Non scatta il risarcimento del danno ex art. 89 c.p.c. qualora le espressioni contenute negli scritti difensivi, nei confronti dell’avvocato di controparte, non eccedano dalle esigenze difensive e siano preordinate a dimostrare la scarsa attendibilità delle sue affermazioni. Nell’esercizio del diritto di difesa, anche espressioni colorite, o commenti sul contegno processuale della controparte, sono ampiamente ammesse e scriminate per effetto delle esigenze difensive del procuratore.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, sez. III civ., Pres. Armano – Rel. Guizzi, con l’ordinanza n. 26318 del 17.10.2019.
La controversia è sorta fra due avvocati, uno dei quali ha ritenuto che, in un procedimento, l’altro aveva assunto nei suoi confronti “un atteggiamento immotivatamente offensivo e provocatorio”, culminato in un “inaudito attacco personale”, in occasione della stesura delle note conclusionali di quel procedimento. Nelle stesse, infatti, aveva scritto che se la sua controparte “fosse stato un avvocato, sarebbe stato dovere del Consiglio dell’Ordine avviare un procedimento disciplinare”, e censurava sia la “puntigliosità delle avverse affermazioni, peraltro nullificata da palesi errori giuridici dettati da una conoscenza sommaria della materia”, sia i “tentativi, tra l’ingenuo e il maldestro, di ottenere giustizia attraverso metodi che non possono trovare ingresso nella dialettica processuale”, quali, ad esempio, il “non aspettare lo scrivente difensore all’udienza, discutendo la causa da solo sperando forse in una impossibile captatio benevolentiae”, o “eccependo decadenze palesemente inesistenti con codice letto al Giudice come se questi fosse un quivis de populo”.
Il legale aveva chiesto al Giudice di accertare la lesività e l’illegittimità ai sensi dell’art. 89 c.p.c., riguardo alle espressioni sconvenienti od offensive. In entrambi i gradi di merito le sue istanze venivano respinte. Secondo la Corte d’Appello, infatti, “nell’esercizio del diritto di difesa, anche espressioni colorite, o commenti sul contegno processuale della controparte, sono ampiamente ammesse e scriminate per effetto delle esigenze difensive del procuratore”.
La Cassazione ha rigettato il ricorso del legale, condannando alla rifusione delle spese di lite.
La Suprema Corte, nella sua motivazione, ha affermato che sono da escludere “i presupposti per il risarcimento del danno ex art. 89 c.p.c., ove le espressioni contenute negli scritti difensivi non siano dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo, così rivelando un intento offensivo nei confronti della controparte, ma, conservando pur sempre un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa, senza eccedere dalle esigenze difensive, siano preordinate a dimostrare, attraverso una valutazione negativa del comportamento della controparte, la scarsa attendibilità delle sue affermazioni”.
La Corte, infatti, ha chiarito che se, di regola, “l’azione di risarcimento di cui all’art. 89 cit. viene proposta davanti al giudice della causa”, resta, nondimeno, inteso “che ciò non è sempre possibile e in tali casi la domanda deve essere proposta in un giudizio separato”, una di queste ipotesi, in particolare, verificandosi “quando l’azione è proposta non nei confronti della parte, bensì del difensore”.
Va, altresì, precisato che la giurisprudenza della Corte non postula affatto, per la reiezione di pretesa risarcitoria ex art. 89 cod. proc. civ., la prova della “indispensabilità” delle espressioni adoperate.
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