Il contratto di cash pooling consiste nell’accentrare in capo ad un unico soggetto giuridico la gestione delle disponibilità finanziarie di un gruppo societario, allo scopo di gestire la tesoreria aziendale in riferimento ai rapporti tra le società aderenti al gruppo e gli istituti di credito, ed ha la finalità di evitare squilibri finanziari per le singole società, attraverso una gestione unitaria della situazione finanziaria del gruppo; in tal modo il contratto permette di compensare i saldi attivi di conto corrente di alcune società con i saldi negativi di altre, realizzando un risparmio di interessi passivi, ottenendo il risultato indiretto di finanziare le società che presentano una posizione debitoria nei confronti degli istituti di credito.
Si tratta, pertanto, di un contratto atipico, ai sensi dell’art. 1322 c. c., fondato sull’accordo, stipulato autonomamente da tutte le consociate di un gruppo, con la società capogruppo, che funge quale centro di tesoreria; detto contratto ha per oggetto la gestione di un conto corrente unico ed accentrato, sul quale vengono riversati i saldi dei conti correnti periferici di ciascuna consociata. La dottrina prevalente riconduce detto contratto ad una particolare modalità di conto corrente non bancario, con elementi propri dei contratti di finanziamento, ove la causa mista e unitaria viene individuata specificatamente nella gestione della tesoreria di gruppo.
Di tale tipologia contrattuale ha avuto modo di occuparsi la giurisprudenza penale, in materia di bancarotta preferenziale:
In materia di bancarotta tra società infragruppo, i pagamenti in favore della controllante non configurano il reato di bancarotta preferenziale e possono eventualmente essere ricondotti all’operatività del contratto cosiddetto di “cash pooling” – che consiste nell’accentrare in capo ad un unico soggetto giuridico l’amministrazione delle disponibilità finanziarie di un gruppo societario, operando tramite la gestione di un conto corrente unico sul quale vengono riversati i saldi dei conti correnti periferici di ciascuna consociata – solo qualora ricorra la formalizzazione di tale contratto di conto corrente intersocietario, con puntuale regolamentazione dei rapporti giuridici ed economici interni al gruppo. (Nella fattispecie, la Corte ha respinto i ricorsi degli imputati volti a ricondurre i pagamenti preferenziali nell’ambito del contratto di “cash pooling”, rilevando che dai documenti della società fallita non risultava alcun formale contratto di tal genere, ma solo una prassi del gruppo societario tesa alla gestione delle risorse finanziare del gruppo nella maniera più utile per affrontare situazioni di criticità economica comuni) (Cassazione penale, sez. V, 05/04/2018, n. 34457).
In parte motiva leggesi:
In base, poi, ai singoli contratti di conto corrente non bancario stipulati dalla società pooler con le società del gruppo, con cadenza predeterminata i saldi attivi e passivi dei singoli conti, facenti capo alle singole società, vengono trasferiti sul pool account della capogruppo o pooler.
Ebbene, se questa è la ricostruzione dell’istituto, bisogna interrogarsi su quali siano le conseguenze per il creditore pignorante nell’ipotesi di pignoramento di conto corrente della società debitrice appartenente ad un gruppo societario.
E ciò tenuto conto che una delle modalità più diffuse è lo zero balance cash pooling, il quale prevede che i conti periferici vengano azzerati; ciò usualmente a fine giornata di modo che all’inizio di ciascun giorno tutti i conti presentino un saldo effettivo di conto corrente uguale a zero. Durante la giornata, in forza delle operazioni poste in essere dalle singole società, ogni conto corrente periferico potrà presentare un saldo positivo o negativo; alla fine della giornata il saldo verrà comunque trasferito al conto di compensazione.
Va da sé che tale modus procedendi riduca di molto le legittime aspettative dei creditori, atteso che il meccanismo di azzeramento giornaliero va – per l’appunto – ad azzerare l’eventuale saldo positivo in precedenza esistente sul conto.
Ora, non è questa la sedes materiae nella quale affrontare le svariate problematiche che – anche a livello fiscale – connotano l’istituto del cash pooling e le sue concrete e diversificate modalità applicative.
Quel che si vuole porre in risalto in questo scritto è che nell’ipotesi di un pignoramento presso terzi su c/c intestato a società debitrice facente parte di un gruppo societario occorre interrogarsi – in ipotesi di dichiarazione del terzo in tutto od in parte negativa – se ciò dipenda dall’avvenuta stipula di un siffatto contratto di cash pooling.
Ovviamente, dalla dichiarazione di terzo non risulterà affatto l’esistenza di siffatto contratto (né tale circostanza risulterebbe dalle indagini ex art. 492 bis c.p.c.), sicchè l’unico modo per il creditore di acquisirne copia sarà quello di contestare la dichiarazione del terzo, al fine di chiederne la produzione nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo.
A quel punto – ottenuta la produzione di tale contratto ed esaminata la concreta tipologia dei rapporti che legano la società debitrice con la capogruppo e con la banca – si valuterà se sia possibile richiedere alla società capogruppo la restituzione (id est, l’estensione del pignoramento) delle somme in precedenza versate dalla società esecutata alla società capogruppo in esecuzione del contratto.
All’uopo, tanto potrebbe ricavarsi da quanto stabilisce – sia pure sul piano della disciplina del bilancio – il Principio Contabile OIC n. 14, §19, dell’agosto 2014, secondo cui la liquidità versata da ciascuna società partecipante al cash pooling nel conto corrente comune «rappresenta un credito verso la società che amministra il cash pooling stesso, mentre i prelevamenti dal conto corrente costituiscono un debito verso il medesimo soggetto».
A mio avviso, il modus procedendi sarebbe – una volta ricavati gli estremi del conto corrente “accentrato” della capo gruppo – procedere al pignoramento “in estensione” di tale conto corrente, limitatamente alle appostazioni riferite alla società esecutata.
Gli effetti di tale pignoramento dovrebbero retroagire alla data di notifica del pignoramento alla società esecutata, invocando gli effetti, per così dire, prenotativi di tale pignoramento.
Peraltro, nelle more del giudizio di accertamento potrebbero maturare ulteriori somme a favore del creditore, atteso che la giurisprudenza ha statuito che:
Nell’espropriazione forzata presso terzi il credito assoggettato al pignoramento deve essere esistente al momento della dichiarazione positiva resa dal terzo ovvero, per il caso di dichiarazione negativa e di instaurazione del giudizio volto all’accertamento del suo obbligo, al momento in cui la sentenza pronunciata in tale giudizio ne accerta l’esistenza, restando invece irrilevante che il credito non esista al momento della notificazione del pignoramento e dovendosi escludere che l’inesistenza del credito in quel momento possa determinare una nullità del processo esecutivo(Cassazione civile, sez. III, 19/10/2015, n. 21081).
Altresì, nell’ipotesi in cui, dall’esame del contratto di cash pooling dovessero emergere profili di danno nei confronti della società esecutata (ad esempio, applicazione, da parte della capo gruppo, di tassi di interesse passivo molto onerosi; compimento di operazioni di tesoreria estranee all’oggetto sociale in quanto poste in essere per il perseguimento esclusivo dell’interesse della capo gruppo o di altre società del gruppo, etc.), potrebbe invocarsi anche una responsabilità ex art. 2497 c. c. della società capo gruppo, ove si dimostri una responsabilità di tale società nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società esecutata.
Ove ne ricorrano i presupposti, si potrebbe ipotizzare, quale extrema ratio, un’azione ex art. 2901 c. c..
Quel che rileva, dunque, è attenzionare tale problematica, onde evitare di subire passivamente gli effetti di una dichiarazione negativa di terzo.
Catania, li 30 Dicembre 2021
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