Nel processo civile telematico e nelle notifiche PEC ai sensi della legge n. 53/1994 il documento informatico risultante dalla trasformazione di un originale analogico ed allegato all’atto processuale, da notificarsi con modalità telematica, deve essere munito di firma CAdES e recare l’estensione «p7m», allorché tale estensione è indispensabile per garantire l’autenticità del file.
Da rimettere alle Sezioni Unite la valutazione della questione di massima di particolare importanza attinente agli effetti della violazione delle disposizioni tecniche specifiche sulla forma degli “atti del processo in forma di documento informatico” (o, descrittivamente, nativi informatici) da notificare – riferendosi i precedenti di legittimità noti a fattispecie di atti in formato analogico e poi trasformati e notificati in via telematica, ovvero ad altre più articolate, ma non esattamente negli specifici termini di cui appresso – e, in particolare, sull’estensione (che indica o descrive il tipo) dei file in cui essi si articolano, ove siano indispensabili per valutare la loro autenticità: sicché va stabilito se esse prevedano o meno una nullità di forma e, quindi, se questa sia poi da qualificarsi indispensabile ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, rendendosi – in caso di risposta affermativa al quesito necessario poi definire l’ambito ed i limiti dell’applicabilità alla fattispecie del principio generale di sanatoria degli atti nulli in caso di raggiungimento dello scopo previsto dall’art. 156 c.p.c., comma 3.
Il Legislatore tecnico ha inteso offrire, con l’imposizione dell’elaborazione del file in documento informatico con estensione “p7m”, la massima garanzia possibile, allo stato, di conformità del documento, non creato ab origine in formato informatico ma articolato anche su di una parte o componente istituzionalmente non informatica, quale la procura a firma analogica su supporto tradizionale, al suo originale composito, incorporando appunto i due documenti in modo inscindibile e, per quel che rileva ai fini processuali e soprattutto se non altro con riferimento alla presente fattispecie – della regolare costituzione nel giudizio di legittimità (per la quale è da sempre stata considerata quale presupposto indispensabile la ritualità della procura speciale), con assicurazione di genuinità ed autenticità di entrambi in quanto costituenti un unicum;
Questi i principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione civile, Pres. ARMANO – Rel. DE STEFANO, nella ordinanza interlocutoria n. 20672 del 31.08.2017 con la quale sono stati rimessi gli atti al Primo Presidente, affinché valuti l’opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite sulla questione di particolare importanza relativa alla interpretazione della prescrizione sulla forma dell’atto indispensabile al raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., comma 2) posta a pena di nullità, nonché, in caso di risposta affermativa, sull’applicabilità (e relativi presupposti ed eventuali limiti) del principio di sanatoria dell’atto nullo in caso di raggiungimento dello scopo.
Nella fattispecie processuale esaminata, una BANCA ricorreva in Cassazione avverso il provvedimento con il quale il Tribunale aveva rigettato l’opposizione dalla medesima proposta accogliendo invece la contestazione del credito proposta dai creditori procedenti nel procedimento di espropriazione presso terzi promosso contro il debitore esecutato.
In particolare, la BANCA notificava a mezzo PEC un primo ricorso in data 27/06/2016, a mezzo del quale il difensore dichiarava di agire in forza di procura generale alle liti del 29/10/2010, ed ulteriore ricorso (tardivo n.d.r.) sempre a mezzo PEC del 19/09/2016, nella cui intestazione il procuratore continuava a riferirsi unicamente alla procura generale del 29/10/2010, seppur recante acclusa una procura speciale del legale rappresentante di BANCA, disposta in favore del medesimo difensore notificante il primo ricorso.
Si costituivano in giudizio, con separati controricorsi, i creditori procedenti eccependo, relativamente al primo ricorso, l’inammissibilità per carenza di procura speciale e, per il secondo, il vizio derivante dalla sua reiterazione.
Si difendeva la BANCA ricorrente sollevando questione di ritualità della notifica di uno dei controricorsi, siccome avvenuta con allegazione al messaggio di PEC di tre file in formato “.pdf” e non “p7m“, ragion per cui eccepiva la mancanza della firma digitale, ribadendo, invece, la ritualità della procura allegata al proprio ricorso notificato per secondo, siccome appunto sottoscritta digitalmente con file con estensione “.p7m“.
Il Collegio ha, in via preliminare, ritenuto accogliere la doglianza di inammissibilità del ricorso (rectius ricorsi) perché, il primo, formato da difensore privo di procura speciale (non potendo valere la procura generale del 2010 per impugnare una sentenza del 2016) ed il secondo perché tardivo, ovvero proposto una volta decorso il termine breve, sebbene relativo ad un’impugnazione inammissibile (in tali sensi, da ultimo ed ove riferimenti, Cass. Sez. U. 13/06/2016, n. 12084, già ricordata da Cass. 08/03/2017, n. 5793), non valendo a sanare l’inammissibilità del primo ricorso per difetto di valida procura la rinnovazione della sua notifica, una volta scaduti i termini per l’impugnazione.
Nonostante la decisione in merito alla inammissibilità, la Corte non definisce il giudizio poiché, al fine di regolare le spese nei rapporti tra la ricorrente ed uno solo dei controricorrenti, ritiene dover valutare la formale eccezione proposta dalla banca ricorrente nelle proprie memorie circa la presunta irregolarità di uno dei controricorsi notificati a mezzo PEC e contenenti dei file recanti l’estensione “.pdf”.
La Corte ritiene che tale problematica sollevata investa una “questione di massima di particolare importanza” avente ad oggetto gli effetti della violazione delle disposizioni tecniche specifiche sulla forma degli “atti del processo in forma di documento informatico“, o meglio sui cd. nativi informatici da notificare, ed in particolare, sull’estensione dei file in cui essi si articolano, ove siano indispensabili per valutare la loro autenticità.
Ad avviso del Collegio nel processo civile telematico e nelle notifiche PEC ai sensi della legge n. 53/1994 solo la firma digitale CAdES recante l’estensione “.p7m” sul documento informatico (risultante dalla trasformazione di un originale analogico ed allegato all’atto processuale), garantisce l’autenticità del file.
Di conseguenza, la Suprema Corte, ha ritenuto di considerare firmato digitalmente il solo file con l’estensione “.p7m” mentre un file con la sola estensione “.pdf” dovrà sempre ritenersi privo di firma digitale.
Invero la L. n. 53/1994, all’art. 19 bis, rubricato (Notificazioni per via telematica eseguite dagli avvocati – art. 18 del regolamento DM 44 /2011) prevede che:
“1. Qualora l’atto da notificarsi sia un documento originale informatico, esso deve essere in formato PDF e ottenuto da una trasformazione di un documento parti; non è ammessa la scansione di immagini. Il documento informatico così ottenuto è allegato al messaggio di posta elettronica certificata.
2.Nei casi diversi dal comma 1, i documenti informatici o copie informatiche, anche per immagine, di documenti analogici, allegati al messaggio di posta elettronica certificata, sono privi di elementi attivi, tra cui macro e campi variabili, e sono consentiti in formato PDF delle specifiche tecniche del processo telematico (notificazioni per via telematica eseguite dagli avvocati), emanate in attuazione a quanto previsto nel codice dell’amministrazione digitale, al comma 1 e al comma 2 consentono l’utilizzo del file con estensione .pdf”
Tale norma, letta anche in combinato disposto con l’art. 18 del regolamento DM 44/2011(Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n.24), secondo cui “1. L’avvocato che procede alla notificazione con modalità telematica ai sensi dell’articolo 3-bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53, allega al messaggio di posta elettronica certificata documenti informatici o copie informatiche, anche per immagine, di documenti analogici privi di elementi attivi e redatti nei formati consentiti dalle specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34.”, rende sufficientemente chiaro che gli allegati con estensione “.pdf” sono consentiti sia come nativi digitali sia come documenti scannerizzati per immagine dell’atto cartaceo ed entrambi utilizzabili anche nel processo civile telematico.
Quest’ultima ipotesi di file formato da scannerizzazione dell’originale analogico, in particolare, può essere più frequente laddove si tratti di atti relativi a giudizi pendenti dinanzi alle giurisdizioni non ancora abilitate al processo civile telematico (Suprema Corte di Cassazione e Giudici di pace) e rendono possibile che si generino forme “miste” (a titolo esemplificativo, ad esempio, il caso di notifica di un ricorso per Cassazione o del controricorso con allegazione, come nel caso di specie, della procura speciale creata come scansione dell’originale analogico o, ancora, il caso di un atto processuale introduttivo di una causa di cognizione, per il quale la forma “nativa digitale” non è obbligatoria dinanzi al Tribunale ed alla Corte d’Appello, che attualmente prevedono ancora un c.d.“doppio binario”.
La Cassazione, invece, ritiene che firmato digitalmente è il solo file avente l’estensione “.p7m” ritenendo privo di firma digitale il file il cui nome termina con “.pdf”, facendo così prevalere la forma (il nome informatico di un file) sulla sostanza giuridica dell’atto che solo apparentemente può risultare non firmato, così finendo per ritenere erroneamente che nel processo civile telematico e nelle notifiche effettuate ai sensi della legge n. 53/1994 a mezzo PEC, sia valida solo la firma digitale CAdES (che aggiunge al file l’estensione “.p7m”); non è valutata neanche ipoteticamente dal Supremo Collegio la possibile legittimità dell’utilizzo delle altre tipologie di firme digitali ammesse nel nostro ordinamento dalle vigenti normative tra cui la firma PAdES e la firma XAdES, che, pur permettendo la regolare apposizione della firma digitale, lasciano rimanere le rispettive originarie estensioni “.pdf” e “.xml”, non aggiungendo l’effetto “visivo” dell’estensione “.p7m”.
Comprendere la ratio del ragionamento che ha portato all’enunciazione di tale principio risulta ancor più arduo laddove è la stessa Suprema Corte che, nell’argomentare, enuncia con rigore tutti gli acronimi identificativi delle diverse tipologie di metodo con cui apporre le firme digitali “PAdES-BES (o PAdES Part 3) o CAdES-BES”, rendendo chiaro di conoscerne l’esistenza quali differenti mezzi con cui si giunge però al medesimo risultato: firmare digitalmente l’atto giuridico.
Molti operatori del diritto che posseggano una media conoscenza delle dinamiche della notificazione a mezzo PEC e del processo civile telematico, avranno avuto modo di verificare in questi anni che spesso gli atti giuridici utilizzati, benché posseggano estensioni diverse (in primis quella “.pdf”) dal tanto celebrato “.p7m” possono comunque risultare regolarmente firmati digitalmente. Ed infatti molte volte un’avvertenza volta ad informare il destinatario è posta dai colleghi più solerti anche nel corpo del messaggio PEC notificato in cui precisano che alcuni degli allegati al messaggio sono documenti firmati digitalmente dal mittente e segnalano le modalità da seguire per scaricarli correttamente fino a spingersi ad elencare a titolo esemplificativo i programmi (gratuiti e non) utilizzabili per poter visualizzare correttamente i file e leggere altresì i dati relativi alla firma apposta (data, certificati di firma, dati del notificatore).Utilizzando un applicativo apposito, infatti, è possibile per chiunque verificare gli estremi della firma digitale apposta e i dati dei relativi certificati del soggetto firmatario.
L’assunto da cui Parte il Supremo Collegio, invece, porta a gravi conseguenze poiché impone di qualificare come irregolari le notificazioni a mezzo PEC aventi ad oggetto atti il cui nome informatico termina per “.pdf” (o qualsiasi altra estensione diversa dal “p7m”) fino a spingersi all’ipotesi di considerare nulla tale notificazione e valutare a quali condizioni possa trattarsi di nullità sanabile dal raggiungimento dello scopo, trovando conforto in tal senso nel principio enunciato dalle Sezioni Unite n. 7665/2016 pubblicata il 18 aprile 2016.
Alla luce di ciò, è auspicabile che con la rimessione alle Sezioni Unite si possa far (vera) chiarezza con valenza nomofilattica, una volta e per tutte, supplendo all’inerzia del legislatore, sullo spinoso argomento dei requisiti che gli atti giuridici informatici debbano possedere (sia per la validità delle notificazioni a mezzo pec sia per il loro valido utilizzo nel processo civile telematico), stabilendo altresì le conseguenze in ordine alla nullità, in caso di assenza dei requisiti essenziali, ed alla eventuale possibile sanatoria.
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