ISSN 2385-1376
Testo massima
Il legale non è tenuto al risarcimento per aver scelto il rito ordinario al posto di quello monitorio a meno che il cliente non fornisca la prova certa che la diversa strategia processuale gli avrebbe evitato il danno.
La decisione pubblicata lo scorso 22 luglio 2014 dalla seconda sezione della Suprema Corte conferma un indirizzo più volte manifestato dalla Cassazione in tema di responsabilità professionale dell’avvocato, ribadendo alcuni principi basilari nella ricostruzione del paradigma proprio del rapporto legale-cliente.
Nel caso di specie, la Corte ha rigettato il ricorso di un ingegnere che aveva a suo tempo revocato il mandato al difensore, per avere quest’ultimo prescelto un giudizio ordinario anziché monitorio per il recupero di crediti professionali.
A fronte dell’azione dell’avvocato per il pagamento delle proprie competenze, l’ingegnere aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo, affermando la mala gestio dell’incarico professionale, con conseguenti perdite patrimoniali, e formulando quindi domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni.
La Corte di legittimità ha definito la vicenda circoscrivendo con brevi e chiari cenni la responsabilità del legale nell’esecuzione delle propria prestazione.
In primo luogo, viene ricordato come l’obbligazione dell’avvocato debba essere qualificata obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che l’inadempimento debba essere valutato alla stregua della violazione del principio di diligenza professionale media, esigibile ai sensi dell’art. 1176 comma secondo c.c..
In secondo luogo, ai fini della declaratoria di responsabilità e della condanna al risarcimento, dovranno essere dimostrati la sussistenza e l’entità del danno lamentato nonché il nesso eziologico diretto (ex art. 1223 c.c.) tra il detto danno e l’attività professionale del difensore; una volta dedotto il comportamento professionale che sarebbe stato in astratto dovuto, occorrerà verificare se l’osservanza di quel comportamento avrebbe effettivamente fatto conseguire al cliente il riconoscimento delle proprie ragioni, alla stregua, ovviamente, di un criterio probabilistico ex post.
Trattasi, comunque, di un’indagine istituzionalmente riservata al giudice del merito, e non censurabile in sede di legittimità, afferma la Corte, se adeguatamente motivata e immune da vizi logici e giuridici.
L’accertamento della responsabilità del legale pare dunque caratterizzata da una peculiare rilevanza dei profili causali e probatori, e la costante opera di approfondimento della Corte sul punto è sicuramente degna di attenzione.
D’altro canto, la pronuncia in commento pone l’accento sulla imprescindibile autonomia tecnica del legale nella scelta dei mezzi processuali più idonei alla utile gestione dei diritti e degli interessi del cliente, in modo da valorizzare, in una prospettiva ormai non scontata, la funzione dell’avvocato nel sistema del processo.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 452/2014