L’obbligo imposto dall’art. 43 L. ass. di pagare l’assegno non trasferibile al prenditore, non esige obblighi investigativi per verificare che l’identità del prenditore apparente corrisponda a quella del prenditore effettivo, né accertamenti tecnici sui documenti per verificare che non ricorra la contraffazione, soprattutto se non emerge un minimo sospetto in proposito.
Non è responsabile la banca che abbia pagato al beneficiario apparente, quando costui abbia dimostrato con idonea documentazione di identificarsi con il beneficiario indicato nel titolo.
Questi i principi espressi dalla Corte d’Appello di Bologna, Pres. Guidotti – Rel. Caruso, con sentenza n. 362 del 10.02.2017.
Nel caso considerato una compagnia assicurativa proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale con la quale era stata respinta la domanda di risarcimento danni dalla stessa formulata nei confronti della banca per carenza di prova sulla colpa di quest’ultima che aveva pagato un suo assegno a persona non legittimata.
In particolare, la compagnia traente chiedeva in primo grado alla banca girataria il rimborso delle somme che aveva dovuto nuovamente versare al reale beneficiario a causa dell’errore commesso dalla banca, la quale a sua volta si difendeva affermando che l’assegno presentato dalla portatrice riportava solo il nome e il cognome della beneficiaria, che questa era stata identificata mediante patente di guida e codice fiscale, ed infine che l’assegno non era stato pagato per cassa, bensì depositato sul c/c acceso da quest’ultima in siffatta occasione, così che nulla poteva indurla ad avere dei sospetti sulla reale identità della portatrice.
A fondamento del gravame l’appellante deduceva che la responsabilità da attribuire all’istituto di credito fosse da considerarsi come contrattuale, atteso che aveva pagato un assegno non trasferibile a soggetto diverso dal beneficiario, senza verificare l’autenticità della firma del presentatore, né la sua identità, pertanto il Tribunale, a detta della compagnia assicurativa aveva errato lì dove aveva ritenuto che un esperto banchiere non avesse la professionalità sufficiente per rilevare falsificazioni non grossolane e che anzi, a parere dell’appellante, un esperto banchiere avrebbe dovuto sospettare, deduceva pertanto la violazione dell’art. 43 della legge assegni.
Si costituiva in giudizio la banca convenuta impugnando l’atto d’appello e chiedendone il rigetto con vittoria di spese.
La Corte in primo luogo rilevava che i fatti di causa si erano verificati nel 1999 epoca in cui gli istituti di credito non avevano a disposizione mezzi come quelli odierni per verificare l’immediata esistenza e regolarità di un codice fiscale o altri accorgimenti utili per una più accurata identificazione.
Affermava, inoltre, che i documenti esibiti dalla finta beneficiaria, le cui copie erano state prodotte in primo grado dalla banca, apparivano autentici o comunque non evidentemente falsificati, e che la stessa non avendo incassato immediatamente l’assegno, aveva assunto una condotta tale da renderla insospettabile.
La banca girataria, a parere dei giudicanti aveva adottato tutte le cautele e le precauzioni necessarie atteso che sull’assegno non erano indicati i dati anagrafici completi e pertanto in nessun modo avrebbe potuto accertare la falsa identità dell’apparente prenditrice.
Infatti, riteneva che l’obbligo imposto dall’art. 43 L. ass di pagare l’assegno non trasferibile al prenditore, si riferisce al prenditore come risulta identificato nel titolo, e non esige obblighi investigativi per verificare che l’identità del prenditore apparente corrisponda a quella del prenditore effettivo, né accertamenti tecnici sui documenti per verificare che non ricorra la contraffazione, soprattutto se non emerge un minimo sospetto in proposito.
Orbene, la banca non aveva pagato ad un soggetto diverso dal beneficiario, ma al beneficiario apparente in quanto costui aveva dimostrato con idonea documentazione di identificarsi con il beneficiario indicato nel titolo.
Infine, sottolineava che gli assegni erano stati inviati dalla compagnia per posta ordinaria, quindi con un mezzo notoriamente non sicuro e dunque si sarebbe potuta preoccupare di verificare che lo stesso fosse pervenuto nelle mani dell’effettivo beneficiario in modo da impedire che all’impostore di disporre delle somme portate dall’assegno.
Alla luce di tali considerazioni la Corte rigettava l’appello condannando l’appellante alla rifusione delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti provvedimenti pubblicati in rivista:
IL PRINCIPIO DI AUTORESPONSABILITÀ COMPORTA L’ESCLUSIONE DELLA ANTIGIURIDICITÀ DELL’ATTO PER EFFETTO DEL CONSENSO DEL TITOLARE
Sentenza | Tribunale di Nola, Dott. Lorenzo Corona | 02.01.2017 | n.1
L’INVIO TELEMATICO DELLA FOTOGRAFIA DEL TITOLO AL BENEFICIARIO È INDICE DI RESPONSABILITÀ
Decisione | ABF, Collegio di Napoli, Pres. Carriero – Rel. Fauceglia | 21.09.2016 | n.8092
ASSEGNI: SOLO SE L’ALTERAZIONE È RILEVABILE “ICTU OCULI” VI PUÒ ESSERE RESPONSABILITÀ DELLA BANCA
NON È RICHIESTO L’UTILIZZO DI PARTICOLARI ATTREZZATURE PER RILEVARE FALSIFICAZIONE TITOLO ANCHE SE “NON TRASFERIBILE”
Sentenza | Cassazione Civile, sez. prima, Pres. Forte – Rel. Mercolino | 21.06.2016 | n.12806
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