Articolo redatto dall’Avv. Roberto Sposato del foro di Cosenza
La responsabilità dei sindaci e degli amministratori di società, alla luce dell’articolo 2407, comma 2 codice civile, ha natura solidale, con la conseguente considerazione che – ai sensi dell’art. 1292 c.c. – il curatore fallimentare potrà, mediante l’azione ex articolo 146 Legge Fallimentare, pretendere il risarcimento integrale dei danni subiti dalla società fallita, in un unico giudizio di cognizione ordinaria, a tutti i convenuti e, quindi, sia all’amministratore (o amministratori) che ai componenti l’organo di controllo.
Ovviamente, il curatore fallimentare ha la possibilità di dirottare la propria azione anche nei confronti di alcuni degli obbligati passivi, ad esempio dopo l’effettuazione di indagini patrimoniali nei riguardi dei membri dell’organo gestorio e/o di controllo, con la conseguenza che, nella ipotesi in cui i medesimi (o uno tra loro) procedano alla soddisfazione della pretesa creditoria nei riguardi della procedura fallimentare, avranno azione di regresso ex articolo 1299 codice civile verso gli altri condebitori passivi. Invero, i condebitori, solo con riguardo ai rapporti interni, mediante la citata azione di regresso, possono agire invocando una diversa ripartizione dell’onere risarcitorio ai sensi dell’articolo 1298 codice civile (salvo che l’obbligazione in solido sia stata contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi).
Per tali motivi, assume preminente rilievo, a livello giudiziale, procedere ad una individuazione delle singole condotte, ad una ripartizione delle responsabilità ed all’accertamento dell’entità e del grado di colpa ascrivibile a ciascun soggetto che, con il proprio contegno, sotto il profilo eziologico, abbia contribuito alla causazione del danno; in tema, è stato rilevato, infatti, che “…sulla solidarietà passiva da fatti illeciti, corre l’obbligo di ribadire l’importanza della diseguale efficacia causale delle diverse condotte, nonché la diversità delle colpe dei corresponsabili, nei rapporti interni al fine della ripartizione dell’obbligo risarcitorio tra di essi”.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità, con Corte di Cassazione, Sezione I, 22 novembre 2010, n. 23581, pronunciatasi sui rapporti interni tra debitori ex articoli 1298 e 1299 codice civile con specifico riferimento all’accertamento delle quote di responsabilità ascrivibili ai soggetti passivi, nel premettere che “in materia di risarcimento del danno da fatto illecito, anche contrattuale, l’articolo 2055 codice civile dispone, nel primo comma, che se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento dei danni, regolando invece l’articolo 1298 codice civile la solidarietà nell’esecuzione delle prestazioni dovute in forza di obbligazioni contrattuali o quasi contrattuali. Il capoverso dell’articolo 2055 stabilisce inoltre che colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate (non potendosi qui ammettere, per la natura illecita del fatto generatore, l’eccezione contemplata nei rapporti interni nell’articolo 1298 codice civile, per il caso di obbligazione contratta nell’interesse esclusivo di alcuni di essi)”, ha statuito che “l’affermazione che si debba rispondere per fatto proprio, anche in solido con altri, dell’intero danno, se costituisce applicazione del principio di solidarietà passiva nelle obbligazioni di risarcimento da fatto illecito, non esime infatti, in presenza della relativa domanda di accertamento ritualmente proposta dalla parte che vi sia legittimata, dalla ripartizione in ogni caso (non potendo qui ricorrere la già ricordata eccezione dell’articolo 1298 codice civile, comma 1) delle quote di ripartizione interna della responsabilità tra i diversi coobbligati, in proporzione della rispettiva colpa e dell’entità delle conseguenze che ne sono derivate”, con la conseguenza che, in assenza della rituale domanda di accertamento, “…deve, pertanto, trovare applicazione il criterio sussidiario, stabilito dall’articolo 2055 codice civile, comma 3, per il quale, nel dubbio, le singole colpe si presumo uguali”.
Da ultimo, è ben possibile che, incardinato il giudizio risarcitorio ex articolo 146 Legge Fallimentare ed effettuata la fase istruttoria (anche mediante l’acquisizione agli atti di una consulenza tecnica d’ufficio), le parti pervengano ad una definizione bonaria della vertenza che può a) riguardare solo alcuni dei convenuti citati e non tutti, e b) può avere ad oggetto l’intero debito solidale o solo parte di esso.
In questi casi, è possibile la sottoscrizione, tra curatore e alcune delle controparti, sindaci o amministratori, di una accordo transattivo volto a definire, totalmente o parzialmente, il contenzioso, con la conseguenza che, in caso di estinzione parziale, il processo proseguirà tra le contendenti non coinvolte nel citato negozio.
Ora, sul punto occorre precisare, da un lato, che l’articolo 1304, comma 1 codice civile, secondo cui la transazione fatta dal creditore con uno dei condebitori in solido non produce effetto nei confronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne profittare, trova applicazione soltanto nei casi in cui l’accordo bonario afferisca l’intero debito ex articolo 1292 codice civile; dall’altro, invece, che “se…l’oggetto del negozio transattivo è limitato alla sola quota del debitore solidale stipulante, la norma resta inapplicabile e, per l’effetto della transazione, il debito solidale viene ridotto dell’importo corrispondente alla quota transatta, producendosi lo scioglimento del vincolo solidale tra lo stipulante e gli altri condebitori, i quali, di conseguenza rimangono obbligati nei limiti della loro quota” (Gabelli Massimo (a cura di), Società, pagina 743, Wolters Kluwer, Milano, 2018).
Tale assunto trova conferma – per concludere la presente trattazione – nella giurisprudenza della Suprema Corte, la quale, con la sentenza 8 luglio 2009, n. 16050, ha decretato, appunto, che “il primo comma dell’articolo 1304 codice civile, che disciplina gli effetti della transazione intervenuta fra il creditore ed uno dei condebitori solidali, si riferisce alla sola ipotesi in cui la transazione abbia riguardato l’intero debito solidale; se l’oggetto del negozio transattivo è invece limitato alla sola quota interna del debitore solidale stipulante, la transazione resta fuori della previsione normativa e riduce l’intero debito dell’importo corrispondente alla quota transatta producendo conseguente scioglimento del vincolo solidale fra lo stipulante e gli altri condebitori, sicché questi ultimi rimangono obbligati nei limiti della loro quota”.
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