Quando il prezzo di vendita di un bene pignorato da un creditore subisce un eccessivo ribasso rispetto all’effettivo valore dello stesso a causa di una serie di aste giudiziarie andate deserte, il Giudice può, a norma dell’art. 586 comma 1 c.p.c., anche all’esito di aggiudicazione, “sospendere la vendita quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto”; per evitare che l’espropriazione del debitore si risolva in una svendita dei suoi beni, che lascerebbe sostanzialmente invariato il rapporto debitorio ed andrebbe unicamente a vantaggio del terzo acquirente e/o dell’eventuale unico creditore privilegiato che ottenga un soddisfacimento economico.
In tali ipotesi si verifica, a seconda dei casi, l’impossibilità di pronunziare il decreto di trasferimento del bene, la revoca dell’aggiudicazione e degli atti ad essa consequenziali con conseguente restituzione delle somme versate dagli aggiudicatari ed – eventualmente – la fissazione di un nuovo procedimento di vendita adeguando il prezzo base rispetto al reale valore del bene.
La disposizione in esame è stata introdotta dall’art. 19 bis della L. n. 203/91, legge pensata e studiata per la lotta alla criminalità organizzata e per contrastare il fenomeno delle cd. “vendite pilotate”.
La particolare destinazione di tale intervento legislativo ha fatto molto discutere circa l’ambito di applicazione della nuova norma, dibattendosi nello specifico sul “se” il potere sospensivo accordato al Giudice potesse essere esercitato solo in presenza di illegittime interferenze “criminose”.
La giurisprudenza in un primo momento si è orientata in questo senso, per poi definitivamente abbandonare tale interpretazione chiarendo che la sproporzione tra il giusto prezzo e quello offerto, affinché si realizzi la condizione richiesta per la sospensione della vendita, non deve necessariamente derivare da interferenze illecite ma ben può discendere da fattori del tutto fisiologici, come appunto quello di eccessivi ribassi conseguenza di una serie di aste deserte.
La norma tace in merito ai criteri di individuazione “del giusto prezzo” tanto al fine non ancorare la possibilità di concedere la sospensione a riferimenti o parametri precisi, allo scopo di consentirne la adattabilità alla varietà delle ipotesi possibili, purché sussista una notevole sproporzione tra il prezzo di aggiudicazione e quello giusto o corrente di mercato del cespite pignorato.
In tal modo, il Giudice dell’esecuzione, ai fini della valutazione, può avvalersi di elementi, anche indiziari, di natura più varia, quali, ad esempio, i fatti notori, la presentazione tardiva di offerte all’incanto, il deposito di offerte di aumento del sesto, le notizie e le informazioni dovunque e da chiunque attinte, i fatti nuovi e sopravvenuti alla stima del bene immobile oggetto della vendita all’incanto.
FOCUS
Il potere di sospensione della vendita riconosciuto al Giudice dell’Esecuzione è funzionale ad assicurare che la procedura esecutiva sia sorretta da un effettivo interesse economico, che sarebbe frustato dalla prosecuzione di un’azione infruttuosa, vanamente costosa e, dunque, antieconomica.
Nella stessa direzione – ma con presupposti e modalità differenti – si è mosso il legislatore nel 2014, allorquando ha introdotto l’istituto della estinzione della procedura esecutiva immobiliare per infruttuosità della vendita, di cui all’art. 164-bis delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile.
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