Non può condividersi, pertanto, l’assunto difensivo secondo cui la vendita del bene conseguito con la truffa presupposta sarebbe “l’unico modo per acquisire il profitto necessario” ad integrare il reato, né quello di cui al provvedimento impugnato, secondo cui limitare l’ambito di applicazione della norma incriminatrice all’impiego del provento di reato in attività economica lecita sarebbe necessario al fine di evitare che il reato costituisca una duplicazione sanzionatoria: nella prospettazione accusatoria disattesa dal tribunale del riesame, infatti, il profitto del reato di truffa viene acquisito dall’autore del reato già con l’apprensione del bene, sicché la reimmissione nel mercato dei i valori bollati fraudolentemente ottenuti integra necessariamente un quid pluris rispetto al reato presupposto, già consumato, e la dissimulazione della provenienza dei beni costituisce l’ulteriore disvalore – rispetto al reato presupposto – della condotta di re-immessione nel mercato degli stessi.
Questo è quanto espresso nella sentenza n. 38422 della Corte di Cassazione, Seconda Sezione Penale, del 5 luglio 2018, pubblicata in data 8 agosto 2018.
Il caso di specie riguarda Tizio, Direttore amministrativo preposto all’Ufficio affari civili e corpi di reato dello stesso Tribunale, il quale, nell’esercizio delle sue funzioni, aveva rappresentato ad un numero indeterminato di utenti la necessità di acquisire valori bollati in misura superiore rispetto al dovuto, con l’intento di utilizzare solo quelli realmente necessari e di appropriandosi di quelli in eccesso rimanenti. Con ordinanza dell’8 febbraio 2018, il GIP- Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli, aveva applicato allo stesso la misura cautelare interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio, per la durata di un anno, in relazione al delitto di truffa ex articolo 640, comma 2, del Codice Penale, negando invece anche l’applicazione del delitto di autoriciclaggio ex articolo 648 ter.1, comma 1, del Codice Penale (1): il GIP aveva sostenuto che l’attività di rivendita di valori bollati, fraudolentemente ottenuti, non potesse essere ricondotta all’ipotesi di autoriciclaggio, in quanto mancavano sia il concreto effetto dissimulatorio, sia l’apparato organizzativo destinato allo scopo, difettando altresì il fine specifico dell’agente di occultare l’origine illecita dei proventi da delitto. Con ordinanza del 27 marzo 2018, il Tribunale del riesame di Roma, decidendo sull’appello proposto dal PM-Pubblico Ministero, aveva riconosciuto che “la monetizzazione dei valori bollati integrava una condotta di impiego del bene provento da delitto idonea a dissimularne la provenienza illecita, ma ha rilevato essere indimostrato l’ulteriore requisito della condotta costituito dall’impiego del bene provento da reato in un’attività economica lecita, indicato nell’ordinanza come richiesto dalla norma incriminatrice sul presupposto che la norma predetta abbia imposto un divieto di circolazione nel circuito economico legale di mezzi di provenienza illecita in forme che ne ostacolino la tracciabilità della fonte, finalizzato ad evitare la re-immissione di proventi illeciti nel circuito dell’economia legale”. Pertanto, il Tribunale aveva rigettato l’appello proposto.
Propone, successivamente, ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Tivoli, deducendo la violazione di legge con riferimento all’interpretazione del predetto articolo 648 ter.1 del Codice Penale: interpretazione che, sulla base di quanto sostenuto dal Tribunale del riesame, consente di escludere l’applicabilità di detta norma quando le attività economiche poste in essere dal reo siano a loro volta illecite.
Gli Ermellini considerano il ricorso fondato e meritevole di essere accolto, in quanto non può essere condivisa l’interpretazione del Tribunale del riesame secondo cui l’applicazione dell’articolo 648 ter.1 del Codice Penale sarebbe limitata al reimpiego del bene provento di reato in attività economica lecita.
Come già ribadito dalla stessa Corte (leggasi sent. n. 33074/2016), la prescrizione sull’autoriciclaggio punisce quelle attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni od altre utilità commesse dallo stesso autore del delitto presupposto che abbiano la caratteristica specifica di essere idonee ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa: la condotta deve essere, infatti, dotata di particolare capacità dissimulatoria, tale cioè da far ritenere che l’autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto effettuare un impiego di qualsiasi tipo, ma sempre finalizzato ad occultare l’origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto (ipotesi, invece, non ravvisabile quando l’autore del delitto si limiti a goderne il profitto). Questa norma nasce dall’esigenza di evitare le operazioni di sostituzione ad opera dell’autore del delitto presupposto: “tuttavia il legislatore, raccogliendo le sollecitazioni provenienti dalla dottrina, secondo cui le attività dirette all’investimento dei profitti operate dall’autore del delitto contro il patrimonio costituiscono post factum non punibili, ha limitato la rilevanza penale delle condotte ai soli casi di sostituzione che avvengano attraverso la re-immissione nel circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale del denaro o dei beni di provenienza illecita finalizzate appunto ad ottenere un concreto effetto dissimulatorio, che costituisce quel quid pluris che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di nascondimento del profitto illecito (e perciò punibile)”.
Anche in tema impiego di denaro, beni ed altre utilità di provenienza illecita, di cui all’articolo 648 ter del Codice Penale (2), la Corte di Cassazione ha già avuto modo di rilevare che la nozione di attività economica o finanziaria è desumibile dagli articoli 2082, 2135 e 2195 del Codice civile e fa riferimento non solo all’attività produttiva in senso stretto, ossia a quella diretta a creare nuovi beni o servizi, ma anche a quella di scambio e di distribuzione dei beni nel mercato del consumo, nonché ad ogni altra attività che possa rientrare in una di quelle elencate nelle menzionate norme del codice civile e questi sono i parametri da utilizzare anche per valutare la configurabilità del delitto di cui all’articolo 648 ter.1 del Codice Penale che, infatti, fa anch’esso riferimento alle medesime nozioni di attività economica o finanziaria.
Concludendo, l’ordinanza impugnata viene annullata, con rinvio al Tribunale del riesame per una nuova valutazione della gravità degli indizi di colpevolezza concernenti Tizio in ordine al reato di autoriciclaggio, che andrà effettuata non già con riferimento alla liceità o meno dell’attività di reimpiego dei valori bollati, bensì sulla base del numero delle operazioni realizzate, della loro ripetitività e degli altri parametri evidenziati dagli artt. 2082, 2135 e 2195 del Codice Civile.
L’articolo 648 bis del Codice Penale non punisce la condotta di riciclaggio posta in essere dall’autore, anche in concorso, del reato presupposto per la presenza della clausola di riserva fuori dei casi di concorso nel reato, posta nell’incipit della disposizione. Analoga clausola di esclusione è prevista del seguente articolo 648 ter per l’impiego in attività economiche o finanziarie di disponibilità provenienti da delitto. Tale impostazione ha determinato l’insorgere di notevoli difficoltà applicative. Come si legge dalle parole di novembre 2014 (poco prima dell’entrata in vigore della Legge 186/2014 che ha dato i natali all’articolo 648 ter.1) di Claudio Clemente (3), Direttore dell’UIF-Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia presso Banca d’Italia, al Senato “la punibilità penale dell’autoriciclaggio tuttavia incontra in Italia ancora alcune obiezioni di tipo oggettivo e dogmatico. L’utilizzo da parte del reo dei proventi della propria condotta delittuosa ènritenuto penalmente irrilevante in quanto naturale prosecuzione di tale condotta. Esso darebbe luogo a un mero post factum, non punibile in quanto privo di autonomo disvalore; oppure costituirebbe parte della condotta del reato presupposto, non perseguibile per il principio del ne bis in idem sostanziale, in base al quale nessuno può essere punito due volte per lo stesso fatto. Da un altro punto di vista, viene rilevato che, ove punibile, l’autoriciclaggio finirebbe per costituire il naturale corollario di qualsiasi delitto suscettibile di generare proventi di natura economica, col possibile effetto di assoggettare l’autore del delitto presupposto a una pena complessiva troppo elevata rispetto alla gravità della condotta, in violazione del principio di proporzionalità della pena. Tali obiezioni, pur inducendo a scelte riformatrici equilibrate, appaiono superabili. Le condotte relative ai reati presupposto sono distinte da quelle che integrano i reati di riciclaggio o di impiego, che si connotano, rispettivamente, per la natura fraudolenta delle operazioni tese a ostacolare l’identificazione della provenienza illecita dei beni utilizzati e per il loro investimento in attività economiche o finanziarie. Il fenomeno del riciclaggio rappresenta, per le sue crescenti dimensioni e per il grave impatto sul tessuto imprenditoriale e sociale, una minaccia per una pluralità di beni giuridici tutelati dall’ordinamento. Seppur catalogate tra i reati contro il patrimonio, le condotte riciclatorie ledono il corretto e ordinato svolgimento delle attività economiche e finanziarie e l’amministrazione della giustizia. In quest’ottica l’autoriciclaggio non si esaurisce in una frazione del reato presupposto o in un mero post factum, ma rappresenta un’ulteriore diversa condotta, caratterizzata da un proprio disvalore, in quanto tale autonomamente punibile. Quanto ai timori di un eccessivo rigore sanzionatorio che deriverebbe dall’introduzione dell’auto-riciclaggio, essi vanno ridimensionati in considerazione del livello delle pene previste per alcuni reati economici particolarmente ricorrenti nel nostro Paese e della presenza di un regime prescrizionale poco compatibile con i tempi richiesti per assicurare i colpevoli alla giustizia. Occorre tuttavia prevedere un regime di punibilità dell’autoriciclaggio equo e proporzionato alla gravità della relativa condotta e del reato presupposto. L’articolo 648 ter.1 rappresenta un apprezzabile compromesso tra le diverse posizioni, spesso molto distanti tra loro, che si sono registrate nel complesso dibattito sull’autoriciclaggio. L’introduzione di una norma distinta rispetto agli articoli 648 bis e 648 ter sacrifica le esigenze di sistematicità dell’intervento a vantaggio della riduzione dei rischi indotti da una rivisitazione delle condotte punite, evitando possibili impatti sui procedimenti in corso per riciclaggio o impiego. Sul piano della proporzionalità della sanzione, la proposta di pene per l’autoriciclaggio inferiori a quelle per il riciclaggio appare in linea di principio adeguata, tenuto conto che la sanzione per l’autoriciclaggio si cumula con quella prevista per il delitto presupposto. La scelta di adottare un doppio livello di punizione in ragione della gravità del reato presupposto assimila il regime dell’autoriciclaggio a quello del riciclaggio”.
NOTE
(1) Art. 648 ter.1, Codice Penale, Autoriciclaggio: Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni. Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale. La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.
(2) Art. 648 ter, Codice penale, Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita: Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648 bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5.000 euro a 25.000 euro. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale. La pena è diminuita nell’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 648. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.
(3) http://uif.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi/documenti/Clemente_251114.pdf
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno