Durante il procedimento di vendita nell’ambito dell’esecuzione immobiliare, è frequente che l’immobile pignorato subisca un progressivo ribasso del prezzo.
Ciò favorisce senza dubbio i potenziali acquirenti, i quali possono formulare offerte di acquisto dell’immobile ad un prezzo ben al di sotto di quello di mercato, ma risulta particolarmente sfavorevole sia per il creditore pignoratizio che per il debitore esecutato.
Ed invero, mentre il primo, a causa dei continui ribassi, corre il rischio di vedere aumentare i costi processuali e di veder parzialmente soddisfatto il proprio credito, il secondo, rischia di “perdere” l’immobile di sua proprietà ad un prezzo così basso da risultare assolutamente inidoneo a soddisfare le pretese dei suoi creditori.
In questi casi la prosecuzione della procedura può risultare antieconomica.
Prima della riforma del 2014, in mancanza di una disciplina normativa specifica, la giurisprudenza di merito aveva fatto ricorso alla cosiddetta “estinzione atipica”, nei casi in cui il processo esecutivo non potesse raggiungere il proprio scopo “tipico”, individuato nel conseguimento di un effettivo realizzo e nel soddisfacimento, quantomeno parziale, del credito azionato; tuttavia, la Suprema Corte con la sentenza n. 27148/2006 aveva espressamente censurato tale prassi in quanto contrastante con il principio della tassatività delle ipotesi di estinzione del processo esecutivo (c.d. ipotesi tipiche).
Con il decreto legge n. 132 del 2014 si è provveduto a colmare tale vuoto legislativo, con l’introduzione dell’art.164-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, rubricato, appunto, “Infruttuosità dell’espropriazione forzata”, a mente del quale “quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo”.
Tale norma ha introdotto di fatto una fattispecie tipica di chiusura anticipata dell’esecuzione forzata per impossibilità della stessa di raggiungimento del suo scopo, che si concretizza nel ragionevole soddisfacimento delle pretese creditorie, anche se parziale purché significativo.
È bene evidenziare che, in ogni caso, tale fattispecie costituisce un caso limite, applicabile non in tutte le ipotesi di notevole riduzione del prezzo di vendita, ma unicamente laddove il valore del bene sia così irrisorio da non coprire, ragionevolmente, neppure i costi necessari per la vendita.
Come sottolineato da attenta giurisprudenza, però, il legislatore non intende tanto tutelare l’interesse del debitore a non vedere svenduto il proprio bene, bensì sembra semplicemente voler vigilare sul buon andamento della giustizia, evitando che proseguano inutilmente procedure esecutive inidonee a consentire il soddisfacimento degli interessi dei creditori, con inutile dispendio di risorse.
Non vi sono criteri predeterminati al fine di stabilire quando la procedura possa dirsi “infruttuosa”, ma la norma indica espressamente due parametri da valutare:
in primo luogo, la circostanza che, pure a seguito di molteplici esperimenti di vendita, il bene non abbia suscitato interesse nel mercato, e ciò nonostante la pubblicità attuata ed il fatto che sia stato posto in vendita ad un prezzo estremamente esiguo in valori assoluti; in secondo luogo, la considerazione che la prosecuzione dei tentativi di vendita non consentirebbe un soddisfacimento “ragionevole” delle pretese dei creditori.
FOCUS
Nel motivare la decisione della chiusura anticipata ai sensi dell’art. 164-bis delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile, il giudice dell’esecuzione deve tener conto di quanto previsto dall’art. 591 del codice di procedura civile e pertanto valutare le eventuali soluzioni alternative all’estinzione. Tra queste: il ricorso all’amministrazione giudiziaria, la fissazione di nuove condizioni di vendita o forme di pubblicità. Deve inoltre considerare, caso per caso, la vetustà della procedura, i plurimi tentativi di vendita esperiti e l’irrisorietà del prezzo ribassato tale da non garantire neppure il recupero delle spese di procedura.
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