ISSN 2385-1376
Testo massima
L’avvocato distrattario non può richiedere alla parte soccombente solamente l’importo dovuto a titolo di onorario e spese processuali e non anche l’importo dell’Iva che gli sarebbe dovuta, a titolo di rivalsa, dal proprio cliente, abilitato a detrarla. Invero, in materia fiscale costituisce principio informatore l’addebitabilità di una spesa al debitore solo se sussista il costo corrispondente e non anche qualora quest’ultimo venga normalmente recuperato, poiché non può essere considerata legittima una locupletazione da parte di un soggetto altrimenti legittimato a conseguire due volte la medesima somma di denaro.
Non compete l’addebito dell’IVA dovuta al difensore della parte vittoriosa laddove la parte processuale sia soggetto passivo dell’imposta ed abbia facoltà di recuperare l’importo del tributo attraverso il regime della detrazione.
I principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte con la sentenza n. 2474/2012, consentono di fornire adeguato riscontro agli interrogativi – affatto scontati nei termini e nelle soluzioni – relativi all’individuazione del soggetto tenuto al pagamento dell’IVA nei confronti dell’avvocato e di quello cui il professionista sia, per l’effetto, tenuto a fatturare, nell’ipotesi in cui il giudizio si sia concluso con la condanna della controparte alla rifusione delle spese di lite con il criterio della distrazione di cui all’art. 93 c.p.c..
In tal caso, occorrerà preventivamente stabilire se il cliente committente, parte vittoriosa del processo, sia o meno soggetto di imposta abilitato alla detrazione dell’IVA. In caso negativo, l’imposta verrà dunque ad atteggiarsi quale onere accessorio delle spese di lite, con la conseguenza che l’avvocato dovrà addebitarla ad un soggetto (la parte soccombente, appunto) che non sia il proprio cliente, con ciò in apparenza disattendendo il precetto sotteso all’obbligazione tributaria ex art. 18 D.P.R. 633/72 (“il soggetto che effettua la … prestazione di servizi deve addebitare l’imposta, a titolo di rivalsa, al … committente“). Conflitto, questo, poi risolto dalla Cassazione che (con sentenza n. 3544/82), ha affermato la natura privatistica, piuttosto che tributaria, dell’obbligazione de qua.
Nel caso in cui, invece, il cliente- parte vittoriosa, sia abilitato alla detrazione dell’IVA, sarà pertanto tenuto al versamento dell’imposta nei confronti dell’avvocato.
La disciplina della materia, come evidenziato dalla Cassazione, è ispirata al principio della neutralità dell’imposta, sicché, potendo il cliente – imprenditore detrarre l’Iva indicata nella fattura del professionista che lo ha assistito, la parte soccombente sarebbe tenuta alla corresponsione dell’imposta stessa. Si verificherebbe altrimenti un arricchimento ingiustificato della parte vittoriosa, la quale da un lato incasserebbe l’Iva rifusale, dall’altro porterebbe in detrazione l’Iva versata.
L’ulteriore quesito afferisce all’individuazione del soggetto cui l’avvocato sia tenuto a fatturare. Ebbene, sia che l’Iva gli venga corrisposta dalla parte soccombente, sia che invece l’imposta sia versata dal cliente in quanto abilitato alla detrazione, il professionista dovrà emettere fattura nei confronti del proprio committente, specificando che il pagamento dell’onorario e delle spese eventualmente anticipate sia avvenuto per mano di un terzo, a ciò tenuto in virtù di una sentenza di condanna con distrazione (c.d. fattura quietanza a saldo).
Altra questione, quella relativa alla ritenuta d’acconto, atteso che l’articolo 25, comma 1, D.P.R. n. 600/1973, prevede l’obbligo per i sostituti d’imposta che corrispondono a terzi compensi di lavoro autonomo, di operare all’atto del pagamento del relativo compenso una ritenuta d’acconto ai fini Irpef.
Tale obbligo di prelievo a titolo d’acconto, invero, sorge ogni volta che uno dei soggetti indicati nel primo comma dell’art. 23 del succitato D.P.R. corrisponda compensi, anche nell’ipotesi in cui le somme in questione siano da imputare a prestazioni rese a favore di terzi.
Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione che, con specifico riguardo agli importi dovuti dalla parte soccombente in un giudizio, ha affermato che “la ritenuta suddetta deve applicarsi anche quando, come nel caso della distrazione prevista dall’art. 93 c.p.c., il pagamento di quei compensi viene effettuato non dal diretto beneficiario del lavoro autonomo, e cioè dal cosiddetto cliente, ma da un terzo per la suddetta attribuzione di quel diritto da parte del giudice” (cfr. Cass. Civ. n. 3777/1982).
In conclusione, in virtù di tale orientamento, richiamato anche dall’amministrazione finanziaria nella circolare n. 203/E/1994, l’obbligo di effettuazione della ritenuta sussiste anche nelle ipotesi in cui il pagamento del compenso provenga dalla parte soccombente.
Testo del provvedimento
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