ISSN 2385-1376
Testo massima
In presenza di una domanda di re iscrizione nell’albo degli avvocati di colui che abbia in precedenza subito la sanzione disciplinare della cancellazione, non trova applicazione, in via di interpretazione analogica, l’art. 47 del r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 – secondo cui l’avvocato radiato non può esservi nuovamente iscritto prima che siano trascorsi cinque anni dal provvedimento di radiazione – in quanto la cancellazione è sanzione meno grave della radiazione.
È quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza n. 10921 del 19 maggio 2014, con cui le sezioni unite sono state chiamate a decidere sul ricorso presentato da un professionista – dichiarato colpevole dei reati di peculato e falso ideologico – avverso la pronuncia del CNF di diniego della richiesta di re iscrizione all’Albo dopo la cancellazione.
I Giudici di legittimità hanno voluto sostenere, ancora una volta, il principio distintivo tra le sanzioni disciplinari della cancellazione e della radiazione, seguendo il solco tracciato dalle precedenti pronunce n. 11653/2008 e n. 22785/2012.
Già nella richiamata sentenza n. 11653 del 12 maggio 2008, la Corte ha fatto notare, infatti, come nel quadro normativo di riferimento non sia contemplato un termine minimo dopo il quale è possibile richiedere la re iscrizione, potendosi fondare, quest’ultima, unicamente sul riacquistato possesso del requisito della condotta “specchiatissima ed illibata” di cui all’art. 17, n. 3, del regio decreto 1578.
Vero è che l’attualità di tale requisito è accertata e valutata autonomamente dal Consiglio dell’Ordine di riferimento, secondo il procedimento previsto dall’art. 31 del Codice Deontologico per la prima iscrizione. Se, infatti, l’esclusione dell’applicazione del termine previsto per la radiazione consente al professionista di chiedere la nuova iscrizione prima dei cinque anni dalla sanzione disciplinare, resta comunque ad insindacabile giudizio dell’Ordine – e del CNF in seconda istanza – la valutazione sull’attuale sussistenza dei requisiti di onorabilità.
L’elencazione contenuta nell’articolo 40 chiarisce comunque l’intenzione del legislatore di voler prevedere una graduazione delle sanzioni disciplinari, dalla meno alla più grave; la non espressa previsione di un termine per la riabilitazione professionale dopo la cancellazione esclude la possibilità di un’applicazione analogica dell’art. 47 (nel quale peraltro, senza possibilità di confusione tra i due istituti, si parla solo di radiazione e non di cancellazione).
Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 2832-2014 proposto da:
AVVOCATO
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI PALERMO, CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 181/2013 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 17/10/2013;
ESPOSIZIONE DEL FATTO
L’ AVVOCATO , dopo esser stato cancellato dall’albo degli avvocati di Palermo a seguito di condanna penale per reati di peculato e falso ideologico, chiese ed ottenne la reiscrizione nel medesimo albo da parte locale consiglio dell’ordine. Su ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Palermo, tuttavia, detto provvedimento di reiscrizione venne poi annullato dal Consiglio nazionale forense, con sentenza resa pubblica il 17 ottobre 2013. Il Consiglio nazionale forense reputò, infatti, che non fosse trascorso dalla data della sentenza penale di condanna un lasso di tempo sufficiente a consentire la riabilitazione, e che neppure fosse trascorso il termine quinquennale previsto dalla legge professionale per poter richiedere la reiscrizione nell’albo, da computarsi a partire dalla data del provvedimento di cancellazione a prescindere dal precedente periodo di sospensione cautelare sofferta.
Avverso tale sentenza l’ AVVOCATO ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi, chiedendo altresì la sospensione del provvedimento impugnato.
Nessuna difesa ha svolto il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo.
Ragioni della decisione
Il ricorrente denuncia, in primo luogo, la falsa applicazione nel caso in esame dell’art. 47 del r.d.l. n. 1578 del 1933, giacché tale norma, la quale prevede che la reiscrizione nell’albo professionale di un avvocato in precedenza radiato possa avvenire solo dopo cinque anni, non è estensibile alla diversa ipotesi del professionista (non già radiato, bensì) cancellato da detto albo. In secondo luogo rileva come sia errato anche il riferimento dell’impugnata sentenza al termine entro cui è possibile richiedere la riabilitazione penale (ridotto da cinque a tre anni per effetto della modifica apportata all’art. 179 c.p. dall’art. 3, comma 1, lett. a, della legge n. 145 del 2004). Infine insiste nel sostenere che, ove il professionista abbia sofferto un periodo di sospensione cautelare dall’albo prima di essere radiato, il computo del termine che deve decorrere perché possa chiedersi la reiscrizione va fatto partire dalla data della predetta sospensione.
Il PRIMO MOTIVO di ricorso è fondato.
E’ stato infatti già chiarito da questa corte che, in presenza di una domanda di reiscrizione nell’albo degli avvocati di colui che abbia in precedenza subito la sanzione disciplinare della cancellazione, non trova applicazione, in via d’interpretazione analogica, l’art. 47 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 – secondo cui l’avvocato radiato dall’albo non può esservi nuovamente iscritto prima che siano trascorsi cinque anni dal provvedimento di radiazione – in quanto la cancellazione è sanzione meno grave della radiazione, ancorché il tempo decorso possa essere autonomamente valutato ai fini dell’apprezzamento della sussistenza del requisito della condotta «specchiatíssima ed illibata», che l’art. 17 del medesimo decreto richiede per l’iscrizione nell’albo (sez. un. 12 dicembre 2012, n. 22785, e 12 maggio 2008, n. 11653).
Da tale principio non v’è motivo di discostarsi e, giacché l’impugnata sentenza non ne ha invece tenuto conto, essa deve essere cassata sotto questo profilo, con conseguente rinvio al Consiglio nazionale forense perché riesamini la vertenza alla luce di detto principio.
I rimanenti motivi di ricorso restano assorbiti, al pari dell’istanza di sospensione.
Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo il Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Palermo in alcun modo contrastato l’iniziativa del ricorrente.
P.Q.M.
La corte accoglie il primo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa al Consiglio nazionale forense compensando tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13 maggio 2014.
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Numero Protocolo Interno : 327/2014