le norme relative all’acquisizione delle prove in genere e delle prove presuntive in particolare, laddove aveva escluso che la pubblicazione del protesto potesse determinare un danno in re ipsa al diritto alla reputazione ed aveva invece illegittimamente fatto ricorso a presunzioni per desumere, da precedenti protesti, una prova della già prodotta lesione della reputazione commerciale della società.
La Suprema Corte osservava, sul punto, che la giurisprudenza invocata dalla ricorrente non risultava conferente in quanto, nel riconoscere all’epoca il danno in re ipsa derivante dalla pubblicazione del protesto, aveva pur sempre richiesto la presenza dell’ulteriore elemento della mancata rettifica; che risultava intervenuto tempestivamente nel caso in esame, sì da escludere la potenzialità dannosa dell’erronea pubblicazione.
Peraltro, proseguiva la Corte, la giurisprudenza più recente ha ormai abbandonato la tesi del danno in re ipsa, consolidandosi nel senso di ritenere che, in tema di risarcimento del danno da protesto illegittimo di assegno bancario, la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, non è, di per sè sufficiente per la liquidazione del danno, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, fermo restando, tuttavia, l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali potersi desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio.
Con il secondo motivo, la ricorrente censurava la violazione e/o falsa applicazione della L. 12 febbraio 1955, n. 77, L. 7 marzo 1996, n. 108, L. 18 agosto 2000, n. 235, L. 12 dicembre 2002, n. 273, L. n. 480 del 1995, art. 3 bis D.M. Industria Commercio e Artigianato 9 agosto 2000, n. 316, nonchè dell’art. 2797 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 in merito alla disciplina della pubblicità delle tratte non accettate.
Il Collegio, all’uopo, specificava che, nel caso in esame, il protesto era stato legittimamente levato, ma che a causa di un mero errore del programma informatico, era stato pubblicato non sul bollettino relativo alle cambiali tratte, ma su quello dei vaglia cambiari, seguito però da una tempestiva rettifica del NOTAIO.
Con un terzo motivo, la ricorrente censurava l’impugnata sentenza per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell’art. 24 cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la Corte d’Appello disposto che quelle dei due gradi di giudizio seguissero la soccombenza dell’appellato in favore delle altre due parti del giudizio, ponendo a carico della società, non solo le spese processuali sostenute dal NOTAIO, ma anche quelle sostenute dal terzo chiamato in causa, e cioè dalla Compagnia di Assicurazione.
Gli ermellini, in proposito, richiamavano il principio del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui allorchè il convenuto chiami in causa un terzo ai fini di garanzia impropria, e tale iniziativa non si riveli palesemente arbitraria, legittimamente il Giudice di Appello, in caso di soccombenza dell’attore, pone a carico di quest’ultimo anche le spese giudiziali sostenute dal terzo, ancorchè nella seconda fase del giudizio la domanda di garanzia non sia stata riproposta, in quanto, da un lato, la partecipazione del terzo al giudizio di appello si giustifica sotto il profilo del litisconsorzio processuale, e, dall’altro, l’onere della rivalsa delle spese discende non dalla soccombenza mancando un diretto rapporto sostanziale e processuale tra l’attore ed il terzo, bensì dalla responsabilità del primo di avere dato luogo, con una infondata pretesa, al giudizio nel quale legittimamente è rimasto coinvolto il terzo.
Sulla base di quanto esposto, la Cassazione, confermando la legittimità della decisione della Corte territoriale, rigettava il ricorso, compensando le spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
ASSUME RILIEVO LA DATA DELLA PUBBLICAZIONE DEL BOLLETTINO DEI PROTESTI
Ordinanza | Corte di Appello di Napoli, Pres. Consiglio – Rel. D’Amore | 09.06.2016 | n.2304
L’IMPRENDITORE PROTESTATO ILLEGITTIMAMENTE SUBISCE DANNO D’IMMAGINE
Sentenza | Corte di Cassazione | 14.02.2014 | N.3427
PROTESTO: PER ACCERTARNE L’ILLEGITTIMITÀ VA CONVENUTO IL NOTAIO
IL PUBBLICO UFFICIALE RESPONSABILE DELLA REGISTRAZIONE È PARTE PROCESSUALE NECESSARIA
Sentenza | Cassazione civile, sezione prima | 26.11.2013 | n.26417
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