ISSN 2385-1376
Testo massima
LE MASSIME
L’obbligo di forma scritta degli acquisti di strumenti finanziari rilevabile solo da parte del cliente, si riferisce esclusivamente al contratto quadro ex art.23 TUF e non alle singole attività di intermediazione poste in essere.
Per effetto della libertà delle forme di acquisto dei singoli ordini la prova scritta è richiesta solo ad probationem e non ad substantiam.
La violazione degli obblighi informativi dell’INTERMEDIARIO FINANZIARIO nei confronti del cliente può dar luogo a responsabilità precontrattuale e/o contrattuale ma, in nessun caso, detta violazione può determinare la nullità del contratto di intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, ex art.1418, comma I, cc.
La violazione degli obblighi informativi dell’INTERMEDIARIO FINANZIARIO non è automaticamente motivo di risoluzione in quanto in quanto grava sul CLIENTE l’onere di provare la gravita ex art.1455 cc.
Il diritto di esercitare lo jus poenitendi, e quindi la sospensione di efficacia dei contratti conclusi fuori sede per la durata di sette giorni (decorrenti dalla sottoscrizione dell’investitore) entro i quali l’investitore può esercitare il diritto di recesso, è stato stabilito per i contratti di collocamento di strumenti finanziari conclusi fuori sede (con esclusione di quelli che sono solo promossi fuori sede) nonché quelli che riguardano la gestione di portafogli individuali.
In tanto può trovare ragionevole applicazione la disciplina dello ius poenitendi in quanto si sia verificata una situazione in cui il risparmiatore sia stato esposto al rischio di assumere iniziative e prendere decisioni poco meditate.
IL COMMENTO
Finalmente una decisione che ACUTAMENTE ed in modo efficace analizza, a 360 gradi, le problematiche inerenti l’intermediazione finanziaria evidenziando che contestualmente al dovere di essere informati da parte dell’INTERMEDIARIO FINANZIARIO vi è il dovere del CLIENTE di informarsi.
Non esiste alcuna previsione normativa per la quale si può ritenere valida l’EQUAZIONE GIUDIRICA secondo la quale violazione del dovere di informazione equivale alla nullità dell’ordine di acquisto ma si dovrà concretamente valutare, caso per caso, con un approfondimento globale e non parziale, i cui oneri probatori gravano a carico dell’investitore, in relazione alla eventuale gravità della violazione dell’obbligo informativo dalla parte dell’intermediario.
IL CASO
Il Tribunale d Milano, giudice dott.ssa Silvia Brat, con sentenza del 15/04/2013 n.5171 si è pronunciata sulla domanda promossa da una giovane coppia di investitori, i quali hanno convenuto in giudizio la banca per contestare due acquisti di obbligazioni argentine avvenuti presso la propria abitazione, evidenziando non solo l’assenza di forma scritta per l’ordine di acquisto ma altresì l’omessa necessaria informazione, la loro totale assenza di esperienza, anche in ragione delle rispettive attività lavorative, e la mancanza di avvertimento circa lo jus poenitendi, per cui chiedevano che, previo accertamento della nullità dei contratti di acquisto, la convenuta fosse condannata al risarcimento dei danni pari all’importo complessivo delle somme investite; in via subordinata, chiedevano la risoluzione dei contratti e la condanna della convenuta al risarcimento dei danni.
Il Tribunale ha respinto la domanda, con una attenta, acuta e logica disamina dei reciproci doveri tra l’intermediario finanziario e l’investitore affrontando le regole che disciplinano l’intermediazione mobiliare.
SULLA FORMA SCRITTA DEI SINGOLI ORDINI DI ACQUISTO
Il Tribunale ha respinto la domanda, evidenziando che la forma scritta ad substantiam degli acquisti di strumenti finanziari con la previsione della sanzione della nullità rilevabile solo da parte del cliente deve essere riferita esclusivamente al contratto quadro ex art.23 TUF come regolato dall’art.30 del regolamento Consob n.11522/1998 e non alle singole attività di intermediazione.
A tale conclusione il giudice è pervenuto sulla base della mera interpretazione letterale dell’art.23 TUF che prevede la forma scritta esclusivamente del contratto normativo ed altresì del regolamento Consob n.11522/1998, che, nell’enunciare il contenuto obbligatorio del contratto quadro, prevede in modo espresso che siano indicate le modalità attraverso le quali l’investitore può impartire ordini e istruzioni. Proprio una tale libertà è per definizione contraria all’imperatività della forma scritta.
Del resto, già la Consob con comunicazione n. DI/30369 del 21 aprile 2000, ha precisato che l’obbligo di forma scritta riguarda unicamente il contratto quadro relativo alla prestazione del servizio di investimento e non gli ordini relativi alle singole operazioni poste in essere e che, con riferimento al trading on line, la conclusione del contratto quadro può avvenire via internet solo laddove sia effettivamente realizzabile la firma digitale.
Per tali ragioni essendovi la libertà delle forme dei singoli ordini la prova scritta è richiesta solo ad probationem e non ad substantiam.
SULLA MANCANZA DI AVVERTIMENTO CIRCA LO IUS POENITENDI
Sul punto, richiamando l’indicazione fornita dai giudici di legittimità (Cass. Civ. 2065/2012), si evidenzia che l’art.30 comma 6 D.Lgs. 58/1998, prescrive la sospensione di efficacia dei contratti conclusi fuori sede (con esclusione pertanto di quelli soltanto promossi fuori sede, che viceversa rientrano nella previsione di cui al comma 1, lett. a), per la durata di sette giorni (decorrenti dalla sottoscrizione dell’investitore), entro i quali questi può esercitare il diritto di recesso, limitandolo però ai contratti di collocamento di strumenti finanziari conclusi fuori sede, nonché limitatamente a quella parte dei servizi di investimento che riguarda la gestione di portafogli individuali.
È’ stata infatti cura del legislatore, nel disciplinare l’offerta di prodotti finanziari, offrire una più ampia tutela, nell’ambito dei soggetti investitori, a quella parte di essi che avessero definito l’investimento in prodotti finanziari non già recandosi presso la sede dell’offerente, ma al contrario per essere stati da questo raggiunti all’esterno dei luoghi di pertinenza del proponente. Il motivo della detta distinzione è intuitivamente apprezzabile, e si rinviene nel fatto che colui che si reca presso l’offerente con l’obiettivo di impiegare un risparmio ha maturato una propria convinta determinazione circa l’utilità dell’iniziativa adottata, determinazione viceversa non necessariamente sussistente – o quanto meno non sempre sorretta da adeguate certezze – per effetto della subita iniziativa da parte del venditore.
Con la sospensione, per l’investitore, dell’efficacia della vendita per un arco temporale di sette giorni il legislatore ha dunque ritenuto di poter correggere le eventuali distorsioni negoziali derivanti dall’eventuale effetto “sorpresa” subito dall’acquirente e di assicurare, quindi, un corretto equilibrio fra le posizioni dei due contraenti.
Da quanto sinora esposto discende dunque che, in tanto può trovare ragionevole applicazione la disciplina dello “ius poenitendi“, in quanto si sia verificata una situazione in cui il risparmiatore sia stato esposto al rischio di assumere iniziative e prendere decisioni poco meditate.
SULLA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI INFORMATIVI IN RELAZIONE ALLA DOMANDA DI NULLITÀ
In merito alla violazione degli obblighi informativi dell’INTERMEDIARIO FINANZIARIO nei confronti del cliente è stato ben precisato che quest’ultimo potrà fornire notizie dettagliate al cliente, in quanto, a sua volta, abbia la possibilità di usufruirne e, quindi, di avere tutta una serie di informazioni adeguatamente vagliate e strutturate in modo tale da poterle riversare sul cliente pero, prima del dovere di informare, vi è il dovere dell’investitore di informarsi.
La violazione di tale obbligo informativo può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni e/o a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto ma in nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso detta violazione potrà determinare la nullità del contratto d’intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell’art. 1418, comma 1, c.c. (v. Cass. civ. S.U., n. 26725/2007).
SULLA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI INFORMATIVI IN RELAZIONE ALLA DOMANDA DI RISOLUZIONE
In relazione alla possibilità di ottenere la risoluzione per violazione degli obblighi informativi dell’INTERMEDIARIO FINANZIARIO nei confronti del CLIENTE grava sulla banca l’onere probatorio, sancito dall’art.23 VI comma TUF, di provare di aver fornito anche la benché minima informazione al cliente.
Il mancato assolvimento di tale onere non è automaticamente motivo di risoluzione in quanto in quanto incombe sul CLIENTE l’onere di provare la gravità dell’inadempimento della banca sotto il profilo informativo atteso che tale inadempimento per essere causa di risoluzione deve avere la caratteristiche di gravità richieste dall’art.1455 cc.
SULLA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI INFORMATIVI IN RELAZIONE ALLA DOMANDA DI RISARCIMENTO DANNI
La violazione degli obblighi informativi è rilevante ai fini del risarcimento danni anche se spetta agli INVESTITORI CLIENTI provare il necessario nesso causale tra la mancata informativa e la determinazione ad effettuare gli investimenti poi impugnati: ovvero sono gli INVESTITORI a dover dimostrare che se la banca li avesse adeguatamente informati circa la tipologia delle obbligazioni argentine, essi ragionevolmente si sarebbero astenuti dal procedere agli investimenti.
Nel caso di specie gli INVESTITORI nulla hanno dedotto in merito alle loro determinazioni nel senso che ove fossero stati adeguatamente informati avrebbero rinunciato ad una maggiore redditività a fronte del maggior rischio derivante dall’emittente compresa nei paesi emergenti, ne hanno prodotto documentazione concernente la tipologia e la quantificazione del loro portafoglio titoli.
Da tale documentazione il giudice in relazione alla violazione dell’obbligo informativo di per se assorbente avrebbe potuto desumere indici precisi in merito alla tipologia di investitore, posto che, ad esempio, investimenti di segno completamente opposto a quelli oggetto di causa avrebbero presumibilmente fatto pensare che gli attori, ove informati, non avrebbero effettuato gli investimenti in obbligazioni argentine.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
SESTA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.Silvia Brat ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 92096/2009 promossa da:
CONIUGI INVESTITORI
TIZIO e CAIA
ATTORI
contro
BANCA
CONVENUTA
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
TIZIO e CAIA evocavano davanti al Tribunale di Milano la BANCA, ciò assumendo: che avevano acquistato, presso la propria abitazione, in data 1 aprile 1998 obbligazioni emesse dallo Stato argentino per un controvalore di DM 5.264,18 e successivamente, in data 22 aprile 1999 avevano acquistato, sempre presso la propria abitazione, obbligazioni argentine per un controvalore di lire 20.452.936. Contestavano all’istituto di credito la violazione degli artt.17, 18 D.lgs. n.415/1996 quanto primo acquisto, evidenziando inoltre l’assenza di forma scritta per l’ordine di acquisto e dell’indicazione della facoltà di recesso entro sette giorni dalla data di acquisto, all’ordine dell’aprile 1998; contestavano, con riguardo al secondo acquisto, la violazione degli artt. 21, 27, 28, 29 , 30, 31 del D. lgs. n. 58/1998, sottolineando, sul versante della necessaria informazione, la loro totale assenza di esperienza, anche in ragione delle rispettive attività lavorative, la sussistenza del conflitto di interesse non dichiarato, per essere avvenuto l’acquisto in contropartita diretta. Per tali ragioni, gli attori chiedevano che, previo accertamento della nullità dei contratti di acquisto, la convenuta fosse condannata al risarcimento dei danni pari all’importo complessivo delle somme investite; in via subordinata, chiedevano la risoluzione dei contratti e la condanna della convenuta al risarcimento dei danni.
La banca contestava le doglianze attoree, eccependo in via preliminare la prescrizione dell’azione risarcitoria per responsabilità precontrattuale e dell’azione di annullamento; nel merito, chiedeva il rigetto delle domande attoree e, in via subordinata, per l’ipotesi di accoglimento delle contrapposte domande, chiedeva che dalla somma investita fosse dedotto l’importo ottenuto dagli attori a titolo di cedole e pari ad 2.252,30 e che, nell’ipotesi di condanna della banca al risarcimento dei danni, fosse tenuto conto del residuo valore dei titoli in questione.
La prima questione da esaminare concerne la pretesa nullità degli ordini di acquisto, per assenza del relativo contratto scritto.
A tale proposito, – è doveroso osservare che la forma scritta ad substantiam degli acquisti di strumenti finanziari con la previsione della sanzione della nullità rilevabile solo da parte del cliente deve essere riferita esclusivamente al contratto quadro ex art. 23 TUF come regolato dall’art.30 del regolamento Consob n. 11522/1998 e non alle singole attività di intermediazione.
A tale conclusione si perviene, in primo luogo, sulla base della mera interpretazione letterale dell’art.23 TUF che prevede la forma scritta esclusivamente del contratto normativo ed altresì del regolamento Consob n. 11522/1998, che, nell’enunciare il contenuto obbligatorio del contratto quadro, prevede in modo espresso che siano indicate le modalità attraverso le quali l’investitore può impartire ordini e istruzioni. Ora, proprio una tale libertà è per definizione contraria all’imperatività della forma scritta. Del resto, già la Consob con comunicazione n. DI/30369 del 21 aprile 2000, ha precisato che l’obbligo di forma scritta riguarda unicamente il contratto quadro relativo alla prestazione del servizio di investimento e non gli ordini relativi alle singole operazioni poste in essere e che, con riferimento al trading on line, la conclusione del contratto quadro può avvenire via internet solo laddove sia effettivamente realizzabile la firma digitale.
Tale conclusione è ulteriormente confortata dalla previsione del regolamento Consob n. 11522/1998 all’art. 60, ove è previsto che «gli intermediari autorizzati registrano su nastro magnetico o su altro supporto equivalente gli ordini impartiti telefonicamente dagli investitori», in tal modo distinguendo tra master agreement e singole disposizioni allo stesso riconducibili.
In sostanza, quindi, la libertà o meno in ordine alla forma dei singoli ordini non può che significare che la forma scritta non è prevista ad substantiam, ma solo ad probationem.
Con riguardo al caso in esame, il contratto quadro del 24 settembre 1992 prevedeva all’art.1 la possibilità non solo della forma scritta, ma anche di quella telefonica a condizione della registrazione sui registri dell’istituto di credito. Siffatte pattuizioni sono, quindi, coerenti con l’impianto normativo del D.lgs. n. 415/1996, del D.lgs. n. 58/1998 e del regolamento CONSOB n. 11522/1998 e rivelano una volta di più l’inconsistenza della tesi incentrata sulla richiesta di forma scritta ad substantiam. Ciò non esclude, peraltro, che la forma sia richiesta ad probationem: nel caso in esame, tuttavia, gli attori non hanno contestato di non aver mai impartito tali ordini di acquisto, avendo sin dall’inizio pacificamente ammesso di aver proceduto agli acquisti de quibus.
Per tale ragione la doglianza de qua va disattesa.
La difesa dei coniugi TIZIO E CAIA ha, poi, contestato alla banca la violazione dell’art. 30, VI comma del D.lgs. n. 58/1998, ossia la mancanza di avvertimento circa lo ius poenitendi, in ragione degli acquisti avvenuti presso l’abitazione degli attori.
Sul punto, va richiamata la condivisibile indicazione fornita dal giudice di legittimità, peraltro già seguita da questo Tribunale, che si è espresso nei seguenti termini: «è stato già evidenziato come nel D.Lgs. n. 58 del 1998, art.30, comma 1 il legislatore abbia puntualmente delineato la nozione dell’offerta fuori sede, stabilendo che per essa deve intendersi la promozione ed il collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari (lett. a) e di servizi e attività di investimento (lett. b), in luogo diverso dalle sedi proprie degli operatori proponenti intervenuti. L’art.1 del medesimo provvedimento normativo chiarisce poi cosa debba intendersi per strumenti finanziari (punto 2) e per servizi e attività di investimento (punto 5), elencando con precisione analitica le diverse ipotesi da ricomprendere nella due diverse categorie di atti e di comportamenti, sinteticamente rappresentati, rispettivamente, con le due distinte nozioni di strumenti e di servizi. L’art.30, comma 6 prescrive infine la sospensione di efficacia dei contratti conclusi fuori sede per la durata di sette giorni (decorrenti dalla sottoscrizione dell’investitore), entro i quali questi può esercitare il diritto di recesso, limitandolo però a quelli di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali. È di tutta evidenza, dunque, come non vi sia coincidenza fra la definizione dell’offerta fuori sede, quale formalizzata dal legislatore nell’art. 30, comma 1, e l’ambito di esercizio del diritto di recesso riconosciuto dal comma 6 del medesimo articolo. Tale diritto è stato infatti stabilito per i contratti di collocamento di strumenti finanziari conclusi fuori sede (con esclusione pertanto di quelli soltanto promossi fuori sede, che viceversa rientrano nella previsione di cui al comma 1, lett. a), nonché limitatamente a quella parte dei servizi di investimento che riguarda la gestione di portafogli individuali e quindi, conclusivamente, in termini più contenuti e circoscritti rispetto alla fattispecie dell’offerta fuori sede delineata nel primo comma dell’art. 30. Ma al di là del dato testuale, che depone inequivocabilmente nel senso ora delineato, vi è un’ulteriore considerazione che induce a ritenere che il legislatore abbia deliberatamente inteso circoscrivere l’esercizio del diritto di recesso a peculiari ipotesi specificamente determinate, e non già con riferimento ad una generica attività di collocamento fuori sede. Induce invero alla detta conclusione la circostanza che il legislatore abbia direttamente richiamato nel sesto comma solo parte del contenuto del comma 1, operando viceversa una modificazione per il rimanente. L’analiticità di una disciplina contenuta nel medesimo articolo, con prescrizioni solo in parte sovrapponibili, consente dunque di escludere che la diversità del richiamo possa essere ricondotto a refusi o a imprecisioni terminologiche, e denota piuttosto la peculiarità dell’intento perseguito con la formulazione della disposizione in esame. D’altra parte conferma indiretta della specificità del riferimento al servizio di collocamento sì trae pure dalla disposto del D.Lgs. n. 58, art. 1, comma 5, che, nel ricomprendere tra i servizi di investimento distinte attività di negoziazione (“Le imprese di investimento possono procedere all’offerta fuori sede di prodotti diversi dagli strumenti finanziari e dai servizi e attività d’investimento…”), implicitamente presuppone sia la diversità di quest’ultima rispetto al collocamento, sia l’attenzione posta dal legislatore nella individuazione delle distinte fattispecie da sottoporre ad una comune disciplina. 7. b) – Se pertanto il dato testuale conforta l’interpretazione della normativa offerta dalla Corte di Appello, ad identiche conclusioni deve pervenirsi in relazione alla “ratio” ispiratrice della disposizione di cui all’art. 30, comma 6, che riconosce all’investitore il diritto di recesso. Tale disposizione non costituisce una novità nel nostro ordinamento, essendo stata preceduta dai diversi interventi normativi succedutisi nel tempo, disciplinanti, con prescrizioni sul punto non sempre coincidenti, la distribuzione fuori sede di prodotti finanziari (si intende segnatamente fare riferimento alla L. 23 giugno 1974, n. 216, alla L. 23 marzo 1983, n. 77, alla L. 2 gennaio 1991, n. 1, al D.Lgs. n. 415 del 1996). In ogni modo ai fini che interessano in questa sede occorre evidenziare come sia stata cura del legislatore, nel disciplinare l’offerta di prodotti finanziari, di offrire una più ampia tutela, nell’ambito dei soggetti investitori, a quella parte di essi che avessero definito l’investimento in prodotti finanziari non già recandosi presso la sede dell’offerente, ma al contrario per essere stati da questo raggiunti all’esterno dei luoghi di pertinenza del proponente. Il motivo della detta distinzione fra le due diverse categorie di investitori è intuitivamente apprezzabile, ed è all’evidenza individuabile nel fatto che colui che si reca presso l’offerente con l’obiettivo di impiegare un risparmio ha maturato una propria convinta determinazione circa l’utilità dell’iniziativa adottata, determinazione viceversa non necessariamente sussistente – o quanto meno non sempre sorretta da adeguate certezze – per effetto della subita iniziativa da parte del venditore. Con la sospensione, per l’investitore, dell’efficacia della vendita per un arco temporale di sette giorni il legislatore ha dunque ritenuto di poter correggere le eventuali distorsioni negoziali derivanti dall’eventuale effetto “sorpresa” subito dall’acquirente e di assicurare, quindi, un corretto equilibrio fra le posizioni dei due contraenti. Da quanto sinora esposto discende dunque che, in tanto può trovare ragionevole applicazione la disciplina dello “ius poenitendi”, in quanto si sia verificata una situazione in cui il risparmiatore sia stato esposto al rischio di assumere iniziative e prendere decisioni poco meditate. c) – Tale conclusione, d’altro canto è in linea con le indicazioni fornite al riguardo in via generale dalla Consob. Ed infatti con comunicazione del 9.7.97 detto ente ha precisato che il servizio di collocamento è caratterizzato da un accordo tra emittente (o offerente) e collocatore, finalizzato all’offerta al pubblico di strumenti finanziari a condizioni di tempo e prezzo predeterminate, precisazione poi ulteriormente confortata dall’art. 35 del Regolamento n. 11522, secondo il quale nel prestare il servizio di collocamento gli intermediari si attengono alle disposizioni dell’offerente, al fine di assicurare l’uniformità delle procedure di offerta. d) – Infine la prospettata interpretazione dell’art. 30, comma 6 trova ulteriore conforto anche per due ulteriori ordini di ragioni. Innanzitutto in considerazione del disposto del comma 6 dell’articolo in questione, che esclude la configurabilità dell’offerta fuori sede (pur nella sussistenza delle condizioni indicate nel comma 1) quando questa sia stata effettuata nei confronti di clienti professionali, così confermando l’intento di tutela dell’investitore dal rischio di assumere iniziative poco meditate, non essendo all’evidenza ravvisabile detto rischio nel caso di offerta ad operatore di peculiare competenza, in quanto tale non esposto al rischio di decisioni affrettate ed indotte dalle subite iniziative dell’altro contraente. Inoltre, in ragione dell’esigenza di privilegiare una interpretazione che tenga conto degli effetti eccezionali della disposizione (l’efficacia dell’accordo è infatti sospesa ex lege per la durata di sette giorni, termine entro il quale l’investitore può esercitare il diritto di recesso) e dei riflessi che la stessa è potenzialmente idonea a determinare. Sotto tale aspetto si intende evidenziare come il riconoscimento del diritto di recesso anche nel caso di negoziazione significherebbe consentire all’investitore, al di fuori delle sopra indicate ragioni che hanno indotto alla formulazione della disposizione, di beneficiare del differimento del termine iniziale di decorrenza del negozio in funzione dell’eventuale esercizio del detto diritto (fra l’altro non riconosciuto all’altro contraente), esercizio che, nel caso di preventivo mandato in favore dell’intermediario per la conclusione di negozi alle condizioni più favorevoli, ben potrebbe essere sollecitato anche da motivi di interesse economico, quali quelli determinati dalla possibilità di concludere acquisti di maggiore convenienza, per effetto di mutate situazioni di mercato» (v. Cass. civ. n. 2065/2012).
Con riguardo gli obblighi sostanziali gravanti sull’intermediario e che si concretizzano nel dovere di fornire al cliente un’adeguata informazione, calibrata sulla reale tipologia dell’investitore, alla luce anche della pregressa storicità finanziaria, vengono in considerazione, in primo luogo, i principi generali consacrati nei due testi legislativi sopra richiamati disciplinanti, quello del 1996, il primo acquisto e, quello del 1998, in particolare, l’art.17 del primo testi e l’art. 21 del secondo, la cui formulazione è pressoché identica.
Tali regole normative stabiliscono che gli intermediari si comportino con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati, acquisiscano le informazioni necessarie dai clienti e si organizzino in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse; che, in situazione di conflitto, assicurino comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento; prevedono, ad ulteriore completamento, che gli intermediari dispongano di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi.
L’indicazione dettagliata delle modalità di svolgimento dei servizi di investimento ad opera del regolamento CONSOB n. 11522/1998 riempie di contenuto il concetto giuridico di diligenza professionale, spostando l’asse operativo verso una correttezza intesa come buona fede e dovere di lealtà a carattere oggettivo. Si tratta, in sostanza, di un dovere che trova la propria ragione economica e giuridica sia nella natura spiccatamente fiduciaria del rapporto tra cliente ed intermediario, sia nella sostanziale asimmetria conoscitiva tra il cliente e la banca.
L’art. 28, comma I lett. a) del regolamento CONSOB n. 11522/1998 stabilisce che gli intermediari autorizzati debbono chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, gli obiettivi di investimento e la propensione al rischio, introducendo in tal modo la regola del knoww your customer rule. Ora, è del tutto evidente che il dipendente dell’intermediario in tanto potrà fornire notizie dettagliate al cliente, in quanto, a sua volta, abbia la possibilità di usufruirne e, quindi, di avere tutta una serie di informazioni adeguatamente vagliate e strutturate in modo tale da poterle riversare sul cliente. Vi è, quindi, prima del dovere di informare, il dovere di informarsi. Posta tale premessa, è anche chiaro che il dovere informativo da parte della banca deve essere calibrato sulla reale tipologia di investitore che volta entra in contatto con l’intermediario. Deve, in sostanza, essere fornita un’informativa puntuale e dettagliata, rapportata alle conoscenze in ambito finanziario, alla propensione al rischio, alla tipologia di obiettivi perseguiti del singolo cliente; tenendosi conto anche della storicità quale emergente dal patrimonio titoli.
Sinteticamente sono questi i principali doveri informativi che incombono a carico della banca e di cui gli attori lamentano la violazione con riguardo agli acquisti contestati.
Nel caso di specie, la deposizione testimoniale di L.D. non ha apportato alcun significativo elemento in favore di alcuna delle parti in causa, in quanto il teste non solo non ha saputo fornire indicazioni di sorta in merito ad eventuali informazioni fornite agli odierni attori in merito agli investimenti in obbligazioni argentine, ma neppure ha saputo specificare di quali titoli si trattasse.
A questo proposito, va premesso che «la violazione dei doveri d’informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico del soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d’intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti; può invece dar luogo a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d’investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d’intermediazione finanziaria in questione. In nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suaccennati doveri di comportamento può però determinare la nullità del contratto d’intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell’art. 1418, comma 1, c.c.» (v. Cass. civ. S.U., n. 26725/2007).
Per tale preliminare considerazione, la domanda di nullità con riferimento agli obblighi informativi va disattesa.
Passando, quindi, alla domanda di risoluzione, va rilevato che sul punto, la difesa della BANCA non ha assolto il proprio onere probatorio sancito dall’art. 23 VI comma TUF, non avendo positivamente provato di aver fornito la benché minima informazione ai clienti.
Occorre a questo punto valutare se l’inadempimento della banca si ribadisce integrato dalla mancata prova positiva in ragione dell’inversione dell’onere probatorio – assuma quelle caratteristiche di gravità richieste dall’art.1455 cc e tali da fondare la domanda risolutoria; dovendosi precisare che l’onere di provare la gravità dell’inadempimento grava su parte attorea.
Ebbene, i coniugi TIZIO E CAIA non hanno provato in causa la gravità dell’inadempimento della banca sotto il profilo informativo, nulla avendo illustrato in merito al loro portafoglio, né alla storicità in ambito finanziario.
Pertanto, tenuto conto dell’assenza di qualsiasi prova in merito e, per converso, della percezione delle cedole e del valore residuo delle obbligazioni – come affermato dalla banca e non contestato dagli attori – ad avviso del giudicante non ricorre la gravità richiesta dal codice al fine della pronuncia della risoluzione contrattuale.
Quantunque le considerazioni di cui sopra abbiano carattere assorbente in ordine al dovere di informazione, si evidenzia che l’obbligo informativo della banca è limitato al momento dell’effettuazione dell’investimento, permanendo tale dovere solo nelle ipotesi di cui all’art.28, III e IV comma Regolamento Consob n. 11522/1998. Nel caso di specie, poi, ancorché richiamata, la difesa attorea non ha provato la sussistenza della gestione patrimoniale che, sola, legittima la permanenza degli obblighi informativi di cui sopra.
Deve essere, poi, esaminata la domanda di risarcimento dei danni spiegata dagli attori. A tale proposito, si osserva che anche su questo versante la banca non ha minimamente provato di aver assolto ai propri obblighi informativi, per quanto sopra detto in merito alla mancata circolazione di informazioni rilevanti. Spetta, peraltro, agli attori provare il necessario nesso causale tra la mancata informativa e la determinazione ad effettuare gli investimenti poi impugnati: ovvero sono gli attori a dover dimostrare che se la banca li avesse adeguatamente informati circa la tipologia delle obbligazioni argentine, essi ragionevolmente si sarebbero astenuti dal procedere agli investimenti. Nel caso in esame tale prova è del tutto assente, per i seguenti motivi.
In PRIMO LUOGO, difetta un necessario onere di allegazione, posto che gli attori neppure hanno dedotto alcunché in merito alle loro determinazioni, ove fossero stati adeguatamente informati; non avendo, in particolare, evidenziato che, a mero titolo esemplificativo, avrebbero rinunciato ad una maggiore redditività a fronte del maggior rischio derivante dall’emittente compresa nei paesi emergenti.
In SECONDO LUOGO, gli attori non hanno neppure prodotto documentazione concernente la tipologia e la quantificazione del loro portafoglio titoli: documentazione di importanza fondamentale al fine di cogliere indici precisi in merito alla tipologia di investitore, posto che, ad esempio, investimenti di segno completamente opposto a quelli oggetto di causa avrebbero presumibilmente fatto pensare che gli attori, ove informati, non avrebbero effettuato gli investimenti in obbligazioni argentine. Il tutto, peraltro, alla luce dell’epoca in cui avvennero gli investimenti, epoca non sospetta quanto al default dello Stato argentino. Incombeva, pertanto, una solida prova in ordine al nesso causale, ancorché, come di norma avviene, in base a presunzioni inscrivibili nell’ambito di cui all’art.2729 cc. Presunzioni che non sono certo integrate dalla semplice allegazione dell’attività lavorativa svolta dagli attori, indizio unico e non concludente. Per tali ragioni, anche la domanda di risarcimento dei danni deve essere respinta.
La difesa attorea ha, poi, invocato l’art.27 del citato Regolamento, reputando che il conflitto di interesse – da esplicitarsi in modo adeguato da parte della banca con conseguente raccolta del consenso specifico in ordine all’operazione sia integrato dall’effettuazione delle operazioni in contropartita diretta. Tale ipotesi ricorre quando la banca vende al cliente titoli od obbligazioni di sua proprietà e tale particolare condizione viene valorizzata dal cliente per affermare l’esistenza di un interesse dell’intermediario, specifico e configgente con quello dell’investitore. A tale proposito, questo Tribunale ha più volte osservato che la negoziazione per conto proprio è attività legittima e regolamentata dall’ordinamento ex art. 1 V comma lett. a), TUF ed art. 32 , V comma, regolamento Consob Intermediari e che tale attività non integra il conflitto di interesse in assenza della prova di uno specifico interesse della banca ad i eliminare dal proprio portafoglio titoli scomodi od oggettivamente pericolosi secondo le valutazioni del mercato di quel preciso momento. Del resto, la stessa Consob, con comunicazione DAL/97006042 del 9 luglio 1997 ha chiarito che un’ipotesi di conflitto di interesse non può essere ravvisata sic et simpliciter nella negoziazione in contropartita diretta. Per tali ragioni, la censura non merita accoglimento.
Quanto alla dedotta inadeguatezza ex art. 29 del citato Regolamento, si rileva che parte attorea non ha minimamente indicato gli elementi in fatto fondanti l’inadeguatezza degli ordini di acquisto impugnati, essendosi semplicemente limitata a richiamare la disposizione legislativa de qua senza specificare per quale ragione gli ordini dovessero essere ritenuti inadeguati: in particolare, la difesa attorea non ha spiegato se le obbligazioni de quibus fossero inadeguate per tipologia in rapporto al portafoglio dei TIZIO E CAIA all’epoca esistente, se fosse inadeguato il quantitativo in termini percentuali rispetto ad altri investimenti, se la vicinanza temporale degli ordini ( due acquisti in due anni) fosse sconsigliabile alla luce delle dimensioni del portafoglio dei clienti. A tale onere di allegazione non può evidentemente supplire in modo del tutto esplorativo il giudicante, pena la violazione dell’art.112 cpc.
Alla luce delle sopra esposte motivazioni, segue il rigetto di tutte le domande attoree.
Considerato, poi, da un lato, che la banca è stata inadempiente quanto agli obblighi informativi e, dall’altro, che gli attori non hanno a loro volta provato gli elementi costitutivi delle spiegate domande, pare equo disporre l’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.
PQM
il giudice, definitivamente decidendo sulla causa n. 92096/09 R.G., ogni diversa istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così provvede:
1) rigetta le domande proposte da TIZIO e da CAIA;
2) dispone l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
Così deciso dal giudice unico presso il Tribunale di Milano in data 11 aprile 2013.
Il Giudice
Dott. Silvia Brat
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