ISSN 2385-1376
Testo massima
Dalla mancata dimostrazione, da parte del soggetto intermediario, dell’adempimento dei propri obblighi informativi, non può derivare l’automatico riconoscimento di una sua responsabilità a titolo risarcitorio, gravando come è noto sull’investitore l’onere di provare, sia pure facendo eventualmente ricorso a criteri presuntivi, il rapporto di causalità tra la violazione e il pregiudizio patrimoniale subito, consistente in particolare nella circostanza secondo la quale, qualora correttamente informata delle caratteristiche delle obbligazioni acquistate, si sarebbe astenuta dall’acquisto medesimo, allocando altrove i propri risparmi.
Il portafoglio del cliente con consistenti elementi di rischio fa presumere che, anche in caso di incompleta informazione da parte della banca, l’ordine di acquisto sarebbe coerente con i propri obiettivi di investimento ed il dichiarato profilo di rischio.
Questi i principi ribaditi dalla Corte di Appello di Roma Pres. Rel. Cofano con la sentenza del 30 aprile 2015, n. 2693, in materia di responsabilità dell’istituto di credito a seguito di violazione degli obblighi di informazione da parte dell’intermediario finanziario.
La questione esaminata dal collegio ha riguardato la presunta violazione degli obblighi di informativa, gravanti sull’intermediario finanziario, di cui agli artt. 26, 28 e 29 del Regolamento Consob del 1° luglio 1998, n. 11522 in danno dell’investitore appellante, il quale avrebbe sopportato ingenti perdite per un totale complessivo di euro 300.000,00.
Con le norme de quibus – collocate all’interno della Parte II sulla “Disciplina della prestazione dei servizi di investimento e accessori e del servizio di gestione collettiva del risparmio” – ci si è preoccupati di stabilire in che modo l’intermediario finanziario debba comportarsi nello svolgimento del proprio incarico, obbligando quest’ultimo ad assumere tutte le notizie necessarie sull’esperienza del cliente in materia di investimento, ad informarlo dei rischi connessi alle attività da compiere, nonché ad astenersi dall’effettuare operazioni non adeguate, salvo autorizzazione scritta o telefonica dell’investitore stesso.
Nel caso di specie, l’appellante si doleva delle perdite subite, con riferimento ai contratti di gestione patrimoniale e negoziazione stipulati con la banca appellata, ricollegandole causalmente alla mancanza di adeguate informazioni da parte dell’intermediario in ordine all’acquisto di titoli statunitensi, argentini e turchi, tenuto conto dell’esclusivo intento del cliente di conservazione del proprio patrimonio e dell’assenza di alcuna autorizzazione all’esercizio di investimenti ad alto rischio.
I. La Corte di Appello di Roma, esaminate le difese delle parti in causa, ha rigettato preliminarmente le eccezioni formulate dall’istituto di credito in ordine all’inammissibilità dell’atto introduttivo per violazione dell’art. 342 c.p.c., nonché del divieto di nova nel grado di appello.
II. Nel merito, il collegio ha rigettato il gravame proposto dall’appellante investitore sulla base delle seguenti motivazioni.
a. In ordine al rapporto di negoziazione, a parere del giudice adito, non sussisterebbero gli obblighi di forma scritta degli acquisti e di persistente informativa anche dopo la conclusione delle operazioni richieste dal cliente.
Quanto al primo, la forma scritta prevista dall’art. 60 del Regolamento Consob già richiamato, non riguarderebbe la validità degli ordini di acquisto, ma avrebbe solo funzione probatoria degli ordini ricevuti dall’investitore.
Quanto al secondo, esso non può intendersi in termini di “persistente monitoraggio” da parte della banca delle operazioni concluse su richiesta dell’investitore, ma piuttosto va interpretato nel senso che l’intermediario sia tenuto a rispettare il principio di buona fede nel corso dell’intero rapporto, fornendo al cliente gli adeguati chiarimenti ove richiesti.
Sul punto, a parere della Corte, l’appellante non avrebbe fornito alcuna congrua dimostrazione circa la genericità dei chiarimenti forniti dall’intermediario a seguito della richiesta del cliente.
b. In ordine alla inadeguatezza delle operazioni di acquisto dei titoli statunitensi e turchi rispetto agli obiettivi di conservazione del patrimonio del cliente, il giudice adito ha rilevato che, stante il contratto di gestione sottoscritto nel quale risultava specificato che “la gestione [era] finalizzata al conseguimento di un adeguato ritorno finanziario, sfruttando le opportunità dei mercati obbligazionari” e l’elevata somma di danaro messa a disposizione dell’istituto, il modus operandi dell’intermediario finanziario possa considerarsi perfettamente in linea con il profilo di investitore ad alto rischio corrispondente a quello dell’appellante.
c. In ordine al mancato rispetto dell’onere della prova gravante sulla banca, la Corte di Appello di Roma ha specificato che, sebbene l’istituto di credito non abbia dimostrato adeguatamente di aver rispettato gli obblighi informativi previsti dalle norme di settore, non è possibile per questo ritenere automaticamente la banca responsabile a titolo risarcitorio.
Ed invero, grava sull’investitore l’onere di provare il nesso eziologico tra violazione e pregiudizio patrimoniale, dimostrando che, ove adeguatamente informato, si sarebbe astenuto dall’effettuare l’acquisto dei suddetti titoli, allocando altrove i propri risparmi.
Sulla base di tale assunto, il collegio, rilevato l’inadempimento del suddetto onere da parte dell’appellante, ha correttamente rigettato l’appello proposto e condannato l’attore al pagamento delle spese di giustizia.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 303/2015