Nel caso di azione revocatoria a cascata, che ricorre quando il bene è uscito dal patrimonio del debitore poi fallito e sia stato dall’acquirente rivenduto in favore di un terzo sub-acquirente, il curatore può esperire le azioni revocatorie fallimentari di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 67 L.F. solo nei confronti dell’acquirente, mentre nei confronti del sub acquirente può esperire solo l’azione revocatoria ordinaria con conseguente onere di provare la scientia damni ed il consilium fraudis; naturalmente, previa qualificazione della cessione di azienda quale “atto a titolo oneroso” e/o atto arrecante pregiudizio alle ragioni creditorie, rientrante tra quelli previsti dalla normativa di riferimento ex art. 67 L.F. ed ex art. 2901 c.c..
Inoltre, per dichiarare l’inefficacia dell’ultimo acquisto si dovrà preliminarmente accertare la esistenza delle condizioni di revocabilità ex art 67 L.F. dell’atto che sta a monte. L’inefficacia dell’atto del terzo presuppone, infatti, l’inefficacia dell’atto compiuto dal fallito.
Questo è il principio espresso dal Tribunale di Nocera Inferiore, Giudice Simone Iannone, con la sentenza n. 1160 del 27 luglio 2022.
La curatela del Fallimento citava in Giudizio due società affinché fosse dichiarata la revocatoria e la inopponibilità ai creditori del Fallimento dell’atto di cessione del ramo di azienda del 19.9.2012 intervenuto tra la società fallita e il primo acquirente e del successivo atto di cessione di azienda del 29.1.2013 intervenuto tra quest’ultimo e altra società.
Adduceva il Fallimento, a sostegno delle proprie ragioni, che la fallita in data 19.9.2012 aveva trasferito alla prima società il ramo d’azienda avente ad oggetto “la produzione, la lavorazione, il confezionamento e la commercializzazione di prodotti ortofrutticoli ed alimentari in genere per il corrispettivo di € 10.0000,00”che poco dopo, in data 29.1.2013, la società acquirente aveva a sua volta trasferito ad altra società; che in data 25-26 febbraio 2013 veniva dichiarato il Fallimento della cedente e che, dopo tale dichiarazione, la cessione del ramo d’azienda veniva iscritta nel registro delle imprese; che entrambe le cessioni di ramo d’azienda dovevano essere revocate e che, infine, l’Azienda oggetto di cessione rappresentava la unica garanzia per i creditori avendo la debitrice precedentemente dismesso il suo patrimonio immobiliare.
Nella sentenza in commento il Tribunale campano, chiamato a dirimere la vicenda, preliminarmente evidenzia il collegamento sussistente nelle ipotesi di revocatoria a cascata, chiarendo che l’inefficacia dell’atto del terzo presuppone l’inefficacia dell’atto compiuto dal fallito.
Peraltro, aggiunge, che laddove l’atto originale sia revocabile ex art. 67 L.F., la mala fede del terzo deve individuarsi nella consapevolezza delle circostanze che, ai sensi della legge fallimentare, rendono revocabile l’atto compiuto dal fallito.
Quindi, secondo il Tribunale, occorre distinguere:
– la situazione soggettiva del primo acquirente, ove la malafede va individuata nella consapevolezza delle circostanze che rendono revocabile, secondo la legge fallimentare, l’atto compiuto dal fallito;
– dalla mala fede del sub-acquirente consistente, invece, nella consapevolezza del vizio di revocabilità che inficia l’atto di trasferimento originario, cioè che l’immediato acquirente del fallito al momento del primo atto era a conoscenza dello stato di insolvenza del fallito.
Il Giudice rileva poi da ultimo che nell’ambito della disciplina dell’art. 2901 c.c., la buona fede del terzo, in applicazione del principio generale relativo, debba essere presunta, mentre la prova della malafede del terzo grava sull’attore in revocatoria.
Applicando il principio di diritto già menzionato, il Tribunale passa all’esame del primo atto di cessione di ramo di azienda al fine di verificarne la revocabilità ex art. 67 L.F..
Con riferimento al primo comma, il Tribunale ritiene che ciò che rileva sia il dato oggettivo della verifica del superamento della soglia del quarto di quanto è stato dato o promesso, superamento che nel caso di specie non si era verificato in quanto il prezzo della cessione era stato fissato in euro 10.000,00 a fronte, invece, dell’intero valore della cessione (comprensivo di tutte le attività), di fatto, azzerato dai debiti di pari rilevanza.
Passando all’esame degli ulteriori presupposti ai sensi dell’art. 67, co 2, L.F., il Tribunale evidenzia che appare distorta la funzione del contratto di cessione di azienda quando il contratto non identifica compiutamente la autonomia e la operatività del ramo di azienda ceduto che pertanto appare solo una cessione di crediti e debiti che ben potrebbe alterare la par conditio creditorum operante nel fallimento.
Sennonché, la cessione del credito, per quanto lasci al Tribunale alcune perplessità in merito alla operazione, non risultando nel trasferito se non macchine e attrezzature per soli € 6.000,00 e quindi una cifra del tutto irrisoria rispetto ai complessivi crediti e debiti ceduti, non fornisce prova fondante della mala fede dell’acquirente in merito alla conoscenza dello stato di insolvenza in cui si trovava la cedente.
Il Tribunale ritiene che dal primo atto di cessione non riesce a formarsi un vero e proprio impianto presuntivo che possa essere definito concordante a sostegno delle ragioni della Curatela Fallimentare, avuto riguardo alla prova dell’elemento soggettivo, sotto il profilo delle presunzioni; in altri termini, non si sono ravvisate presunzioni certe, precise e concordanti da cui desumere gli elementi posti a fondamento dalla Curatela per ottenere ristoro delle proprie ragioni, né la Curatela ha formulato istanze di prova costituenda che avrebbero potuto corroborare la propria tesi difensiva.
Per tali ragioni, rigettando la revocatoria del primo atto di cessione, il Tribunale considera assorbite in tale rigetto anche le ulteriori domande del fallimento, con compensazione delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
AZIONE REVOCATORIA: SI PUÒ PROPORRE ANCHE IN PRESENZA DI UN CREDITO LITIGIOSO SOTTOPOSTO AD ACCERTAMENTO
NON DEVE FARSI LUOGO A SOSPENSIONE NECESSARIA EX ART. 295 CPC
Ordinanza | Corte di Cassazione, Pres. Sarano – Rel. Ambrosi | 12.03.2024 | n.6517
REVOCATORIA ORDINARIA: SE L’ALIENAZIONE È SUCCESSIVA AL SORGERE DEL CREDITO È SUFFICIENTE LA SCIENZA DEL PREGIUDIZIO DEL CREDITORE
L’EVENTUS DAMNI SI REALIZZA QUANDO C’È VARIAZIONE QUANTITATIVA/QUALITATIVA DEL PATRIMONIO DEL DEBITORE
Ordinanza | Corte di Cassazione. Pres. Frasca – Rel. Scrima | 18.06.2019 | n.16221
REVOCATORIA ORDINARIA: SE L’ALIENAZIONE È SUCCESSIVA AL SORGERE DEL CREDITO È SUFFICIENTE LA SCIENZA DEL PREGIUDIZIO DEL CREDITORE
L’EVENTUS DAMNI SI REALIZZA QUANDO C’È VARIAZIONE QUANTITATIVA/QUALITATIVA DEL PATRIMONIO DEL DEBITORE
Ordinanza | Corte di Cassazione. Pres. Frasca – Rel. Scrima | 18.06.2019 | n.16221
REVOCATORIA CONTRO I SUBACQUIRENTI: ANCHE QUANDO L’ATTO ORIGINARIO È UN ATTO REVOCABILE EX ART. 67 LF È SEMPRE UNA REVOCATORIA ORDINARIA
LA MALA FEDE DEL SUBACQUIRENTE CONSISTE NELLA CONSAPEVOLEZZA DEI VIZI DI REVOCABILITÀ DELLATTO ORIGINARIO
Sentenza | Tribunale di Napoli, sezione fallimentare, dott. Stanislao De Matteis | 13.05.2013 |
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