In tema di diritto alla ripetizione dell’indebito, non basta la mancanza del titolo giustificativo dello spostamento patrimoniale, essendo necessaria la prova che vi sia effettivamente stato un pagamento indebito. Il concetto di pagamento va inteso come adempimento in senso lato dell’obbligazione erroneamente supposta da parte del solvens, di modo che, senza che vi sia stato un effettivo spostamento patrimoniale non sarà configurabile alcuna prestazione indebita.
Il ricalcolo degli interessi su un conto epurato dalle poste illegittime non può comportare una condanna della Banca alla restituzione della differenza, non essendovi stato alcuno spostamento patrimoniale ma solo una contabilizzazione illegittima di poste debitorie alle quali non è però seguito alcun pagamento.
Questo è il principio espresso dalla Corte d’appello di Napoli, Pres. D’Ambrosio- Rel. Cacace, con la sentenza n. 2943 del 27 giugno 2024.
Il caso originava dalla citazione notificata dal fallimento di una società con la quale la medesima conveniva in giudizio la banca, dinanzi al Tribunale di Napoli, per far accertare e dichiarare l’illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, competenze, spese e oneri nel corso del rapporto di conto corrente e, per l’effetto, condannare la banca alla restituzione di tutte le somme indebitamente addebitate e/o riscosse, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sino al soddisfo.
A sostegno della pretesa, il Fallimento deduceva che la società fallita era titolare di due rapporti di conto corrente, sui quali, come emergeva dall’analisi degli estratti conto, venivano applicati illegittimamente la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, interessi ultralegali non dovuti in quanto non pattuiti.
Il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda attorea e, per l’effetto, condannava la banca al pagamento, in favore del Fallimento, della somma di euro 52.297,34 oltre interessi, nonché alla refusione delle spese processuali e di quelle dovute per l’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio.
La società appellante proponeva la riforma della sentenza di prime cure sulla base di tre motivi di gravame.
In particolare, con il primo motivo di censura, l’appellante impugnava il capo di sentenza con il quale il Tribunale aveva condannato la Banca al pagamento della somma di € 52.297,34, quale differenza tra il saldo contabile inizialmente calcolato dalla Banca e quello ricalcolato in seguito allo svolgimento della CTU espletata in primo grado.
Secondo la difesa attorea, nonostante la differenza esistente tra il saldo originario e quello rideterminato, non sarebbe stato possibile far discendere da esso alcun diritto della correntista alla ripetizione della suddetta differenza, non essendovi stato alcun pagamento.
La Corte d’Appello, rigettata preliminarmente l’eccezione di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c., nella sentenza in commento si è soffermata sul primo motivo di gravame, ritenendolo fondato.
Il Collegio ha rilevato che nel caso di specie la correntista e lo stesso Fallimento non avevano effettuato alcun pagamento in favore della Banca, la quale si era limitata ad annotare in conto corrente poste a titolo di interessi, commissioni e spese non dovute, ma mai effettivamente pagate e ricevute da parte della correntista. Tale profilo non era stato mai oggetto di contestazione tra le parti ed anzi risultava provato dal fatto che il giudizio prendeva le mosse su iniziativa del Fallimento dopo che la Banca creditrice aveva presentato domanda di insinuazione al passivo per le somme dovute e mai corrisposte da parte della società correntista.
Nel caso specifico, durante l’accertamento peritale, stante la mancanza dei contratti di apertura di conto corrente, il CTU aveva rilevato la nullità degli addebiti effettuati dalla Banca a titolo di interessi convenzionali, capitalizzazione trimestrale, commissioni di massimo scoperto e spese non pattuite, rideterminando così il saldo contabile di conto corrente dal quale, però, era conseguito comunque un credito per la Banca, di € 140.350,08, e quindi un saldo finale passivo per la correntista.
In ragione di ciò, secondo la Corte d’Appello, il Tribunale avrebbe dovuto limitare la propria statuizione all’accertamento delle nullità rilevate e del nuovo saldo ricalcolato, non potendo pronunciare una condanna della Banca alla restituzione della differenza poichè non vi era stato stato alcuno spostamento patrimoniale ma solo una contabilizzazione illegittima di poste debitorie alle quali non era però seguito alcun pagamento.
Per tale motivo, alla luce del principio di diritto già menzionato, il primo motivo di impugnazione è risultato fondato e, di conseguenza, è stata riformata la sentenza nella parte in cui aveva condannato la Banca al pagamento della somma di € 52.297,08 in favore del Fallimento, trattandosi di una somma non dovuta per le ragioni illustrate in precedenza. Spese compensate.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
RIPETIZIONE INDEBITO: LA PRESCRIZIONE DECORRE DAL MOMENTO DELLA STIPULA DEL CONTRATTO NULLO
L’ACCERTAMENTO DELLA NULLITÀ RETROAGISCE FINO A QUELLA DATA
Sentenza | Giudice di Pace di Ivrea, dott.ssa Francesca Lombardo | 13.01.2021 | n.22
RIPETIZIONE INDEBITO: L’AZIONE PUO’ ESSERE ESERCITATA SOLO DOPO L’ESTINZIONE DEL CONTO CORRENTE
IN COSTANZA DI RAPPORTO NON SI CONFIGURANO PAGAMENTI RIPETIBILI
Sentenza | Corte d’Appello di Campobasso, Pres. D’Errico – Rel. Spinelli | 06.05.2021 | n.158
RESITUZIONE DI INDEBITO: L’INAMMISSIBILITÀ DELLA DOMANDA SI ESTENDE ANCHE ALLA RICHIESTA DI NULLITÀ DEL CONTRATTO AD ESSA PRESUPPOSTA
CIÒ IN QUANTO LA DOMANDA DI ACCERTAMENTO È STRUMENTALE ALL’ACCOGLIMENTO DELLA DOMANDA DI CONDANNA
Sentenza | Tribunale di Benevento, Giudice Onorario di Pace, Avv. Rosario Molino | 01.06.2023 | n.1242
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