LA MASSIMA
Integra il reato di infedele patrocinio, la condotta dell’avvocato che suggerisce al proprio assistito di presentare una dichiarazione Iva fraudolenta in quanto, l’obbligo dell’avvocato di difendere gli interessi della parte assistita, incontra il limite dell’osservanza della legge e nello stesso codice deontologico forense, il quale prevede, all’art. 36, che l’assistenza dell’avvocato al proprio cliente deve essere condotta “nel miglior modo possibile”, ma nel limite del mandato ricevuto e “nell’osservanza della legge e dei principi deontologici”.
Né vale ad escludere la sussistenza del reato il sostanziale consenso che la parte assistita ha dato al suo avvocato, sottoscrivendo la dichiarazione secondo le indicazioni di quest’ultimo. Infatti, il consenso deve ritenersi privo di rilevanza e inidoneo ad escludere il reato di cui all’art. 380 cp, in quanto il criterio di valutazione della condotta del professionista non riguarda l’incarico ricevuto, ma il dovere professionale.
IL CASO
L’avvocato Tizio è stato accusato di infedele patrocinio per aver consigliato al proprio assistito di presentare una dichiarazioni IVA non veritiera, relativa all’anno 2004, in questo modo lo ha istigato a commettere il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.
In primo grado l’imputato è stato assolto .
La Corte d’appello in parziale riforma della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale ha dichiarato l’avvocato Tizio responsabile del reato di cui all’art. 380 cp, comma 3, e lo ha condannato ad un anno di reclusione ed Euro 516,00 di multa, con sospensione della pena e non menzione, nonché al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
L’avvocato Tizio ha proposto ricorso per Cassazione adducendo con il primo motivo il vizio di motivazione, per aver i giudici di secondo grado travisato il contenuto di alcune dichiarazioni presenti in atti, e con il secondo motivo ha censurato la sentenza impugnata per omessa motivazione in ordine alla consapevolezza dell’imputato circa la falsità della dichiarazione IVA di cui avrebbe consigliato la sottoscrizione.
LA DECISIONE
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati i motivi proposti ed ha rigettato il ricorso con condanna al pagamento delle spese.
Secondo i Giudici di legittimità, deve considerarsi integrato il reato di infedele patrocinio previsto dall’art 380 cp, in quanto l’obbligo dell’avvocato di difendere gli interessi della parte assistita, incontra il limite dell’osservanza della legge: lo stesso codice deontologico forense, prevede, all’art. 36, che l’assistenza dell’avvocato al proprio cliente deve essere condotta “nel miglior modo possibile”, ma nel limite del mandato ricevuto e “nell’osservanza della legge e dei principi deontologici”.
Sicché è del tutto condivisibile la sentenza là dove riconosce che la condotta dell’imputato si è tradotta nell’istigazione a presentare una dichiarazione IVA non veritiera, che costituisce violazione del dovere di correttezza, previsto dalla norma deontologica, e realizza inoltre il nocumento agli interessi della parte richiesto dalla norma incriminatrice, rappresentato dalla commissione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.
Né vale ad escludere la sussistenza del reato il sostanziale consenso che CAIO ha dato al suo avvocato, sottoscrivendo la dichiarazione secondo le indicazioni di quest’ultimo. Infatti, il consenso deve ritenersi privo di rilevanza e inidoneo ad escludere il reato di cui all’art.380 cp, in quanto il criterio di valutazione della condotta del professionista non riguarda l’incarico ricevuto, ma il dovere professionale.
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