ISSN 2385-1376
Testo massima
Ove non sorgano dubbi sulla solvibilità dell’emittente, l’assegno bancario, ai fini dell’estinzione del debito, deve ritenersi pienamente equiparabile alla moneta contante.
Questo il principio espresso dalla Cassazione civile, sezione terza, con la sentenza n. 26543 del 17 dicembre 2014.
Con la decisione gravata, il Tribunale di Roma, accoglieva l’opposizione proposta da una compagnia assicuratrice avverso l’esecuzione presso terzi incardinata ad istanza del creditore.
Il Tribunale rilevava che il pagamento della somma tramite assegno bancario anziché in danaro doveva ritenersi legittimo e tempestivo in quanto proveniente da una società di assicurazione di primaria importanza; rilevava, infatti, che il trattenimento del titolo da parte del creditore per lunghissimo tempo e senza fornire alcuna spiegazione doveva ritenersi una macroscopica violazione del principio di buona fede, benché l’assegno non fosse stato incassato.
Il ricorrente assumeva che erroneamente il Tribunale avesse equiparato l’assegno bancario, utilizzato nel caso di specie, all’assegno circolare, poiché soltanto quest’ultimo sarebbe stato ritenuto idoneo mezzo di pagamento da parte della Corte Suprema.
Piuttosto, la giurisprudenza di legittimità, pur non avendo mai affermato l’immediata efficacia estintiva dell’obbligazione, con effetto liberatorio per il debitore, in relazione al pagamento con assegno circolare (Cass. S.U. n. 26617/07) e con assegno bancario (Cass. n. 13658/10), ha tuttavia concluso nel senso che “il solo fatto dell’adempimento da parte del debitore, della propria obbligazione pecuniaria con un altro sistema di pagamento (ovverossia di messa a disposizione del valore monetario spettante) – sistema che comunque assicuri ugualmente la disponibilità della somma dovuta – non legittima affatto il creditore a rifiutare il pagamento stesso essendo all’uopo necessario che il rifiuto sia sorretto anche da un giustificato motivo, che il creditore deve “allegare ed all’occorrenza anche provare” (secondo quanto si legge nella sentenza a S.U. del 2010, che, in motivazione, dichiaratamente richiama i principi già espressi dalla sentenza a S.U. del 2007).
Ebbene, nel caso di specie, la Corte ha rilevato che il giudice del merito ha invero fatto buon governo dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità evidenziando in motivazione come la società di assicurazione fosse tra le più note d’Italia e non vi era dunque ragione per dubitare della solvibilità della medesima. Pertanto, il trattenimento del titolo da parte del creditore per lunghissimo tempo e senza fornire alcuna spiegazione doveva necessariamente ritenersi una macroscopica violazione del principio di buona fede, benché l’assegno non fosse stato incassato.
In conclusione la Corte ha rigettato il ricorso con condanna al pagamento delle spese processuali equiparando l’assegno bancario alla moneta contante.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 331/2014