Segnalata dall’Avv. Andrea Fioretti del foro di Roma
La consulenza tecnica preventiva ex art 696- bis deve avere in sé la potenzialità di esaurire tutti gli aspetti della controversia ai fini della conciliazione della causa di modo che non vi siano altre questioni, diverse da quelle oggetto della consulenza, in contestazione tra le parti, in quanto, diversamente ragionando, la consulenza tecnica preventiva si trasformerebbe in un accertamento tecnico preventivo privo del requisito dell’urgenza e, quindi, in un’anticipazione della consulenza che può essere disposto nel corso della causa di merito e perderebbe la sua natura di strumento peculiare diretto alla conciliazione della controversia.
Eventuali valutazioni in diritto non possono essere compiute, neppure incidenter tantum, dal giudice della procedura, che deve soltanto esaminare la sussistenza del fumus boni iuris, ma non può spingersi sino a surrogarsi nell’attività propria del giudice del merito, a meno di non trasformare l’istituto di cui all’art. 696 bis c.p.c. in una procedura ibrida, in cui la risoluzione della controversia sarebbe in parte affidata alle decisioni del giudice e, nel residuo, alle valutazioni del C.T.U., replicando sostanzialmente il modello del giudizio di merito e stravolgendo le finalità della consulenza tecnica preventiva ai fini della conciliazione della lite.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Pisa, Dott. Stefano Laganà, con l’ordinanza del 02.06.2017.
Nel caso di specie dei mutuatari proponevano ricorso ex art. 696 bis nei confronti della Banca mutuante al fine di verificare se l’indicatore sintetico di costo (ISC) indicato nel contratto di mutuo stipulato tra le parti fosse corrispondente all’ISC calcolato in base alle condizioni previste contrattualmente utilizzando la formula matematica finanziaria stabilita dalla Banca d’Italia e, specificamente, la metodologia del T.A.E.G. di cui al D.M. 08.07.1992, chiedendo, nel caso in cui fosse maggiore, di ricalcolare il piano di ammortamento del mutuo, gli importi versati in eccedenza, il debito residuo nonché l’importo delle rate future.
Si costituiva in giudizio l’Istituto di credito eccependo l’inammissibilità della domanda.
In merito il giudicante rilevava che la procedura ex art. 696 bis c.p.c. integra uno strumento alternativo di risoluzione delle controversie che ha il fine di chiudere la lite insorta tra le parti senza ricorrere al giudizio a cognizione piena ed osservava che dalla natura della procedura deriva, da un lato, che la consulenza tecnica richiesta deve avere in sé la potenzialità di esaurire tutti gli aspetti della controversia ai fini della conciliazione della causa e, dall’altro che non vi siano altre questioni in contestazione tra le parti, in quanto, altrimenti verrebbe a mancare il requisito dell’urgenza e lo strumento si trasformerebbe in un’anticipazione della consulenza che può essere disposta nel corso della causa di merito, perdendo la sua natura di strumento peculiare diretto alla conciliazione e trasformandosi in una procedura ibrida, in cui la risoluzione della lite sarebbe in parte affidata alle decisioni del giudice ed, in via residuale, alle valutazioni del C.T.U., replicando sostanzialmente il modello del giudizio di merito.
Sulla base di tali premesse il giudice sottolineava che le domande formulate dai ricorrenti presupponevano la preventiva risoluzione di altre giuridicamente e logicamente antecedenti le quali, se risolte in senso positivo per la resistente, sarebbero state dirimenti in ordine a quella oggetto della richiesta di consulenza tecnica.
In particolare prima di disporre la CTU sarebbe stato necessario verificare in primis la disciplina ratione temporis applicabile ed inoltre se, a fronte di una riscontrata divergenza tra l’ISC contrattuale e quello ricalcolato dal perito, si sarebbe determinata un’ipotesi di nullità parziale del contratto, con l’effetto della pretesa alla restituzione dell’indebito versato o un’ipotesi di inadempimento contrattuale o, ancora, un’ipotesi risarcitoria da fatto illecito.
Il Tribunale toscano considerato, dunque, che tali valutazioni in diritto non possono essere compiute, neppure incidenter tantum, dal giudice della procedura il quale deve soltanto esaminare la sussistenza del fumus boni iuris, dichiarava inammissibile il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
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