ISSN 2385-1376
Testo massima
Il presidente del consiglio di amministrazione di una società può svolgere la pratica forense se non ha effettivi poteri di gestione.
È questo il principio di diritto statuito dalla Cassazione civile, a sezioni unite, con sentenza n. 25797 pronunziata in data 18/11/2013 in materia di tirocinio forense.
Nel caso di specie, la sentenza trae origine dal ricorso presentato da un praticante procuratore avverso la decisione del Consiglio Nazionale Forense che, in conformità con la delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di (Omissis), aveva revocato la sua autorizzazione all’esercizio della pratica forense sul presupposto che, essendo il ricorrente presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali, tale carica fosse di per se incompatibile con l’esercizio della professione di avvocato.
Ebbene, la Suprema Corte, chiamata a pronunziarsi sul caso de quo, ha accolto il ricorso atteso che il Consiglio Nazionale Forense aveva erroneamente omesso di accertare se l’incolpato, nella sua qualità di presidente dell’organo amministrativo, fosse titolare di effettivi poteri di gestione, a prescindere da ogni indagine sulla consistenza patrimoniale della società medesima e sulla sua conseguente esposizione a procedure concorsuali.
In conclusione, dunque, i giudici di legittimità, tenuto conto della nuova disciplina dell’incompatibilità della professione di avvocato con l’attività d’impresa, hanno cassato la sentenza impugnata rimettendo la causa al Consiglio Nazionale Forense.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
ha pronunciato la seguente:
Sentenza
sul ricorso 8951-2012 proposto da:
C.A
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI (OMISSIS), CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI (OMISSIS), PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI LECCE;
– intimati –
avverso la decisione n. 15/2012 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 20/02/2012;
Svolgimento del processo
1. Con delibera 23 gennaio 2011, il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di (Omissis) revocò l’autorizzazione all’esercizio della pratica forense del dottor C.A., perchè presidente del Consiglio di amministrazione della Beta s.r.l., società partecipata dal Comune di Metropoli, dalla quale era retribuito, e quindi in situazione d’incompatibilità prevista dal R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 3.
2. Il Consiglio Nazionale Forense, davanti al quale il C. impugnò la predetta delibera, ha respinto il ricorso.
3. Per la cassazione di questa sentenza ricorre il dottor C. per un unico motivo, illustrato anche con memoria.
Motivi della decisione
4. Con l’unico motivo di ricorso, il dottor C., praticante procuratore, sottopone alla corte la questione se l’incarico di presidente del consiglio di amministrazione di una società a responsabilità limitata, costituita per la gestione del servizio municipalizzato di farmacia, rientri nella previsione dell’esercizio del commercio in nome proprio o altrui, che a norma del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 3, comma 1, è incompatibile con l’esercizio della professione di avvocato.
Il ricorrente deduce che non aveva alcuna delega alla gestione dell’impresa e a sostegno della rilevanza decisiva di questa circostanza richiama la giurisprudenza di questa corte di legittimità.
5. Va premesso che non rileva, ai fini dell’applicazione della citata norma d’incompatibilità, la circostanza – pure allegata dal ricorrente – che la società fosse stata costituita dall’ente territoriale per la gestione di un servizio pubblico, posto che, come ha accertato il consiglio Nazionale Forense, non si trattava di società in house, essendo partecipata da un privato e non essendo in essa configurabile un controllo analogo a quello esercitato da ciascun ente pubblico sui propri servizi.
Neppure rileva che la società gestisse una farmacia, per la quale, non essendo farmacista il titolare, la norma speciale contenuta nel R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 378, prevede la nomina, quale direttore responsabile, di un farmacista iscritto nell’albo professionale. La carica di direttore responsabile del servizio pubblico non assorbe, infatti, le competenze degli organi amministrativi sociali.
6. Nelle more del giudizio di legittimità, il R.D. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 3, è stato abrogato per incompatibilità dalla L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 18, che ha dettato una nuova disciplina dell’incompatibilità della professione di avvocato con l’attività d’impresa. La disposizione prevede ora, per quel che in questa sede interessa, che la professione di avvocato è incompatibile con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione di società capitalistiche.
7. La norma sopravvenuta non è applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio, perchè in materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, trattandosi di sanzioni amministrative, non vige, salvo diversa espressa previsione di legge, il canone penalistico dell’applicazione retroattiva della norma più favorevole, e al fatto si applica la sanzione vigente nel momento in cui il medesimo è stato commesso (Cass. Sez. un. 26 novembre 2008 n. 28159, 10 agosto 2012 n. 14374, 17 giugno 2013 n. 15120).
8. La nuova disposizione, tuttavia, recepisce sostanzialmente un principio che era stato già enunciato e applicato dalle sezioni unite di questa corte in sede d’interpretazione del R.D. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 3, (norma applicabile nella fattispecie ratione temporis), nella parte in cui dichiarava la professione di avvocato incompatibile con l’esercizio del commercio in nome altrui. Era infatti principio già consolidato che il legale il quale ricopra la qualità di presidente del consiglio di amministrazione o di amministratore delegato o unico di una società commerciale si trova, ai sensi del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 3, comma 1, n. 1, in una situazione d’incompatibilità con l’esercizio della professione forense (esercizio del commercio in nome altrui), qualora risulti che tale carica comporti effettivi poteri di gestione o di rappresentanza, e a prescindere da ogni indagine sulla consistenza patrimoniale della società medesima e sulla sua conseguente esposizione a procedure concorsuali (giurisprudenza costante delle sezioni unite di questa corte, da Cass. Sez. un. 24 marzo 1977, n. 1143, alle più recenti 5 gennaio 2007 n. 37, e 28 febbraio 2011 n. 4773).
9. A tale principio non si è attenuto il C.N.F., che ha ritenuto la carica di presidente del consiglio di amministrazione di per sè incompatibile con l’esercizio della professione di avvocato, e ha quindi omesso di accertare se l’incolpato, nella sua qualità di presidente dell’organo amministrativo, fosse titolare di effettivi poteri di gestione, così incorrendo nella falsa applicazione della norma contenuta nel R.D. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 3, nell’interpretazione costantemente seguita da questa corte di legittimità.
10. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, e la causa deve essere rimessa al consiglio Nazionale forense, in diversa composizione, perchè provveda a un nuovo esame, nel quale accerterà se l’incolpato, nella qualità di presidente dell’organo amministrativo sociale, fosse titolare di poteri di gestione dell’impresa sociale, e nella decisione sul ricorso si uniformerà al principio di diritto enunciato sopra al n. 8.
11. L’infondatezza delle altre difese svolte dal ricorrente, e sulle quali si era soffermato il giudice di merito, giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia la causa al Consiglio Nazionale Forense in altra composizione;
compensa le spese tra le parti del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2013
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