Testo massima
Le azioni di mero accertamento in cui l’accertamento stesso, anziché avere un valore pregiudiziale come in tutte le altre azioni di cognizione, esaurisce lo scopo del processo possono avere ad oggetto, al parti di ogni altra forma di tutela giurisdizionale contenziosa, soltanto i diritti e non anche i fatti, salve eccezioni espressamente previste dalla legge.
L’azione di mero accertamento può avere ad oggetto soltanto i diritti e non anche i fatti, pur giuridicamente rilevanti, ma che costituiscono elementi frazionistici della fattispecie costitutiva del diritto.
Questo è quanto chiarito dal Tribunale di Genova, Dott.ssa Rossella Silvestri, con tre recenti pronunce emesse in data 25 marzo 2015.
I. Nei procedimenti in commento, il Tribunale adito è stato chiamato a pronunciarsi, in via principale, sulle domande di accertamento della nullità per vizio di forma dei contratti di conto corrente che le rispettive società attrici assumevano di aver stipulato con la banca convenuta e, in via subordinata, sulle domande di ricalcolo del saldo dei medesimi c/c, epurati dall’applicazione delle condizioni asseritamente illegittime.
La richiesta di ricalcolo sarebbe stata formulata, in tutti e tre i giudizi, nell’esclusivo interesse ad accertare l’inesistenza del credito vantato dalla banca o di quello minore che quest’ultima avrebbe potuto esigere, senza avere, però, le parti attrici proposto alcuna domanda di ripetizione.
Sulla scorta del consolidato orientamento giurisprudenziale, consacrato dalle Sezioni Unite della Cassazione nella pronuncia del 20 dicembre 2006, n. 27187, il Tribunale di Genova ha correttamente rigettato tutte le domande attoree, con la precisazione che la richiesta di ricalcolo, così come formulata, non fosse ammissibile avendo ad oggetto l’accertamento di un fatto costituente un elemento frazionistico della fattispecie costitutiva del diritto.
Infatti, si legge in sentenza che i fatti possono essere oggetto di accertamento in quanto fondamenti di un diritto fatto valere in giudizio e, solo nei casi espressamente previsti dalla legge, tale regola può essere derogata.
II. Le sentenze sin qui commentate risultano degne di approfondimento, in quanto affrontano l’annosa questione delle azioni di mero accertamento e dei limiti al loro esercizio.
La risalente teoria chiovendiana inserisce l’azione di mero accertamento all’interno del vasto genus delle cosiddette “mere azioni”, ossia quelle nelle quali il potere di agire del soggetto non risulta coordinato ad alcun diritto subiettivo, avendo come fondamento l’esclusivo interesse all’accertamento.
Massimamente rappresentative di questa categoria sono, secondo Chiovenda, le azioni di accertamento negativo, nelle quali l’effetto giuridico utile, auspicato con l’intervento giudiziale, è per l’appunto la produzione di certezza giuridica, bene tutelabile di per sé.
La dottrina post-chiovendiana, però, non è concorde con l’ammissibilità nel nostro ordinamento di siffatte azioni, in quanto finalizzate esclusivamente a perseguire la certezza giuridica e, dunque, avulse da un diritto sostanziale del quale, nel processo, si chiede la tutela o l’attuazione.
Ed invero, in primo luogo, con esse verrebbe meno quel collegamento tra diritto soggettivo sostanziale e tutela dichiarativa richiesto dagli artt. 2907 c.c. e 99 c.p.c. e ritenuto fondamentale dallo stesso Chiovenda.
In secondo luogo, tali azioni assumerebbero una funzione prettamente preventiva, essendo sufficiente per il loro esercizio un’incertezza giuridica e, dunque, potendosi prescindere dalla previa lesione di un diritto.
L’azione di mero accertamento, secondo la dottrina maggioritaria, è allora esperibile purché, attraverso il giudizio, sia possibile conseguire un risultato giuridicamente apprezzabile.
Pertanto, non possono assolutamente essere oggetto dell’azione di accertamento mere situazioni di fatto, prescindendosi così del tutto dall’esame del diritto su cui esse si fondano e che è esposto ad un pregiudizio attuale.
Nei casi esaminati dalle tre pronunce del Tribunale di Genova, l’iter logico-argomentativo si è fondato proprio su tali considerazioni.
I fatti e la loro qualificazione giuridica costituiscono punti rilevanti per la decisione di una controversia, ma non possono essere posti ad oggetto di un’autonoma decisione, eccezion fatta per la verificazione di una scrittura privata o la querela di falso.
Se così non fosse, infatti, verrebbe leso il diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost., in quanto il singolo fatto può essere rilevante ai fini dei più disparati effetti giuridici, di guisa che solo individuando questi effetti sarà possibile determinare il bene richiesto ed il danno che al convenuto potrà derivare dall’accoglimento di tale richiesta (P. PISANI, Appunti sulla tutela di mero accertamento, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1979, pp. 643 ss.).
D’altro canto, il processo ha proprio la funzione di tutela dei diritti sostanziali e deve concludersi con il raggiungimento del suo effetto tipico, ossia quello di affermazione o negazione del diritto dedotto in giudizio. In questo contesto, i fatti possono essere accertati, ma solo come fondamento del diritto fatto valere e mai di per sé o per gli effetti possibili e futuri che da tale accertamento si vorrebbero ricavare.
Testo del provvedimento
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