In tema di espropriazione forzata, il divieto di acquisto previsto, a pena di nullità, dal combinato disposto del primo comma, n. 2, e del secondo comma dell’art. 1471 c.c. per il pubblico ufficiale relativamente ai beni venduti per suo ministero si applica ai soggetti che istituzionalmente concorrono o possono concorrere allo sviluppo della procedura esecutiva e, pertanto, tra gli altri, al giudice dell’esecuzione designato per la procedura e ai suoi sostituti istituzionali od occasionali – ossia ai magistrati appartenenti allo stesso ufficio che gli siano subentrati o possano subentrargli per uno o più atti della procedura stessa o per le azioni di cognizione ad essa collegate in forza di previsioni di legge o di tabella di organizzazione che chiaramente e univocamente li identifichino -, ma non si estende ai magistrati che, ancorché in servizio presso il tribunale che procede alla vendita, a meno di specifiche previsioni tabellari o di peculiari vicende in fatto, non siano stati, né potrebbero essere coinvolti o comunque interferire nel procedimento, così che la partecipazione all’asta da parte di questi ultimi, pur assumendo rilevanza ai fini della responsabilità disciplinare, non incide sulla validità dell’acquisto.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, sez. III civ., Pres. Vivaldi – Rel. De Stefano, con la sentenza n. 4149 del 13.02.2019.
IL CASO
Nel corso di una procedura di espropriazione immobiliare attivata dal Tribunale di Lecce nei confronti di due debitori esecutati, ad aggiudicarsi uno dei lotti dei beni staggiti era stato il gip dello stesso tribunale, al cui favore era stato già pronunciato decreto di trasferimento. I debitori esecutati avevano presentato ricorso chiedendo la nullità del decreto in quanto emesso a favore di magistrato in servizio presso lo stesso ufficio giudiziario che lo aveva pronunciato, in addotta violazione del divieto di acquisto di cui all’art. 1471 c.c. (comma 1, n. 2).
Nel merito, il Tribunale di Lecce aveva accolto l’opposizione, siccome la sanzione della nullità della vendita in favore dei pubblici ufficiali dei beni venduti per ministero del loro ufficio doveva estendersi a tutti i magistrati in servizio presso l’ufficio giudiziario sotto la cui autorità si procede ad esecuzione forzata.
L’aggiudicatario ha proposto ricorso per Cassazione, i debitori esecutati hanno resistito con controricorso.
IL RIFERIMENTO NORMATIVO
L’articolo di riferimento del codice civile che si presume violato è l’art. 1471, il quale dispone che non possono essere compratori (nemmeno all’asta pubblica) né direttamente né per interposta persona gli amministratori dei beni dello Stato, dei comuni, delle province o degli altri enti pubblici, rispetto ai beni affidati alla loro cura; gli ufficiali pubblici, rispetto ai beni che sono venduti per loro ministero; coloro che per legge o per atto della pubblica autorità amministrano beni altrui, rispetto ai beni medesimi; i mandatari, rispetto ai beni che sono stati incaricati di vendere, salvo il disposto dell’articolo 1395 cc.
Il primo elemento che risulta evidente dall’art. 1471 c.c. è dato dal fatto che la violazione del divieto di acquistare è sanzionata con la nullità o annullabilità dell’atto di acquisto.
LA DECISIONE
La Suprema Corte ha osservato come la ratio del divieto di cui all’art 1471 c.c. sia quella di impedire possibili abusi e prevenire l’insorgenza di situazioni di conflitto d’interessi da parte di soggetti che svolgono peculiari funzioni pubbliche.
La pronuncia in esame, individua i diversi destinatari del divieto sancito dalla succitata norma, tra cui vengono annoverati al punto 2 gli “ufficiali pubblici, rispetto ai beni che sono venduti per loro ministero”. Il divieto colpisce tutti coloro i quali, nell’esercizio di una pubblica funzione, prendono parte alla procedura relativa al trasferimento coattivo di un bene da un soggetto ad un altro soggetto; dunque, considerato che l’esecuzione forzata inizia mediante la sottrazione del bene alla libera disponibilità del proprietario con l’atto di pignoramento e si conclude con l’assegnazione o nella vendita all’aggiudicatario: dunque esso non opera soltanto nei confronti del giudice dell’esecuzione, ma anche dei cancellieri e ufficiali giudiziari; in particolare, il divieto si estende a tutti gli ufficiali giudiziari dell’ufficio medesimo, perché l’attività del funzionario o dell’ufficiale pubblico non è mai personale, potendo essere esercitata da uno qualsiasi dei funzionari o pubblici ufficiali addetti all’ufficio.
Il divieto di comprare, quindi, colpisce, nell’espropriazione, non solo i soggetti che necessariamente – concorrono o possono normalmente concorrere allo sviluppo della procedura (ad esempio, il cancelliere o l’impiegato della cancelleria direttamente coinvolto e, ovviamente, il giudice dell’esecuzione), ma anche i loro, potenziali od effettivi, sostituti occasionali o istituzionali, i quali cioè a loro sono subentrati, subentrano o potrebbero subentrare per uno o più atti della procedura stessa per previsione di legge o di.
Allo stesso modo, nell’espropriazione immobiliare, il divieto in esame si riferisce anche agli altri pubblici ufficiali in quella coinvolti istituzionalmente: in particolare lo stimatore, il custode, il delegato, l’avvocato della procedura. Per l’effetto – prosegue la Suprema Corte – il divieto non può estendersi anche ad un altro giudice che non potrebbe essere in alcun modo, né in concreto né potenzialmente coinvolto per ragioni istituzionali o comunque interferire con il trasferimento del bene. Anche se il giudice appartiene allo stesso Tribunale, come nel caso di specie. Pertanto, la Cassazione ha accolto tale motivo di ricorso presentato dall’aggiudicatario.
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