Provvedimento segnalato da Donato Giovenzana – Legale di impresa con nota di accompagnamento
La qualificazione dei buoni fruttiferi postali come titoli di legittimazione giustifica la soggezione dei diritti spettanti ai relativi sottoscrittori alle variazioni derivanti dalla sopravvenienza dei decreti ministeriali, volti a modificare il tasso degli interessi originariamente previsto e ha portato a ritenere che la modificazione trova ingresso all’interno del contratto mediante una integrazione del suo contenuto ab externo secondo la previsione dell’art. 1339 c.c. Quanto innanzi è incompatibile con l’applicazione della disciplina di tutela dei consumatori che si estrinseca nel meccanismo della sottoscrizione separata delle clausole vessatorie, ovvero nella imposizione di obblighi informativi personalizzati cui riconnettere facoltà e diritti intesi a garantire la libera autodeterminazione dei risparmiatori anche nel corso del rapporto.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Mammone – Rel. Bisogni, con la sentenza n. 3963 del 11.02.2019.
La vicenda ha riguardato un soggetto che, in primo grado, ha convenuto in giudizio Poste Italiane s.p.a., Cassa depositi e prestiti e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, esponendo di aver acquistato dei buoni postali fruttiferi negli anni 1982 e 1983. Sul frontespizio di questi buoni era indicato che gli stessi erano pagabili con gli interessi maturati secondo la tabella riportata a tergo che prevedeva una progressione degli interessi dal 9 al 16 % e l’incremento progressivo del valore del buono con indicazione della somma che l’intestatario avrebbe riscosso alla data di presentazione del pagamento. In particolare, sulla base della tabella e della data di presentazione per il pagamento, avrebbe dovuto riscuotere la somma complessiva di 71.931,41 Euro mentre l’ufficio postale pagatore, applicando una modifica in pejus del tasso di interessi, disposta con D.M. del Tesoro in data 13 giugno 1986, aveva erogato la somma di 31.881,56 Euro.
Il Tribunale di Palermo ha respinto le domande e evidenziato l’irrilevanza, oltre che la infondatezza, delle questioni di legittimità costituzionale ai fini della decisione del giudizio.
La sentenza di primo grado è stata appellata dal soggetto soccombente che ha rilevato che il contratto stipulato con le società convenute è un contratto di diritto privato al quale egli ha aderito sulla base dei tassi di interesse e piani di rimborso concordati nelle tabelle riportate a tergo dei buoni ed in un momento in cui la facoltà di modifica dei tassi di interesse era solo ipotizzabile ma non in termini peggiorativi. Da ciò sarebbe dovuto conseguire, secondo l’appellante, che la soggezione alla condizione vessatoria dello jus variandi della p.a. doveva essere specificamente conosciuta e approvata per iscritto e il contratto avrebbe dovuto prevedere sia la comunicazione al sottoscrittore delle eventuali variazioni sfavorevoli del tasso di interesse sia la possibilità di esercitare il diritto di recesso.
Le società appellate si sono costituite reiterando l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice adito e chiedendo il rigetto nel merito dell’appello.
Avverso la decisione di rigetto di appello è stato, dunque, proposto ricorso per cassazione sulal base di due motivi. Poste italiana si è difesa con controricorso e ha depositato memoria difensiva. Cassa depositi, quale rappresentante processuale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha proposto controricorso e ricorso incidentale articolato in due motivi.
Le SS.UU. nel rigettare il ricorso avanzato hanno precisato quanto segue, in subjecta materia:
- non è in alcun modo contestabile che al rapporto controverso si applichi il testo dell’art. 173 del citato D.P.R. n. 156/1973, come novellato dall’art. 1 del D.L. n. 460/1974, convertito in legge n. 588/1974; in base a tale disposizione normativa, da ritenersi quella applicabile al caso in esame, era consentito alla pubblica amministrazione di variare il tasso di interesse, relativo ai buoni già emessi, con decreto ministeriale da pubblicarsi in Gazzetta Ufficiale. I buoni soggetti alla variazione del tasso di interesse dovevano considerarsi rimborsati con gli interessi al tasso originariamente fissato e convertiti nei titoli della nuova serie con il relativo tasso di interesse. A fronte della variazione del tasso di interesse era quindi consentita al risparmiatore la scelta di chiedere la riscossione dei buoni, ottenendo gli interessi corrispondenti al tasso originariamente fissato, ovvero quella di non recedere dall’investimento che avrebbe da quel momento prodotto gli interessi di cui al decreto di variazione, salvo il diritto del risparmiatore di ottenere la corresponsione degli interessi originariamente fissati per il periodo precedente alla variazione;
- le Sezioni Unite con pronuncia n. 13979 del 2007 non hanno affatto affermato, come pretenderebbe il ricorrente, la prevalenza in ogni caso del dato testuale portato dai titoli rispetto alle prescrizioni ministeriali intervenute successivamente alla emissione e ciò evidentemente non avrebbero potuto fare, e anzi hanno esplicitamente negato, a fronte all’inequivoco dato testuale dell’art. 173 del codice postale che prevedeva un meccanismo di integrazione contrattuale, riferibile alla disposizione dell’art. 1339 del codice civile e destinato ad operare, nei termini sopra descritti, per effetto della modifica, da parte della pubblica amministrazione, del tasso di interesse vigente al momento della sottoscrizione del titolo;
- é costante nella giurisprudenza di legittimità la qualificazione dei buoni fruttiferi postali come titoli di legittimazione sia pure con diversità di conseguenze quanto agli effetti di tale qualificazione. Ma tale qualificazione ha giustificato la soggezione dei diritti spettanti ai sottoscrittori dei buoni postali alle variazioni derivanti dalla sopravvenienza dei decreti ministeriali, volti a modificare il tasso degli interessi originariamente previsto, e ha portato a ritenere che la modificazione trovasse ingresso all’interno del contratto mediante una integrazione del suo contenuto ab externo secondo la previsione dell’art. 1339 c.c. Una simile ricostruzione è chiaramente incompatibile con l’applicazione della disciplina di tutela dei consumatori che si estrinseca nel meccanismo della sottoscrizione separata delle clausole vessatorie o nella imposizione di obblighi informativi personalizzati cui riconnettere facoltà e diritti intesi a garantire la libera autodeterminazione, nella specie, dei risparmiatori anche nel corso del rapporto. Vi è da dire che, a fronte di una tale normativa intesa a incidere autoritativamente sul contratto e che si giustifica con la soggettività statuale del soggetto emittente e con le garanzie derivanti da tale profilo soggettivo, sta comunque il meccanismo consistente nella coincidenza temporale fra applicazione del nuovo tasso di interesse e facoltà per il risparmiatore di riscuotere il titolo percependo gli interessi corrispondenti alla originaria fissazione portata dal titolo. Per altro verso il risparmiatore che non intendesse disinvestire, nonostante la sopravvenuta variazione del tasso di interesse, avrebbe ricevuto comunque, al momento dell’esercizio del suo diritto a riscuotere il proprio credito, l’importo degli interessi corrispondenti al tasso indicato nel titolo, sino alla data della variazione. Pertanto la variazione del tasso di interesse, disposta unilateralmente dalla pubblica amministrazione, secondo la disciplina applicabile ratione temporis, attribuiva sostanzialmente al risparmiatore il diritto al recesso e tutelava il suo affidamento sull’effettività del suo diritto a percepire gli interessi indicati dal titolo.
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