ISSN 2385-1376
Testo massima
Nel reato di bancarotta semplice per mancata tempestiva richiesta di fallimento, oggetto di punizione è l’aggravamento del dissesto dipendente dal semplice ritardo nell’instaurare la concorsualità, non essendo richiesti ulteriori comportamenti concorrenti.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto dal difensore di:
V.M.
avverso la sentenza del 4/11/2011 della Corte d’appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. D’AMBROSIO Vito, che ha concluso per il rigetto dell’istanza di rinvio e per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con conferma delle statuizioni civili;
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 4 novembre 2011 la Corte d’appello di Genova confermava la condanna di V.M. per i reati di bancarotta preferenziale e bancarotta semplice patrimoniale commessi nella sua qualità di amministratore, prima, e liquidatore, poi, della alfa s.r.l., dichiarata fallita il (OMISSIS). Contestualmente la Corte territoriale, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, assolveva il V. dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e conseguentemente provvedeva alla rimodulazione del trattamento sanzionatorio applicato nel precedente grado di giudizio, confermando invece le statuizioni civili contenute nella sentenza appellata.
2. Avverso la sentenza ricorre a mezzo del proprio difensore l’imputato articolando quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo deduce l’errata applicazione della L. Fall., art.216, comma 3, e vizi motivazionali della sentenza impugnata in merito alla ritenuta sussistenza del reato di bancarotta preferenziale. In proposito il ricorrente evidenzia innanzi tutto come in entrambe i gradi del giudizio di merito il ricorrente sia stato assolto dal reato di bancarotta societaria, nel quale doveva ritenersi assorbito quello di bancarotta preferenziale relativo ai pagamenti effettuati in favore dei soci, giacchè l’indebita restituzione dei conferimenti operati dai medesimi integra la fattispecie di cui all’art.2626 cc. richiamato dalla L. Fall., art.223. Non di meno nella valutazione dell’elemento psicologico del reato contestato la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto dello specifico contesto in cui sarebbe maturata la decisione di operare i pagamenti incriminati, tali da escludere il dolo specifico preferenziale.
2.2 Con il secondo motivo si lamentano l’errata applicazione della L. Fall., art.217, n.4, carenze motivazionali in merito alla ritenuta configurabilità del reato di bancarotta semplice e la mancata assunzione di una prova decisiva sul punto. In tal senso il ricorrente denuncia come i giudici d’appello abbiano solo apoditticamente affermato che l’imputato avrebbe colpevolmente ritardato il fallimento della società, senza peraltro dimostrare perchè la condotta ritenuta abusiva del V. abbia effettivamente aggravato il dissesto come richiesto per la sussistenza del reato contestato e trascurando altresì di confrontarsi con la relazione del consulente P. (non smentita dalle altre risultanze processuali), dalla quale risulta come la gestione operata dall’imputato in veste di liquidatore della fallita abbia invece comportato una riduzione della sua situazione debitoria, anche tenuto conto dei costi inevitabilmente sostenuti nel corso della suddetta gestione. Infine la sentenza impugnata sarebbe censurabile in relazione al mancato accoglimento della richiesta di disporre perizia tecnico-contabile sul punto avanzata dalla difesa ai sensi dell’art.603 cpp..
2.3 Con il terzo motivo il ricorrente denuncia l’insussistenza dell’aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, alla luce di quanto eccepito nei precedenti motivi, mentre con il quarto, per le stesse ragioni, deduce la mancanza dei presupposti per l’irrogazione della pena accessoria irrogata nel giudizio di merito e per la condanna al risarcimento del danno lamentato dalla procedura concorsuale costituitosi parte civile.
Motivi della decisione
1.Preliminarmente deve essere rigettata l’istanza di rinvio fatta pervenire l’11 febbraio 2013 dal difensore dell’imputato evidenziando la concomitanza di altro impegno professionale. L’istanza è infatti intempestiva, atteso che lo stesso difensore ha evidenziato come la notizia dell’impedimento gli era pervenuta il 14 novembre 2012 e che quindi egli era in grado di prospettarlo a questa Corte già al momento della notifica dell’avviso di fissazione per l’odierna udienza.
2. Deve ancora annotarsi che i reati per cui è intervenuta condanna si sono prescritti successivamente alla pronunzia della sentenza impugnata, essendo il relativo termine maturato il 3 gennaio 2012, tenuto conto dei periodi in cui lo stesso è rimasto sospeso nel corso del giudizio di primo grado per complessivi mesi cinque e giorni sei. Peraltro, stante la condanna dell’imputato anche al risarcimento del danno in favore della parte civile, i motivi di ricorso devono essere esaminati non solo alla luce della regola di giudizio contenuta nell’art.129 cpp., comma 2.
2.1 In tal senso deve rilevarsi che il primo motivo è comunque infondato e, per certi versi, inammissibile.
Innanzi tutto deve osservarsi che dall’eventuale riqualificazione in bancarotta societaria della contestata bancarotta preferenziale in favore dei soci non discenderebbe l’effetto di assorbimento prospettato dal ricorrente, bensì, semmai, altre e ben più sfavorevoli conseguenze per l’imputato in ordine al calcolo dei termini di prescrizione. Infatti, l’assoluzione intervenuta già nel primo grado di giudizio per il reato previsto dall’art.223 comma secondo n. 1) legge fall, riguardava -contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso – un fatto diverso ed autonomo da quello per cui è invece stata pronunziata condanna anche in appello, atteso che oggetto di contestazione erano presunte false appostazioni nei bilanci della fallita e l’imputazione era conseguentemente ispirata alla violazione degli artt.2621 e 2622 cc. e non già dell’art.2626 cp.
In realtà, per come si evince dall’imputazione e dal testo delle sentenze di merito, l’indebita restituzione ai soci ha riguardato finanziamenti effettuati dai medesimi nel corso della vita della società non già in conto capitale, bensì a titolo di mutuo e cioè finanziamenti che, in quanto tali, non rientrano tra i conferimenti integranti l’oggetto materiale della fattispecie descritta nel menzionato art.2626 cc. ed evocata dalla norma penale fallimentare cui ha fatto riferimento il ricorrente.
Ed in tal senso la Corte territoriale ha dunque correttamente applicato il principio per cui integra il reato di bancarotta preferenziale la restituzione ai soci, effettuate in periodo di insolvenza, dei finanziamenti concessi dai medesimi alla società (Sez. 5, n.1793/12 del 10 novembre 2011, N., Rv. 252003).
2.2 Per il resto il motivo appare inammissibile in quanto fondato sull’apodittica affermazione dell’assenza del dolo tipico della bancarotta preferenziale. I giudici d’appello hanno reso in proposito specifica motivazione che risulta coerente alle risultanze probatorie e con la quale invece il ricorrente ha omesso di confrontarsi. In particolare deve evidenziarsi che la doglianza non può ritenersi meno generica solo perchè supportata dall’argomento per cui i pagamenti preferenziali avrebbero prevenuto la proposizione da parte dei creditori preferiti di altrettante istanze di fallimento, evidenziando in tal modo l’intento dell’imputato di risanare l’azienda, trattandosi di un evidente paralogismo, atteso che ogni pagamento preferenziale ha per effetto quello di ridimensionare la platea dei soggetti interessati all’innesco della concorsualità e non può quindi costituire sol per questo indice di una volontà diversa da quella di alterare la par condicio creditorum che invece realizza.
3. Il secondo motivo è pari menti in parte infondato ed in parte inammissibile.
3.1 La contestata fattispecie di mancata tempestiva richiesta di fallimento prevista dalla L. Fall., art.217, n.4, mira ad evitare che l’esercizio dell’impresa possa prolungare lo stato di perdita. In tal senso oggetto di punizione è il semplice ritardo nell’instaurare la concorsualità, a prescindere dalla rimproverabilità di comportamenti ulteriori che siano in qualche modo concorsi nell’aggravamento del dissesto. In altri termini, per la sussistenza del reato non è richiesto che l’imprenditore abbia colpevolmente determinato tale aggravamento anche in modo diverso, essendo sufficiente che lo stesso aggravamento costituisca il naturale esito del prolungamento dell’attività dell’impresa, di per sè considerato idoneo dalla norma incriminatrice a produrre tale esito anche solo, ad esempio, attraverso l’ulteriore accumulo dei costi ordinari di gestione.
3.2 In merito a tale reato il ricorrente ha sostanzialmente riproposto le doglianze già avanzate con i motivi d’appello, che la Corte territoriale ha respinto con motivazione certamente sintetica, ma non per questo meno adeguata e che risulta, allo scrutinio di legittimità, non manifestamente illogica e coerente alle risultanze probatorie. Secondo l’impostazione seguita dalla sentenza impugnata, infatti, non è possibile valutare l’addebito in questione disgiuntamente dai contestuali fatti di bancarotta preferenziale, riconducendo la consapevole decisione di prolungare la vita della fallita all’obiettivo di consentire l’esecuzione dei pagamenti preferenziali e soprattutto di quelli effettuati in favore dei soci, di per sè rivelatori dell’assenza di alcun effettivo intento di “rimettere in piedi” la società. In tal senso, oltre al supplemento di costi gravanti sul patrimonio di quest’ultima, la scelta operata dall’imputato ha quindi in ogni caso inciso sull’entità del dissesto, consentendo la sottrazione delle risorse impegnate nei pagamenti preferenziali, atteso che l’aggravamento del dissesto medesimo deve essere valutato nell’ottica della soddisfazione concorsuale dei creditori alla cui realizzazione mira l’obbligo imposto all’imprenditore di non ritardare l’avvio della procedura fallimentare. In altri termini l’imputato differendo la ricognizione giudiziale dello stato d’insolvenza ha consentito ad alcuni creditori di procurarsi rimborsi superiori a quelli che avrebbero ottenuto in sede concorsuale, determinando inevitabilmente un aggravamento del dissesto nella misura in cui in tal modo si è ridimensionato l’attivo disponibile per gli altri creditori.
3.3 Inammissibile è poi la censura relativa alla omessa valutazione da parte dei giudici d’appello della consulenza P.. In tal senso il ricorrente ha sostanzialmente eccepito il vizio di travisamento di una prova per omessa considerazione della medesima, senza però attenersi ai consolidati principi elaborati in proposito da questa Corte. Infatti la prova in questione è solo genericamente evocata nel ricorso e il suo contenuto riportato in maniera largamente incompleto, impedendo così al giudice di legittimità di apprezzare compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni del consulente e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (Sez. 4 n. 37982 del 26 giugno 2008, Buzi, rv 241023)
3.4 Manifestamente infondata è inoltre la lamentela attinente alla violazione dell’art.603 cpp. per la mancata assunzione di perizia contabile, atteso che l’integrazione istruttoria in grado di appello ha carattere eccezionale e può essere disposta soltanto quando il giudice non possa decidere allo stato degli atti; il che si traduce nella necessità che la prova offerta sia decisiva, cioè idonea ad eliminare ogni incertezza o ad inficiare il valore probatorio di ogni altra risultanza di segno contrario (Sez. 3 n. 3S372 del 23 maggio 2007, Panozzo, rv 237410; Sez. 3 n. 21687 del 7 aprile 2004, Modi, rv 228920). Ma in tal senso deve ricordarsi come, secondo il costante insegnamento di questa Corte, la perizia, per il suo carattere “neutro” sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva (ex multis Sez. 4, n. 14130 del 22/01/2007 – dep. 05/04/2007, Pastorelli e altro, Rv. 236191).
3.5 Inammissibili infine sono il terzo e quarto motivo in quanto privi di autonomia rispetto ai primi due, risultando pertanto intrinsecamente generici.
4. In definitiva, stante l’intervenuta prescrizione e l’ammissibilità di alcuni dei motivi proposti dal ricorrente, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali, mentre il ricorso deve essere rigettato con riguardo alle statuizioni civili – che devono dunque ritenersi definitivamente confermate – e il ricorrente condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in complessivi Euro 2.200 oltre ad accessori come per legge.
PQM
Rigetta l’istanza di rinvio presentata dal difensore dell’imputato perchè intempestiva.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per essere i reati estinti per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente a rimborsare alla parte civile le spese sostenute che liquida in complessivi Euro 2.200, oltre ad accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2013
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Numero Protocolo Interno : 449/2013