L’art. 46 n. 2 L. F. non prevede la necessità di alcuna istanza da parte del fallito, bensì delimita il perimetro dei beni non compresi nel fallimento, affidandone la concreta determinazione (gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività, entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia) alla discrezionalità del giudice delegato, che dunque dovrebbe ritenersi investito già con la sola richiesta del Curatore della necessità di compiere tale valutazione.
Non è consentita l’acquisizione alla procedura della integralità delle somme rivenienti al fallito dalla sua attività lavorativa.
Questi i principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione, sez. sesta, Pres. Dogliotti – Rel. Scaldaferri, con la sentenza n. 26201 del 19.12.2016.
Nella fattispecie in esame, il socio accomandatario di una società dichiarata fallita, proponeva ricorso per Cassazione avverso il decreto emesso dal Tribunale di Lodi, che aveva respinto il reclamo proposto avverso il provvedimento emesso dal Giudice delegato ed avente ad oggetto l’acquisizione alla massa fallimentare dell’intero corrispettivo spettante al ricorrente, in ragione dell’attività di lavoro a progetto svolta presso terzi.
In particolare, con l’unico motivo di ricorso proposto, il ricorrente lamentava la violazione e falsa applicazione dell’art. 46, comma 1, n. 2, L.F. in riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c., per avere il Tribunale di Lodi erroneamente interpretato il dettato dell’art. 46 L.F. ed aver stabilito che l’intero compenso per il lavoro del fallito dovesse essere acquisito al Fallimento.
La Suprema Corte, in primo luogo, osservava che l’art. 46 n. 2 L. F., senza prevedere la necessità di alcuna istanza da parte del fallito, delimita il perimetro dei beni non compresi nel fallimento, affidandone la concreta determinazione (in relazione alla necessità del mantenimento) alla discrezionalità del giudice delegato, che dunque dovrebbe ritenersi investito già con la sola richiesta del Curatore della necessità di compiere tale valutazione.
In secondo luogo, rilevava che non poteva ritenersi, dunque, consentita l’acquisizione alla procedura della integralità delle somme rivenienti al fallito dalla sua attività lavorativa.
Tanto premesso, gli ermellini accoglievano il ricorso, cassando il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale in diversa composizione.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rimanda ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
IL DIRITTO DEL FALLITO A TRATTENERE I PAGAMENTI, SUCCESSIVI AL FALLIMENTO, NECESSARI AL MANTENIMENTO SUO E DELLA FAMIGLIA, SUSSISTE A PRESCINDERE DAL DECRETO DEL G.D.
Sentenza | Cassazione Civile, Sezione Prima, Pres. Ceccherini – Rel. Nazzicone | 08.04.2015 | n.6999
DIRITTO DEL FALLITO A PERCEPIRE E TRATTENERE GLI EMOLUMENTI NECESSARI AL MANTENIMENTO
OPPONIBILITÀ AL FALLIMENTO DEL PAGAMENTO IN FAVORE DEL FALLITO A TITOLO DI RETRIBUZIONE PER PRESTAZIONI DI LAVORO SE EFFETTUATO NEI LIMITI FISSATI DAL GIUDICE DELEGATO
Sentenza | Cassazione civile, sezione prima | 31.10.2012 | n.18843
L’INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO È UN BENE NON COMPRESO NEL FALLIMENTO
TALE BENE RIENTRA NELLE IPOTESI DELL’ART.46, CO I, N. 1 DELLA LF
Sentenza | Tribunale di Napoli, Giudice dott. Graziano | 11.03.2014
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