ISSN 2385-1376
Testo massima
L’avvocato che presenta una querela in danno di un collega è tenuto esclusivamente a limitarsi ad un’analisi di verosimiglianza e di non palese infondatezza del contenuto delle dichiarazioni del cliente.
È questo quanto stabilito dalla Corte di cassazione – Sezioni unite civili con la sentenza 20 gennaio 2014 n. 1002.
Nel caso di specie un avvocato ha proposto ricorso avverso la decisione con cui il locale Consiglio dell’ordine gli aveva irrogato la sanzione disciplinare della censura, ritenendolo responsabile della violazione di cui all’art. 22 del codice deontologico, per aver presentato, nell’interesse di un proprio assistito, un atto di querela nei confronti di un collega, senza avere adeguatamente esaminato la fondatezza delle accuse rivolte allo stesso e senza avere tempestivamente informato il Consiglio dell’Ordine di tale iniziativa.
La norma deontologica alla base della censura disciplinare impone che, nel rapporto di colleganza, “l’avvocato che intenda promuovere un giudizio nei confronti di un collega per fatti attinenti all’esercizio della professione deve dargliene preventiva comunicazione per iscritto, tranne che l’avviso possa pregiudicare il diritto da tutelare“.
Altro, però, è il contegno ispirato a correttezza e lealtà nei confronti dei colleghi, altro è l’imposizione di un onere di “maggiore approfondimento” quando si agisce contro gli stessi per fatti attinenti all’esercizio della professione. Tale onere, infatti, oltre ad essere in contrasto con elementari principi costituzionali, sarebbe foriero di una sorta di “riguardo di categoria” imposto illegittimamente dal massimo organo disciplinare all’avvocato, in guisa di una lex specialis ex non scripto, non certo desumibile dalla norma in parola.
Ciò che si richiede, al legale che presenti querela per conto del cliente, è non più che un’analisi di verosimiglianza e di non palese infondatezza del contenuto delle dichiarazioni del proprio assistito.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul caso di specie, ha correttamente ritenuto che non può subire la sanzione della censura o dell’avvertimento l’avvocato che, esercitando l’azione penale nei confronti di un collega, per conto di un suo ex cliente, abbia fatto ‘soltanto’ i consueti approfondimenti sul fondamento dell’azione, senza prevedere ulteriori indagini per via del fatto che ci si trovava di fronte ad un membro del proprio Ordine professionale.
Cassando la sentenza impugnata, gli Ermellini hanno anche ribadito la non necessarietà di tempestiva informazione al Consiglio dell’ordine locale sull’intrapresa azione penale, e tanto sulla scorta della segretezza degli atti del procedimento penale fino all’avviso ex art. 415 bis cpp.
Testo del provvedimento
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