La domanda di riduzione del costo del credito formulata dal mutuatario ex art. 125 sexies TUB va ricondotta alla fattispecie astratta della ripetizione di quanto attribuito a titolo di indebito oggettivo, istituto che trova disciplina generale nell’art. 2033 c.c.: il cliente, infatti, chiede la restituzione delle somme di denaro versate a titolo di prestazioni negoziali non effettuate perché riferibili al periodo successivo rispetto all’estinzione anticipata del contratto e, di conseguenza, prive di giustificazione causale.
Tale ricostruzione comporta, dunque, che qualsiasi richiesta di pagamento di quanto indebitamente corrisposto possa, da parte del solvens, essere unicamente richiesta nei confronti dell’accipiens, di colui cioè nella cui sfera giuridica si è verificata l’indebita locupletazione (cfr., per tutte, Cass., I sez. civ., 25170/2016, est, M. Di Marzio).
Ebbene, allorquando dall’esame di un contratto di mutuo con cessione del quinto dello stipendio emergano costi – quali commissioni di intermediazione e premio per la garanzia assicurativa – “versati” al finanziatore mediante trattenuta sul capitale netto mutuato e poi riversati ai terzi beneficiari in virtù di distinte scritture (di intermediazione e polizza), la domanda di ripetizione dell’indebito di detti costi non può essere rivolta alla banca, priva di legittimazione passiva, ma va indirizzata rispettivamente all’intermediario ed alla compagnia assicurativa, effettivi accipiens delle stesse.
In conclusione, non possono essere oggetto di ripetizione dell’indebito a carico della banca resistente i costi a titolo di intermediazione e il premio assicurativo ramo vita, per carenza di legittimazione passiva.
Così si è espresso il Tribunale di Nocera Inferiore, in persona della dott.ssa Bianca Manuela Longo, con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. del 5 gennaio 2023, emessa a valle di un ‘tipico’ contenzioso sulla riduzione dei costi connessi all’estinzione anticipata di un mutuo rimborsabile contro “cessione del quinto”.
Il principio sopra massimato si pone nel solco della più attenta giurisprudenza di merito che, facendo leva sugli ordinari meccanismi dell’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c., s’interroga sulla “competenza” dei rimborsi ai consumatori, andando oltre il generico recepimento dei cc.dd. principi “Lexitor” ed affrontando il tema sotto il profilo civilistico della titolarità passiva dell’eventuale obbligazione restitutoria (in senso conforme, recentemente si sono pronunciati, ex plurimis: Trib. Catania, Ordinanza del 19 aprile 2021; Trib. Sassari, sentenze nn. 1033 e 1034 del 18.10.2022; Trib. Pavia, sentenza n. 1960 del 2019; Trib. Santa Maria Capua Vetere, sent. n. 1009 del 2018).
La pronuncia oggi in commento appare però particolarmente significativa, essendo stata emessa all’indomani della “scure” abbattutasi sul comparto del credito al consumo, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 263 del 22 dicembre 2022, pronunziatasi per la parziale incostituzionalità della normativa intertemporale del “nuovo” art. 125 sexies TUB, che era stata introdotta dal legislatore del Decreto Sostegni-bis per contemperare le spinte della giurisprudenza comunitaria con l’affidamento maturato dagli operatori nel periodo di vigenza del “vecchio” art. 125 sexies TUB e prima del caso-Lexitor.
Come noto, introducendo il “nuovo” art. 125 sexies TUB, l’art. 11-octies, comma 2, D.L. 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 luglio 2021, n. 106, aveva previsto che l’articolo 125-sexies come da esso sostituito si applicasse ai contratti sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Inoltre, aveva stabilito che: «alle estinzioni anticipate dei contratti sottoscritti prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto continuano ad applicarsi le disposizioni dell’articolo 125-sexies e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza».
Dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 11-octies, comma 2, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73 (come conv.), limitatamente alle parole «e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia», la Corte Costituzionale ha sostanzialmente ritenuto che «l’attrito con i vincoli imposti dall’adesione dell’Italia all’Unione europea» fosse derivante unicamente dall’anzidetta disciplina sub-primaria.
In altri termini, la Consulta ha affermato che la disciplina dell’art. 125 sexies TUB ante “Sostegni-bis”, solo epurata dal riferimento alle norme secondarie, già consentisse il rispetto delle indicazioni “Lexitor”, assicurando al consumatore la riduzione di tutti i costi, a prescindere dalla loro natura.
La Corte Costituzionale ha fatto ricorso al canone dell’interpretazione conforme del diritto interno a quello comunitario.
“Stupisce” che la Consulta non abbia affatto valorizzato l’art. 6-bis, comma 3 del D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, quale norma primaria speciale per il comparto della cessione del quinto, tendenzialmente ostativa alla interpretazione “Lexitor”.
Tale disposizione affidava alla Banca d’Italia il compito di definire ai sensi del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, disposizioni per favorire la trasparenza e la correttezza dei comportamenti nonché l’efficienza nel processo di erogazione di finanziamenti verso la cessione di quote di stipendio o salario o di pensione, volte a: «[…] b) rendere la struttura delle commissioni trasparente, in modo da permettere al cliente di distinguere le componenti di costo dovute all’intermediario e quelle dovute a terzi, nonché gli oneri che devono essergli rimborsati in caso di estinzione anticipata del contratto». Se ne deduce che, se il legislatore si prefiggeva lo scopo di assicurare al consumatore di poter “distinguere” gli oneri che devono essergli rimborsati in caso di estinzione anticipata, evidentemente riteneva che quest’ultimo non avesse affatto diritto al rimborso di “tutti i costi”.
Secondo giurisprudenza consolidata, qualsivoglia “interpretazione conforme” della disciplina italiana a quella comunitaria è preclusa se produce una soluzione “contra legem” rispetto alla legislazione nazionale[1], ovvero viola i principi generali del diritto.
Come noto, infatti, nell’applicare il diritto interno i giudici nazionali sono tenuti a interpretarlo per quanto possibile alla luce del testo e della finalità della direttiva, «[…] tuttavia tale obbligo di interpretazione conforme trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quello della certezza del diritto, nel senso che non può servire da fondamento per un’interpretazione contra legem del diritto nazionale» (tale “passaggio” è granitico nella giurisprudenza unionale ed è stato ribadito proprio di recente dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sez. II, Sent., 05-03-2020, n. 679/18 in una fattispecie avente ad oggetto l’interpretazione della medesima Direttiva 2008/48).
È da considerare però che la Consulta è stata chiamata a giudicare la costituzionalità di una normativa applicabile, in generale, a tutto il settore del credito ai consumatori, mentre l’art. 6 bis cit. trova una sua più limitata applicazione al settore dei prestiti contro cessione/delega di quote di retribuzione/pensione.
Ed è proprio tale comparto ad essere particolarmente “colpito” dagli effetti della indiscriminata estensione della c.d. interpretazione “Lexitor”, avuto riguardo alle peculiarità del prodotto finanziario, che anticipa alla fase iniziale del prestito la remunerazione di rilevanti attività “preliminari”, non sempre a beneficio del soggetto finanziatore, ma destinate a retribuire prestazioni rese da soggetti terzi (intermediari, compagnie assicurative), che trovano la propria fonte in distinti – benché collegati – rapporti contrattuali tra questi ultimi ed il consumatore.
D’altronde, nel corso del procedimento innanzi alla Corte Costituzionale, tanto l’Avvocatura pubblica, quanto la difesa degli Istituti coinvolti, nonché le opinioni Amicus Curiae ammesse dalla Consulta al dibattito (tra cui quella direttamente curata dal Centro Studi ExParteCreditoris.it), avevano evidenziato il grande impatto “economico” di una pronuncia di incostituzionalità sul sistema bancario, che si stima in 5 miliardi di euro.
La specialità del prodotto Cessione del Quinto lascia quindi aperte sul “tavolo” degli interpreti una serie di questioni, tra cui proprio quella della riduzione dei cc.dd. costi di terzi, che può consentire di ri-bilanciare tale impatto, contemperando le esigenze di tutela dei consumatori con l’equa ripartizione dei rimborsi tra i vari anelli della c.d. catena distributiva.
In altri termini, fermo il dictum della Consulta ed i suoi effetti primari sull’incostituzionalità della disciplina espunta dall’Ordinamento, l’interpretazione del sistema risultante resterà appannaggio della giurisprudenza di merito e di legittimità.
A tal proposito, si richiama un passaggio rilevante della stessa pronuncia della Corte Costituzionale, nella parte in cui afferma che i profili ermeneutici della “vecchia” disciplina restano di competenza dell’interprete:
«Quanto alle disposizioni introdotte con i commi 2 e 3 dell’art. 125-sexies riformulato nel 2021, esse non trovano riscontro nel precedente testo e, dunque, risultano vigenti per il futuro, spettando, di conseguenza, agli interpreti il compito di risolvere, per il passato, i profili di disciplina in esse regolati».
E si viene quindi alla disamina della pronuncia oggi in commento, che costituisce una delle prime applicazioni “bilanciate” della decisione della Consulta, avuto riguardo all’inquadramento della dinamica processuale ai termini dell’art. 2033 c.c., con le conseguenze in punto di individuazione dell’effettivo “accipiens” delle somme richieste in restituzione.
A ben vedere – lo si era sottolineato sulle pagine web di questa Rivista sin dagli albori del “caso” – il tema appare non del tutto sviscerato dalla pronuncia Lexitor, considerato che la CGUE ha stabilito «cosa» debba essere restituito al consumatore, non «chi» debba restituirlo.
Sul punto, compete alla legislazione nazionale definire le regole sostanziali e processuali di legittimazione/titolarità passiva, sintetizzate nel principio per il quale, ai fini dell’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c. risponde l’accipiens, cioè il soggetto che ha effettivamente beneficiato del pagamento ripetibile.
Calando tale principio nell’ambito del caso all’attenzione del Tribunale di Nocera Inferiore, è risultato che (si riportano i passaggi rilevanti della motivazione):
«[…] dall’esame del contratto di mutuo con cessione del quinto dello stipendio (doc. 1 prod. ricorrente) si evince che i costi di intermediazione dovuti all’intermediario del credito e il premio per la garanzia assicurativa sono stati versati dal cedente […] alla cessionaria […] “in unica soluzione mediante trattenuta sul capitale netto mutuato”.
Ugualmente, dal contratto di intermediazione stipulato tra il richiedente […] e il mediatore creditizio […] può desumersi la modalità prevista per il pagamento della provvigione all’intermediario, la quale viene “trattenuta direttamente dal finanziatore concedente il finanziamento al momento della sua erogazione, e da quest’ultimo versata al mediatore”.
La resistente ha, tuttavia, dimostrato di aver corrisposto la provvigione al mediatore creditizio in data 12.7.2011 tramite bonifico […]: di conseguenza, deve ritenersi adeguatamente provato che l’accipiens effettivo delle somme versate dal ricorrente a titolo di “costi di intermediazione” è il mediatore […] e, pertanto, la domanda di ripetizione dell’indebito non può essere rivolta alla banca, priva di legittimazione passiva.
Allo stesso modo, con riferimento alla polizza assicurativa, la resistente ha dimostrato di aver versato il premio alla compagnia […], la quale, infatti, ha direttamente corrisposto all’odierno ricorrente una quota di quanto indebitamente versato in ragione della anticipata estinzione del contratto […], circostanza, del resto, non contestata dal ricorrente.
Anche la ripetizione dell’ulteriore importo per tale voce, quindi, non può essere richiesta alla banca odierna resistente, la quale non ha incamerato le somme da ripetere, ma solo alla compagnia assicurativa, effettivo accipiens delle stesse.
In conclusione, non possono essere oggetto di ripetizione dell’indebito a carico della banca resistente i costi a titolo di intermediazione e il premio assicurativo ramo vita, per carenza di legittimazione passiva».
L’ordinanza in commento costituisce un precedente di particolare rilievo per gli operatori del comparto CQS, attualmente in fase di ridefinizione dei propri assetti operativi sul delicato tema degli “accantonamenti” di bilancio: la corretta ripartizione del “peso” della sentenza della Consulta sulla complessiva rete distributiva può contribuire a limitare gli impatti sistemici.
Il «caso Lexitor», forse, non è del tutto “chiuso”.
[1] In tal senso, «[…] per attuare tale obbligo [quello di interpretazione conforme], il principio d’interpretazione conforme esige che i giudici nazionali si adoperino al meglio, nei limiti delle loro competenze, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo» (cfr., ex plurimis, Corte giustizia Unione Europea Sez. I, 08.05.2019, n. 486/18).
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