Solo ove previsto dall’associazione, può riconoscersi in capo a quest’ultima la titolarità dei crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente, dato che il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi.
L’associazione professionale costituisce un fenomeno regolato dall’art. 36 c.c. La norma stabilisce che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati. Solo ove il giudice del merito accerti tale circostanza tramite l’esame dello statuto dell’associazione, può riconoscersi in capo a quest’ultima la titolarità dei crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente, dato che il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi.
Questo è il principio fissato dalla Corte di Cassazione, Sez. II civ., Pres. San Giorgio – Rel. Fortunato, con l’ordinanza n. 8358 del 29.04.2020
Uno studio legale associato ha ottenuto un’ingiunzione di pagamento, a titolo di spettanze professionali per attività giudiziali e stragiudiziali svolte in favore di una società cliente che ha proposto opposizione, sostenendo di aver conferito l’incarico ad un singolo avvocato, e non allo Studio associato, non essendo quest’ultimo legittimato a richiedere il pagamento. All’esito del giudizio, il Tribunale ha revocato l’ingiunzione, ritenendo che l’incarico non potesse esser conferito allo studio professionale, stante la natura personale dell’attività difensiva, e che non vi fosse prova che l’associazione fosse legittimata ad assumere incarichi.
La decisione è stata integralmente riformata in appello ove il collegio ha sostenuto che non può esser messo in dubbio che il mandato professionale debba esser conferito, per necessità pratiche oltre che per prescrizione di legge, al singolo avvocato che faccia parte dell’associazione, il quale dovrà occuparsi personalmente della pratica, ma che non vi siano divieti perché l’associazione professionale di avvocati possa stipulare contratti ed esser titolare di rapporti e non solo in ambito stragiudiziale.
Quindi, nulla impedisce al cliente di essere assistito da un’associazione professionale, fermo restando che i singoli professionisti abilitati debbano gestire la pratica.
La Corte d’Appello ha, inoltre, evidenziato che, come risultante dagli atti, l’appellante era solita da anni contattare lo studio legale associato per pratiche giudiziali e di consulenza, senza individuare uno specifico professionista, poi designato di volta in volta dall’associazione, ed è giunta alla conclusione che lo studio professionale e non il singolo associato fosse stato officiato della pratica, potendo pretendere il pagamento del compenso.
La sentenza della corte di merito è stata impugnata per cassazione dalla società cliente sulla base di tre motivi di ricorso.
La Suprema Corte, nell’affrontare il thema decidendum, ha rappresentato che, nel caso in esame, non vi era la prova che l’incarico fosse stato conferito all’associazione e che quest’ultima detenesse il potere di stipulare contratti e acquisire la titolarità dei rapporti con i clienti, non essendo tale prova emersa dall’esame dell’atto costitutivo e non essendo ammissibili le prove testimoniali, assunte in violazione dei limiti ex articolo 2722 cc.
Gli Ermellini hanno, altresì, precisato che, nonostante il legale facesse parte di uno studio associato, nulla impediva che potesse svolgere anche personalmente l’attività, vista la natura personale dell’attività oggetto del mandato professionale. Cosa differente si prospetta quando l’associazione sia regolata da appositi accordi, che possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti ed ad acquisire la titolarità dei rapporti.
Pertanto, solo ove il giudice del merito accerti tale circostanza tramite lo statuto dell’associazione, può riconoscersi in capo a quest’ultima la titolarità dei crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, la Suprema Corte ha accolto il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiarando assorbite le altre censure, ed ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
OPPOSIZIONE A D.I.: LE ASSOCIAZIONI TRA PROFESSIONISTI NON SONO CENTRO AUTONOMO DI INTERESSI
GRAVA SUI SINGOLI ASSOCIATI LA RESPONSABILITÀ PER L’ADEMPIMENTO DELLE OBBLIGAZIONI VERSO TERZI
Sentenza | Tribunale di Viterbo, Giudice Marianna Barlati | 13.11.2018 | n.1526
NESSUN COMPENSO AL PROFESSIONISTA PER MANCATO SVOLGIMENTO DELL’OPERA PROFESSIONALE
IN CASO DI RECESSO IL CLIENTE PUÒ CONSEGUIRE IL RIMBORSO PER L’ACCONTO VERSATO PER LA PRESTAZIONE PROFESSIONALE FUTURA
Sentenza | Cassazione civile, sezione sesta | 07.11.2012 | n.19265
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