Testo massima
Con sentenza del 17 novembre 2014, il Tribunale di Lecce, in persona della dott.ssa Annafrancesca Capone, ha accolto la domanda di due società correntiste, che avevano convenuto in giudizio la propria Banca, al fine di ripetere somme corrisposte in via (asseritamente) indebita, sulla scorta della dedotta nullità delle clausole di rinvio agli “usi piazza” per la determinazione del tasso di interesse, di quelle di capitalizzazione trimestrale degli interessi, di inammissibilità delle c.m.s., di illegittima determinazione dei “giorni valuta”, di illegittima applicazione di spese non pattuite con riferimento a due contratti di apertura di credito.
La domanda veniva contestata dalla Banca, sia in punto prescrizione del diritto alla restituzione, nonché di decadenza per mancata impugnazione degli estratti conto nei termini prescritti, con proposizione di domanda riconvenzionale per la condanna degli attori al pagamento delle somme dovute quale saldo dei conti correnti in contestazione.
Il punto dirimente della controversia in favore del cliente è stato il ricalcolo operato dal consulente tecnico d’ufficio del saldo di conto corrente mediante l’espunzione di tutte le voci di costo ritenute illegittime, mediante l’applicazione del c.d. principio del “saldo zero”.
In sostanza, il ricalcolo è stato effettuato senza tenere conto dell’iniziale saldo negativo per il cliente e ciò in quanto agli atti non risultavano acquisiti gli estratti conto dall’inizio del rapporto.
La produzione parziale degli estratti conto è stata cioè valutata secondo un criterio assai favorevole per il correntista (e opinabile, per quanto si dirà), mediante un principio (quello del “saldo zero”) elaborato dalla giurisprudenza sulla scorta dell’art.24 Cost., che prende il nome di “principio di vicinanza della prova”.
In altri termini, viene “temperato” il rigoroso disposto dell’art.2697 cc sull’onere della prova, ponendo quest’ultimo a carico della parte “prossima” alla fonte di prova (la Banca, nel caso di specie, trattandosi degli estratti conto da essa emessi).
Tornando al caso de quo, in cui il primo saldo emergente dagli estratti conto prodotti era negativo, il consulente tecnico d’ufficio ha effettuato due ipotesi di ricalcolo: “la prima tenendo conto del saldo risultante dal primo estratto conto disponibile, la seconda partendo da saldo iniziale pari a zero”.
Il Tribunale ha ritenuto di dover prendere in considerazione la seconda ipotesi di calcolo, atteso che “il saldo sganciato dalle poste precedenti rappresenta un mero numero, privo di ogni tipo di riscontro e, in quanto tale, insignificante; in altri termini, in mancanza degli estratti conto, non può escludersi che vi siano state delle poste contabili illegittime (per capitalizzazione di interessi, tassi ultralegali, commissione di massimo scoperto, ecc.), sicché diventa necessario annullare tutte le voci non verificabili e, quindi, partire da zero (in questi termini, Corte di Appello Lecce, 06- 17.07.2012, n. 510)”.
Sulla scorta di tali argomentazioni, il Giudice salentino ha condannato la Banca convenuta alla corresponsione delle somme rideterminate a credito per le società correntiste.
IL COMMENTO
La vexata quaestio del “saldo zero” è tema ormai “classico” del diritto bancario.
Benché il principio elaborato dalla giurisprudenza consenta di risolvere “pragmaticamente” le controversie nelle quali la produzione documentale degli estratti conto sia lacunosa, contemperando il rigoroso principio dell’onere della prova di cui all’art.2697 cc con il diritto di difesa della parte c.d. “debole”, è assai arduo affermare che tale criterio possa ritenersi applicabile alle azioni di ripetizione di pagamenti (asseritamente) indebiti promosse dal cliente nei confronti della banca.
Se, infatti, quando sia la banca ad agire per l’accertamento del proprio credito (sia in fase monitoria che, come convenuta in senso formale, nella fase di opposizione, ovvero in autonomo giudizio di accertamento e condanna) è ragionevole ipotizzare che la lacuna documentale, rappresentata dalla produzione parziale degli estratti conto, conduca inevitabilmente al ricalcolo del credito senza tener conto del primo saldo (eventualmente negativo), altrettanto non può dirsi quando sia il correntista a lamentare l’indebita applicazione di spese, commissioni o interessi illecitamente pattuiti e, dunque, a richiederne la restituzione in via principale od in via riconvenzionale.
In quest’ultima ipotesi, infatti, l’azione non può qualificarsi quale azione di accertamento (negativo, rispetto a pretesa altrui già azionata), ma va inevitabilmente a configurarsi quale azione di ripetizione dell’indebito ex art.2033 cc. La conseguenza, sul piano processuale, è che il principio del “saldo zero” non può certamente sovvertire il generale criterio di ripartizione dell’onere della prova.
Se “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”, spetta anzitutto al cliente attivarsi per la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto di conto corrente, cosicché questi non potrà invocare la (propria) parziale produzione documentale al fine di ottenere un ricalcolo delle competenze in senso favorevole.
Ciò, si badi, anche al fine di evitare casi di omessa produzione “artata”, ove poi la banca non riesca a fornire la prova della liceità degli addebiti.
In riferimento a casi analoghi, si è di recente pronunciato il Tribunale di Arezzo (sez. distaccata di Montevarchi dott. Carlo Breggia, sent. 30.05.2013 n.91http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/saldo-zero-regolamentazione-della-ripartizione-dell-onere-della-prova.html ), il quale ha ben evidenziato che “porre eguale a zero lo stato del conto corrente a una certa data successiva al suo inizio, anziché [ ] un saldo negativo, costituisce unamanifesta violazione del principio che regola l’onere della prova, perché, appunto, premia chi l’onere non ha adempiuto pur avendone l’obbligo e sanziona chi l’onere non era tenuto a rispettare: con il c.d. saldo zero si abbuona al cliente, in definitiva, un saldo sicuramente negativo a una certa data, senza avere la prova che fosse negativo per colpa di illecite pratiche contrattuali dell’istituto, piuttosto che per colpa della condotta morosa del cliente, e senza neppure avere la possibilità di esperire accertamenti in proposito”.
Peraltro, sembra essere questo anche l’orientamento della Corte di legittimità, allorché essa pone a carico dell’attore (sostanziale) in ripetizione lo specifico onere di “provare l’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta” (Cass. Civ., sez. III, 14.05.2012, n.7501; il caso sottoposto alla Suprema Corte riguardava la posizione di un pensionato, ritenuto “accipiens” di somme non dovute da parte dell’Istituto previdenziale, che aveva già emesso provvedimento amministrativo di ripetizione dell’indebito, ma che, in sede di giudizio, aveva comunque l’onere di provare la natura indebita dei trattamenti pensionistici erogati).
Come ha avuto modo di precisare lo stesso Tribunale di Arezzo, il principio della vicinanza della prova può essere in casi come questo evocato solo allorquando la parte “debole” in senso sostanziale sia posta in una condizione di particolare difficoltà di “accesso alla prova”, circostanza che non può valere per gli estratti conto che siano stati negligentemente dispersi, ovvero nei casi in cui il cliente si sia disinteressato per averli. Ciò, anche considerando che gli estratti conto sono, ai sensi dell’art.119 D.Lgs. 385/93, documenti disponibili per entrambe le parti del rapporto: “poco importa se i rapporti sono risalenti o se qualcuna delle parti, per sua scelta, non li ha conservati: essi devono essere resi disponibili da chi ne abbia l’onere”.
Il principio vale, vieppiù, quando banca e cliente non si pongano in rapporto c.d. Business-to-Consumer (B2C), ma il correntista sia anch’egli un imprenditore, che presumibilmente tiene traccia dei propri rapporti con la banca ed è dotato di una propria organizzazione aziendale, che non gli consente di invocare il principio di “vicinanza della prova”.
Dalla riccamente argomentata pronunzia del Giudice bresciano non può evidentemente prescindersi per un’analisi a 360 gradi della problematica in questione, la quale abbraccia, come sottolineato, diversi aspetti di carattere sostanziale, come di carattere processuale.
Ciò che va segnalato, tuttavia, è che nel caso dell’azione di ripetizione, difficilmente la giurisprudenza addiviene all’applicazione del “saldo zero” in favore del correntista attore, come testimonia un ampio novero di provvedimenti già pubblicati su questa rivista (ex multis, Tribunale di Brindisi, Giudice dott.ssa Sara Foderaro, Sentenza del 13-01-2014 –http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/ripetizione-indebito-non-si-applica-il-saldo-zero-in-caso-di-omessa-produzione-degli-estratti-dall-inizio-del-rapporto.html ). In tutte le pronunce citate, il punto “focale” è rappresentato dalla considerazione che il principio della vicinanza della prova non può invertire il generale e rigoroso criterio di ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 cc, pena la strumentalizzazione (e in un certo senso lo svilimento) del “supremo” diritto di difesa ex art.24 Cost.
Le considerazioni fin qui svolte, che traggono la loro “occasione” nel commento della sentenza del Tribunale di Lecce, costituiscono solo un punto di partenza per un’analisi completa dell’applicabilità del “saldo zero” alle controversie bancarie, non esaurendo il tema di riflessione, tenuto conto che questioni ben più complesse si pongono anche nell’ambito dell’azione di accertamento e condanna promossa dalla banca (ovviamente anche in forma monitoria) ove il ricalcolo effettuato dal CTU risulti favorevole al correntista e si ponga il problema della accertabilità o meno del credito del cliente che sia rimasto processualmente inerte rispetto a qualsivoglia onere di allegazione.
Ad ogni buon conto, la decisione del Tribunale salentino in commento presta il fianco a non poche critiche, recando in sé il limite di aver “decontestualizzato” un pur “equo” meccanismo di elaborazione giurisprudenziale, applicandolo in un giudizio per il quale le regole di ripartizione dell’onere della prova non potevano essere così facilmente disattese o, comunque, secondo costante orientamento, potevano essere diversamente valutate, ben attagliandosi il principio del “saldo zero” alle sole azioni di condanna promosse dagli istituti di credito.
Testo del provvedimento
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