Provvedimento segnalato dall’Avv. Roberto Rusciano di Napoli
I giudizi interrotti per effetto dell’ammissione delle Banche venete alla procedura di liquidazione coatta amministrativa ex D.L. n. 99 del 25 giugno 2017 devono essere riassunti nei confronti della cedente e non della cessionaria.
La cessione di ramo d’azienda ex art. 90 D.Lgs. n. 385 del 1993, dal punto di vista processuale, va ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 111 c.p.c., da cui consegue che la riassunzione del giudizio interrotto deve avvenire in primo luogo, nei confronti della banca posta in liquidazione (sia che si consideri successore universale o stesso soggetto che ha subito l’evento), salva la possibilità di chiamare in giudizio anche il successore a titolo particolare e salva, in ogni caso, la possibilità di estendere a questi gli effetti del giudicato.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Rovigo, Giudice Pierangela Congiu con l’ordinanza del 21.02.2018.
Nella fattispecie esaminata degli azionisti convenivano in giudizio una Banca al fine di ottenere la dichiarazione di nullità di una serie di investimenti in azioni ed obbligazioni effettuati dal febbraio 2009 al dicembre 2013, con conseguente condanna della convenuta alla restituzione in loro favore della somma di € 985.645,50.
Con il D.L. n. 99 del 25 giugno 2017 veniva disciplinato l’avvio e lo svolgimento della liquidazione coatta amministrativa di due Banche venete, tra cui quella convenuta in giudizio, e con successivo contratto del 26.6.2017, tali istituti cedevano ad altro intermediario i propri complessi aziendali.
Lo stesso D.L. all’art. 3 all’ art 1 lett. b), escludeva espressamente dal perimetro della cessione le passività derivanti dai «debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, ivi compresi i debiti in detti ambiti verso i soggetti destinatari di offerte di transazione presentate dalle banche stesse».
In seguito all’interruzione del giudizio gli attori riassumevano nei soli confronti della Banca cessionaria quale successore a titolo particolare, ritenendo che l’esclusione di cui al summenzionato art 3 lett. b) non fosse d’ostacolo alle pretese avanzate o avanzabili dagli stessi, poiché contraria al dettato costituzionale.
Si costituiva in giudizio la cessionaria, eccependo la mancata riassunzione del processo nei confronti della cedente e, quindi, l’estinzione del giudizio per decorrenza del termine di cui all’ art. 305 c.p.c..
Il Tribunale rilevava preliminarmente che l’ammissione della banca convenuta alla procedura di liquidazione coatta amministrativa aveva determinato la perdita della sua capacità di stare in giudizio e l’interruzione automatica del processo ai sensi dell’art. 83, comma 3, T.u.b, con la conseguenza che il processo sarebbe dovuto proseguire nei confronti della cedente in persona del commissario liquidatore, in qualità di parte originaria.
Tuttavia, sia il legislatore, sia l’autonomia contrattuale delle parti avevano espressamente escluso dall’ambito della cessione intercorsa tra le parti i rapporti de quibus agitur, né risultava che i debiti della banca nei confronti degli attori fossero stati iscritti come tali nei libri contabili obbligatori della cessionaria, con conseguente inoperatività della previsione contenuta nell’ art. 2560, comma 2, c.c., che condiziona il subentro del cessionario dell’azienda nei debiti del cedente alla loro iscrizione nei libri contabili obbligatori della azienda ceduta.
Quanto poi all’asserita equiparabilità della riassunzione effettuata nei confronti della cessionaria ex art. 90 TUB alla chiamata in causa della stessa quale successore a titolo particolare, il Tribunale ha ritenuto di non poter condividere tale assunto in quanto la cessione di ramo d’azienda ex art. 90 TUB, dal punto di vista processuale, va ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 111 c.p.c., da cui consegue che la riassunzione del giudizio interrotto deve avvenire in primo luogo, nei confronti della Banca posta in liquidazione, salva la possibilità di chiamare in giudizio anche il successore a titolo particolare e salva, in ogni caso, la possibilità di estendere a questi gli effetti del giudicato.
Né si può sostenere, specifica il Tribunale, che la citazione dell’asserito successore a titolo particolare determini il verificarsi dell’ipotesi di cui all’art.111, comma terzo, c.p.c., ovvero la sua chiamata in causa, con l’effetto di renderlo litisconsorte necessario (insieme alla banca posta in liquidazione) e, quindi, di determinare un’ipotesi di mera incompletezza del contraddittorio, sia perché la chiamata in causa, per regola generale, deve essere autorizzata dal giudice, sia in quanto ai sensi dell’ art.303 c.p.c. la riassunzione, per essere tale, deve essere necessariamente compiuta nei confronti delle parti che devono costituirsi per proseguirlo e, per quanto già detto, il successore a titolo particolare non è parte necessaria, dovendo il processo proseguire nei confronti del successore a titolo universale e non necessariamente nei confronti di quello a titolo particolare.
Sulla scorta di tali rilievi il Tribunale ha accolto l’eccezione sollevata dalla Banca cessionaria e, essendo già ampiamente decorso il termine trimestrale previsto dall’art. 305 c.p.c. , disposto l’estinzione del giudizio.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
LCA: ERRATA LA RIASSUNZIONE DEL GIUDIZIO DI PAGAMENTO NEI CONFRONTI DELLA BANCA CESSIONARIA
IL CLIENTE CHE RIVENDICA IL PROPRIO CREDITO DEVE INSINUARSI NELLO STATO PASSIVO DELLA BANCA CEDENTE
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