ISSN 2385-1376
Testo massima
L’estratto conto certificato ex art. 50 dlgs. 385/1993 è cosa diversa dall’estratto di saldaconto di cui all’art. 102 l. 141/1938 che limita il valore probatorio di tale documento al procedimento monitorio, assumendo solo rilievo indiziario nel successivo procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, mentre l’estratto conto vero e proprio, di cui all’art. 50 del dlgs. 385/93, ha l’efficacia probatoria prevista dall’art. 1832 cc.
La presenza, poi, nel contratto di fideiussione della clausola che per la determinazione del debito garantito fanno prova in qualsiasi sede contro il fideiussore, i successori o aventi causa, le risultanze delle scritture contabili della Banca, determina che, anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il certificato di saldaconto (a differenza di quanto previsto per la fase monitoria dall’art.50) ha valore indiziario, e può assolvere l’onere della prova dell’ammontare del credito in forza della detta clausola, trattandosi di clausola immune da nullità, agli effetti dell’art. 2698 c.c., in quanto non integrante una non consentita inversione dell’onere probatorio su diritti di cui le parti non possano disporre, né un aggravamento eccessivo dell’esercizio del diritti.
Tale principio è stato affermato dal Tribunale di Chieti, dott. Lucio Luciotti, con sentenza n.717 del 25.10.2013, aderendo all’orientamento affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che aveva avuto modo di precisare la differenza tra il saldaconto di cui all’art. 102 l. 141/1938 che consentiva l’emissione del decreto ingiuntivo sulla base di un documento ricognitivo del solo saldo finale, ed il certificato ex art. 50 dlgs. 385/1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) che richiede l’allegazione dell’estratto-conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dirigenti della banca, il quale deve anche dichiarare che il credito è vero e liquido ( cfr. Cass.2 dicembre 2011, n.25857; Cass. 19.3.2009 n. 6705 e Cass. 28.5.2009 n. 12509).
La decisione trae origine da un giudizio di opposizione proposto dal fideiussore avverso il decreto con il quale era stato ingiunto il pagamento del saldo di un conto corrente intestato alla società garantita, deducendo l’inefficacia dei contratti di fideiussione per mancanza di valida sottoscrizione da parte dei legali rappresentanti, l’inefficacia probatoria della dichiarazione del funzionario di banca ex art. 50 dlgs. 385/1993 e la mancanza di valida pattuizione contrattuale delle condizioni applicate al rapporto.
Nella fattispecie di cui alla sentenza in esame, la Banca aveva prodotto, a corredo del ricorso per decreto ingiuntivo, l’estratto conto certificato ex art. 50 dlgs. 385/1993 contenente la dichiarazione che il credito è certo, liquido ed esigibile e il contratto di fideiussione che all’art. 8, comma 2, con la clausola espressa che prevede “Per la determinazione del debito garantito fanno prova in qualsiasi sede contro il Fideiussore, i successori o aventi causa, le risultanze delle scritture contabili della Banca”, oltre al contratto con le pattuizioni delle condizioni economiche applicate al rapporto.
Nel corso del giudizio di opposizione, la Banca, poi, ha prodotto, altresì, l’intero estratto conto del rapporto garantito su supporto informatico relativamente al quale il Giudice ha rilevato la mancata contestazione.
Il principio affermato con la sentenza in commento, ha ribadito quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.25857 del 2.12.2011, con la quale, partendo dalla innanzi riportata distinzione in ordine al valore probatorio del salda conto ex art. 102 l. 141/1938 e il certificato ex 50 dlgs. 385/1993, ha confermato ritenendola corretta – la decisione della Corte territoriale secondo cui nel processo a cognizione piena introdotto con l’opposizione ex art. 645 cod. proc. civ. (a differenza che nella fase monitoria: art. 50 dlgs. 385/1993), il certificato di saldaconto – di cui il fideiussore non ha contestato la conformità alle scritture contabili della banca, limitandosi a ritenerlo insufficiente a fornire un quadro completo della genesi e maturazione delle singole voci che concorrevano a formare il saldo finale – può assolvere l’onere della prova dell’ammontare del credito in forza del ricordato regime pattizio ex art. 2698 cc.
Si deve riconoscere natura di patto relativo all’onere della prova alla clausola del contratto di conto corrente con la quale il cliente riconosca che i libri e le altre scritture contabili della banca facciano piena prova nei suoi confronti: clausola, immune da nullità ex art. 2698 cod. civ., non integrando una non consentita inversione dell’onere probatorio su diritti di cui le parti non possano disporre, nè un aggravamento eccessivo dell’esercizio del diritto (Cass., sez. 1, 29/1/1982, n.575).
La norma di cui all’art.50 dlgs. 385/1993 ha, in ultima analisi, esclusivo ambito di applicazione nel procedimento speciale monitorio: come reso evidente dalla sua stessa rubrica (Decreto ingiuntivo). Ne consegue che perde concreta rilevanza l’allegazione di un vizio formale originario del provvedimento, una volta che il giudice abbia poi accertato in concreto, a cognizione piena, l’esistenza del credito azionato: pur non revocando il decreto ingiuntivo per sostituirlo con una sentenza di condanna di eguale ammontare.
Con la sentenza in esame, poi, il Giudice ha ritenuto infondate tutte le eccezioni sollevate in ordine alle condizioni economiche applicate, ritenendo la commissione di massimo scoperto contenuta nel contratto sorretta da causa lecita, e lo ius variandi applicato dalla Banca legittimo per essere stata provata la pattuizione scritta della possibilità di variare le condizioni contrattuali previa comunicazione scritta della variazione , circostanza non contestata nel giudizio di opposizione.
Lo ius variandi, ha affermato il Tribunale di Chieti, permette alle banche di modificare unilateralmente le condizioni previamente stabilite nei contratti di durata con soggetti terzi, a condizione che il cliente abbia sottoscritto la relativa clausola vessatoria ex art. 117 c. 5 dlgs. 385/1993) e che le variazioni vengano comunicate a tale soggetto nei modi e nei termini stabiliti dal CICR (art. 118 co. 1, dlgs. 385/1993).
L’attuale comma 2 dell’art. 118 TUB, sostituito dall’art. 4 del dlgs 141/2010, con la decorrenza indicata al comma 2 dell’art. 6 decr. Legisl. citato, in attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, prevede che “qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: “proposta di modifica unilaterale del contratto” con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. Nei rapporti al portatore la comunicazione è effettuata secondo le modalità stabilite dal CICR. La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tal caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all’applicazione delle condizioni precedentemente praticate”.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CHIETI
Il Tribunale di Chieti, in composizione monocratica nella persona del Giudice dott. Lucio LUCIOTTI
nella camera di consiglio del 22 ottobre 2013 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in primo grado iscritta al n. 1452 R.G. Aff. Cont. dell’anno 2012, avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo in materia di contratti bancari, vertente
TRA
M.P. s.r.l.;
ATTRICE OPPONENTE
E
CASSA DI RISPARMIO SPA;
CONVENUTA OPPOSTA
CONCLUSIONI
Come da verbale di udienza del 23.9.2013.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La. M.P. s.r.l, nella sua qualità di fideiussore della R. s.p.a., in virtù di contratti di fideiussione stipulati in data 21.122009, destinataria del decreto ingiuntivo n. 328/12 emesso dal giudice monocratico di questo Tribunale in data 11.52012 per il pagamento in favore della Cassa di Risparmio opposta per l’importo in linea capitale di 2.828.396,67 euro, proponeva opposizione avverso il predetto decreto deducendo:
– l’inefficacia dei contratti di fideiussione per mancanza di valida sottoscrizione da parte dei legali rappresentanti;
– l’inefficacia probatoria della dichiarazione del funzionario di banca ex art. 50 TUB;
– la mancanza di una valida pattuizione contrattuale posta a base del rapporto di c/c;
– l’illegittimità della clausola contrattuale di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito;
– l’illegittimità dell’applicazione della commissione di massimo scoperto in quanto mai convenuta tra le parti e, comunque, l’illegittimità dell’applicazione della c.m.s. per illiceità della causa e mancata determinazione dei criteri di calcolo;
– l’illegittimità dello ius variandi applicato dalla banca ai tassi di interesse.
Si costituiva la banca opposta che chiedeva il rigetto dell’opposizione perché del tutto infondata, contestando punto per punto tutti i motivi di opposizione proposti dalla M.P.s.r.l.
Il primo motivo di opposizione, in cui l’opponente ha eccepito l’inefficacia dei contratti di fideiussione per mancanza di valida sottoscrizione da parte dei legali rappresentanti, è palesemente infondato, in quanto risulta documentalmente provato (v. all. 6 del fascicolo di parte opposta) che per la sottoscrizione del contratto di fideiussione (che, si noti, non è oggetto di alcuna contestazione) il consiglio di amministrazione della società opponente con apposita delibera adottata in data 12.122009, aveva delegato il solo L.A..
Altrettanto infondata è la dedotta inefficacia probatoria della dichiarazione del funzionario di banca prodotta in sede monitoria.
Invero, quello allegato al ricorso per decreto ingiuntivo è l’estratto conto certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca opposta, contenente la dichiarazione che il credito è vero e liquido, ovverosia il documento ex art. 50 d.lg. 385/1993, recante il Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia TUB, che è cosa diversa dall’estratto di saldaconto di cui all’art. 102 l. 7 marzo 1938, n.141, che limita il valore probatorio di tale documento (diverso dagli estratti conto veri e propri) al procedimento monitorio, potendo assumere rilievo nel successivo procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo rilievo solo come documento indiziario, la cui portata è liberamente apprezzata dal giudice nel contesto di altri elementi ugualmente significativi, mentre l’estratto conto vero e proprio, di cui all’art. 50 d.lg. 385/93 ha l’efficacia probatoria prevista dall’art. 1832 c.c. (cfr. Cass, 19 marzo 2009, n.6705 e Cass. 28 maggio 2009, n.12509).
Nella giurisprudenza di legittimità si è peraltro affermato che nel procedimento a cognizione piena introdotto con l’opposizione a decreto ingiuntivo, ai sensi dell’art. 645 c.p.c., il certificato di saldaconto (a differenza di quanto previsto per la fase monitoria dall’art.50) ha valore indiziario, e può assolvere l’onere della prova dell’ammontare del credito in forza della clausola, contenuta nel contratto di conto corrente, con la quale il cliente riconosca che i libri e le altre scritture contabili della banca facciano piena prova nei suoi confronti, trattandosi di clausola immune da nullità, agli effetti dell’art. 2698 c.c., in quanto non integrante una non consentita inversione dell’onere probatorio su diritti di cui le parti non possano disporre, né un aggravamento eccessivo dell’esercizio del diritti (cfr. Cass.2 dicembre 2011, n.25857).
Nel caso in esame la clausola di cui sopra è rinvenibile nel contratto di fideiussione del 21.12.2009 prodotto dalla banca opposta, il cui art.8, 2° co., prevede espressamente che “Per la determinazione del debito garantito fanno prova in qualsiasi sede contro il Fideiussore, i successori o aventi causa, le risultanze delle scritture contabili della Banca”.
Ad ogni buon fine la Banca, costituendosi in questo giudizio, ha pure prodotto l’intero estratto conto del rapporto di conto corrente garantito, su supporto informatico, non fatto oggetto di alcuna ulteriore contestazione.
Palesemente infondato è anche il terzo motivo di opposizione, proposto con riferimento alla mancanza di una valida pattuizione contrattuale posta a base del rapporto di c/c, giacché la banca opposta ha prodotto i contratti regolarmente sottoscritti dalla R. Spa, e non fatto oggetto di ulteriore contestazione da parte della società opponente.
In relazione alla clausola contrattuale di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito, l’opponente ne ha eccepito l’illegittimità “in quanto fondata su usi negoziali e non normativi” (cfr. pag. 6 dell’atto di. citazione).
L’eccezione, proposta con riferimento ai contratti del 12.12.2007, di c/c stipulato dalla R. s.p.a. e di apertura crediti su tale conto corrente, è infondata, posto che tutti i predetti contratti, prodotti in copia dalla banca opposta, rispondono ai criteri fissati dalla delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000; infatti, oltre e contenere l’indicazione dei tassi di interesse applicati per le singole operazioni, riportano, alla clausola n. 7, la previsione di identica capitalizzazione (trimestrale) degli interessi, sia attivi che passivi.
Risulta che il contratto di conto corrente abbia però avuto inizio nel 1995, ma la banca opposta, allo scopo di “evitare ogni contestazione sull’effetto anatocistico” (così a. pag. 13 della comparsa di costituzione e risposta) ha dedotto di aver provveduto spontaneamente ad epurare il saldo debitore del c/c n. 18206 (intestato alla R.spa) degli effetti della capitalizzazione per gli anni 1995-2000, riducendo il credito vantato da 1.098.372,77 euro ad 1.054.209,23 euro, secondo il prospetto allegato alla nota esplicativa del 26.8.2011(doc.13 prodotto dalla banca in sede monitoria), che l’opponente non ha contestato se non in maniera del tutto generica.
Infondato è anche il motivo di opposizione fondato sulla dedotta illegittimità dell’applicazione della commissione di massimo scoperto in quanto mai convenuta tra le parti e, comunque, l’illegittimità dell’applicazione della c.m.s. per illiceità della causa e mancata determinazione dei criteri di calcolo.
Invero, la CM.S. non solo risulta espressamente convenuta tra le parti (v. contratti depositati dall’opposta), e non può dirsi priva di causa.
Invero, la commissione di massimo scoperto – definita dalla Corte di cassazione come la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista a. prescindere dall’effettivo utilizzo degli stessi -determina un incremento del tasso di interesse praticato, ma ciò non implica che essa sia priva di causa (in tal senso Tribunale Padova, 10 giugno 2011), specie se, come nel caso in esame, costituente corrispettivo per l’utilizzo, da parte del cliente, di importi superiori al credito a sua disposizione (cfr. Tribunale Terarno, 18.1.2010, n.. 84 e Tribunale Mondovi, 17.2.2009, n. 70).
Invero, l’obbligazione del cliente di corrispondere alla banca un ulteriore compenso, per l’apertura di credito, oltre alla misura degli interessi pattuiti, può essere considerata sorretta da causa lecita, in quanto, appunto, remunerazione correlata all’obbligo, a carico della banca, di tenere sempre a disposizione del cliente il massimo importo affidato, o in quanto correlata al rischio crescente che la banca assume, in proporzione all’ammontare dell’utilizzo concreto di detto credito da parte dei cliente. Nei documenti di sintesi allegati ai contratto di c/c in esame (v. allegati ai documenti indicati con il n.10 del fascicolo monitorio) risulta espressamente specificato che si tratta di una commissione “applicata sul :saldo negativo più alto nel periodo di riferimento. (periodicità della chiusura del. Conto)”, e ne viene indicata la misura, la modalità e la periodicità di calcolo.
Tale sintetica espressione implica, per quanto appena detto, che si tratti di un costo applicato dalla banca in relazione ad importi utilizzati oltre l’affidamento concesso (ossia sullo “scoperto”); interpretazione che risulta sorretta dalla definizione che alla stessa viene data dalla Banca d’Italia proprio nelle “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale Medio ai sensi della: legge sull’usura”, aggiornate al dicembre:2002 (in cui la c.m.s. viene esclusa dal calcolo del c.d. “tasso soglia”, non. essendo considerata quale: onere relativo al credito concesso: “Tale commissione nella tecnica bancaria viene definita come il corrispettivo pagato dai cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto. Tale compenso – che di norma viene applicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre un determinato numero di giorni – viene calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento”).
La “commissione di massimo scoperto” contenuta nel contratto in esame, con la specificazione che ne viene data, può quindi ritenersi sorretta da causa lecita.
Ciò rende evidente l’infondatezza della censura mossa dall’opponente, dovendosi peraltro annotare che né la parte ha dedotto o. provato l’applicazione della c.m.s. al di fuori dell’ipotesi prevista in contratto.
Da ultimo deve osservarsi come la genericità delle contestazioni mosse dalla debitrice opponente raggiunga il suo culmine allorquando la stessa contesta pure le spese applicate affermando semplicemente (v. pag. 8 dell’atto di citazione) che “Dovranno essere verificate le spese, le commissioni e gli interessi pretesi e percepiti dall’istituto …”, senza alcuna specificazione di quali spese trattasi.
L’ultimo motivo di opposizione riguarda l’illegittimità dello ius variandi applicato dalla banca ai tassi di interesse.
E’ noto come lo ius variandi, declinato in ambito creditizio, consista nella pratica invalsa tra le banche di apportare delle modifiche ai contratti di durata stipulati con terzi soggetti, modifiche che solitamente danno origine per questi ultimi a conseguenze peggiorative. Più precisamente, tale pratica permette alle banche di modificare unilateralmente le condizioni previamente stabilite nei suddetti contratti, a condizione che il cliente abbia sottoscritto la relativa clausola vessatoria (art. 117, :5 c., Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385 – TUB) e che le variazioni vengano comunicate a tale soggetto nei modi e nei termini stabiliti dal CICR (art. 118, I t., Decreto Legislativo I settembre 1993, n. 3.85 – TUB).
Tuttavia, l’art. 118 TUB, nella formulazione originaria, sanciva come, ove fosse stata convenuta nei contratti di durata la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni, “le variazioni sfavorevoli dovessero essere comunicate al cliente nei modi e. nei termini stabiliti dal. CICR” e che “entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione scritta, ovvero dall’effettuazione di altre forme di comunicazione attuate ai sensi del comma 1, il cliente aveva diritto di recedere dal contratto senza penalità e di ottenere, in sede di liquidazione del rapporto, l’applicazione delle condizioni precedentemente praticate”. Nondimeno, il CICR dava seguito al disposto di cui all’art. 118 cit. solo dopo diversi anni dall’entrata in vigore del TUB, andando a disciplinare le predette modalità di comunicazione delle variazioni negoziali effettuate dalla Banche solo con la delibera del 4 marzo 2003. Quest’ultima, peraltro, prevedeva sia che “le variazioni sfavorevoli al cliente, riguardanti tassi di :interesse, prezzi e altre condizioni delle operazioni e dei servizi, fossero comunicate al cliente con la chiara evidenziazione delle variazioni intervenute”, sia che “variazioni sfavorevoli generalizzate potessero essere comunicate alla clientela in modo impersonale, mediante apposite inserzioni nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, anche ai fini dell’esercizio del diritto di recesso previsto dall’articolo 118, comma 3, del testo unico bancario”, salvo, però ad essere poi “comunicate individualmente al cliente alla prima occasione utile, nell’ambito delle comunicazioni periodiche o di quelle riguardanti operazioni specifiche”.
In ogni caso, fermo l’art. 118 cit., per il periodo precedente al 2003, pur mancando una delibera del CICR che regolamentasse espressamente la fattispecie, non può revocarsi in dubbio come, anche in assenza di tale deliberato, fosse pur sempre imprescindibile onere della Banche comunicare per iscritto le modificazioni peggiorative unilateralmente disposte a carico dei clienti nel corso del rapporto.
Ciò, infatti, è facilmente desumibile dallo stesso disposto dell’art. 118 e.. 3 cit., il quale, nel riconoscere un diritto di recesso dal contratto al cliente “entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione scritta ovvero dell’effettuazione di altre forme di comunicazione attuate ai sensi del comma 1”, poneva, già di per sé in capo alla Banca (quanto meno) l’onere formale minimo dell’informazione cartacea a favore del cliente, sempre che non intervenisse una successiva delibera del, CICR a regolare diversamente – ma pur sempre secondo canoni di trasparenza – la procedura da rispettare.
Peraltro, una tale interpretazione appare l’unica a rispondere ai canoni di trasparenza dei rapporti bancari , in uno alle ragioni di più efficace tutela dei contraente debole , che hanno caratterizzato la legislazione del settore bancario sin dalla L. 154/1992, tanto più che tali principi di chiarezza e salvaguardia hanno continuato permeare forse in termini ancora più incisivi.- pure le scelte legislative più recenti.
Infatti, non solo la predetta delibera CICR del 2003 , ma la stessa successiva L. n. 248106 (che ha convertito, con modifiche, il decreto legge del 4 luglio 2006, n. 223 -c.d. decreto Bersani- modificativo dell’art. 118 cit.) non hanno giammai inteso prescindere dall’obbligo minimo a carico delle Banche di comunicare per iscritto e personalmente al cliente tutte le “Modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali”.
Per cui, anche alla luce delle sopravvenienze normative de quibus, deve assumersi che già il solo art. 118 cit. esprimesse, sin dalla sua entrata in vigore, uno specifico onere di informazione scritta del cliente in caso di variazioni negoziali unilateralmente disposte dalla Banca: e ciò a pena di inefficacia delle stesse.
L’attuale 2° comma dell’art.118 TUB sostitutito dall’art 4 d.lg. 13 agosto 2010, n. 141, con la decorrenza indicata al comma 2 dell’art. 6 d.lg. citato, in attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, prevede ora che “Qualunque modifica: unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: “Proposta di modifica unilaterale del contratto”, con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. Nei rapporti al portatore la comunicazione è effettuata secondo le modalità stabilite dal CICR. Là modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tale, caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all’applicazione delle condizioni precedentemente praticate.
Tanto acclarato in termini generali, con riferimento al caso di specie deve osservarsi che l’opponente non ha sollevato alcuna contestazione alla deduzione fatta dalla banca opponente nella comparsa di costituzione in giudizio e documentata in atti, di aver pattuito per iscritto con la R. s.p.a. la possibilità di variare le condizioni contrattuali (art. 16 dei contratti prodotti in atti), di aver rispettato le modalità indicate in detta clausola contrattuale, in particolare di aver inviato comunicazione scritta delle variazioni effettuate sulle condizioni contrattali all’indirizzo del debitore, contenuta negli estratti conto periodici.
Da quanto fin qui detto consegue, dunque, il rigetto dell’opposizione, la conferma del decreto ingiuntivo opposto e la condanna della società opponente, rimasta soccombente, al pagamento delle spese processuali sostenute dall’opposta, nella misura liquidata in dispositivo ex d.m. 140/12, tenuto conto del valore della causa (oltre 2,8 milioni di euro) e delle attività difensive svolte, ma anche della non particolare complessità delle questioni trattate, cosicché deve applicarsi il valore di liquidazione medio per le quattro fasi dì cui all’art. 11, co.2, d.m. citato, riducendo del 50% il compenso per la fase istruttoria, in quanto soltanto documentale, ed il compenso per la fase decisoria, perché estrinsecatasi nella precisazione delle conclusioni e nella discussione orale espletata in assenza della controparte.
PQM
Il Tribunale di Chieti, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. 1452/12 r.g.a.c., ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così-provvede:
a) rigetta l’opposizione;
b) condanna la M.P. s.r.l. al pagamento delle spese processuali sostenute dalla CASSA DI RISPARMIO s.p.a., che liquida in euro 14.175,00 per compenso professionale, oltre accessori come per logge.
Così deciso in Chieti nella camera di consiglio del 22 ottobre 2013.
IL GIUDICE
LUCIO LUCIOTTI
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Numero Protocolo Interno : 708/2013