Il correntista che agisce in giudizio per l’accertamento negativo del debito nei confronti dell’istituto, in considerazione delle somme indebitamente versate alla banca a titolo di interessi anatocistici e/o usurari oltre che di commissioni e spese asseritamente non dovute, ha l’onere di provare, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2697 c.c., i fatti posti a corredo della domanda, vale a dire dimostrare l’esistenza di specifiche poste passive del conto corrente oggetto di causa rispetto alle quali l’applicazione degli interessi anatocistici e/o usurari, oltre che di commissioni e spese asseritamente non pattuite, avrebbe determinato esborsi maggiori rispetto a quelli dovuti.
L’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo.
L’onere probatorio va assolto mediante la produzione, oltre che degli estratti di c/c relativi a tutto il periodo contrattuale, anche e soprattutto dei contratti di conto corrente e delle condizioni generali di contratto.
Questi i principi sanciti dal Tribunale di Cosenza, Dott.ssa Urania Granata, con sentenza n.332 del 16.02.2017.
Nel caso di specie, un correntista proponeva azione di accertamento negativo del debito nei confronti della banca, lamentando l’illegittima capitalizzazione degli interessi passivi, delle competenze e delle spese, ivi inclusa la commissione di massimo scoperto, nonché la violazione dell’art.117 TUB, chiedendo dunque la rettifica del saldo.
Si costituiva l’istituto di credito convenuto il quale, oltre a contestare puntualmente gli addebiti dell’attore, eccepiva la carenza di legittimazione attiva dello stesso e l’intervenuta prescrizione.
Il tribunale adito si soffermava, in primo luogo, sulla circostanza che il contratto bancario dedotto in giudizio era stato stipulato in data successiva alla Delibera CICR del 9.2.2000, entrata in vigore in data 22.4.2000, pertanto, il rapporto doveva soggiacere alla disciplina dell’art. 120 D. L.vo 385/93, così come modificato dall’art. 25 D. L.vo 342/99, nonché a quella di detta Delibera, il cui art. 2 prevede che “nel conto corrente l’accredito e l’addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti”, fermo restando che “nell’ambito di ogni singolo conto corrente dove essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori”.
Alla luce della normativa richiamata, riteneva, dunque, in difetto di prova contraria, legittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, operata dall’istituto di credito nel corso del rapporto, osservando, specificamente, che nei casi in cui è il correntista ad agire in giudizio per l’accertamento negativo del debito nei confronti della banca, è sullo stesso che incombe, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2697 c.c., l’onere di provare i fatti posti a corredo della domanda, ossia dimostrare l’esistenza di specifiche poste passive del conto corrente oggetto di causa rispetto alle quali l’applicazione degli interessi anatocistici e/o usurari, oltre che di commissioni e spese asseritamente non pattuite, avrebbe determinato esborsi maggiori rispetto a quelli dovuti.
Ciò perché, così come sancito dalla giurisprudenza di legittimità, l’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo.
L’onere probatorio, pertanto, anche nei casi di accertamento negativo deve essere assolto mediante la produzione, oltre che degli estratti conto relativi a tutto il periodo contrattuale anche e soprattutto dei contratti di conto corrente e delle condizioni generali di contratto, al fine di poter verificare il rispetto dei requisiti prescritti dall’art. 117 TUB.
Il giudicante asseriva, infine, che il correntista non poteva sopperire a detta carenza probatoria, mediante ordine di esibizione, rivolto nei confronti della banca, atteso che lo stesso aveva ad oggetto documenti nel possesso dei quali sarebbe potuto entrare tranquillamente ex art 119 TUB, quindi, che avrebbe potuto acquisire preventivamente in via stragiudiziale.
In definitiva, riteneva, che in difetto di produzione della documentazione contrattuale non poteva determinarsi l’effettiva esistenza del credito dell’istituto, pertanto, rigettava la domanda del correntista condannandolo al pagamento delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti:
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