In tema di rimborso degli oneri dovuto al consumatore in conseguenza dell’estinzione anticipata di un finanziamento, non pare applicabile la sentenza dell’11-09-2019 C-383 della Corte di giustizia UE (“caso Lexitor”) che ha interpretato l’art. 16 della Direttiva UE n. 48/2008 in contrasto con il testo dell’art. 125-sexies TUB. In effetti la citata Direttiva europea non pare self-executing e non può trovare diretta applicazione nei rapporti interprivatistici nel nostro ordinamento.
Deve perciò, in via generale, ancora ritenersi che, in riferimento alle spese accessorie ad un contratto di finanziamento, appare opportuno distinguere tra la remunerazione di servizi temporalmente collocabili nella fase preliminare e/o formativa del regolamento negoziale, c.dd. up-front, e remunerazione di attività destinate a trovare svolgimento nella fase esecutiva, c.dd. recurring.
Sia la commissione bancaria che la provvigione di intermediazione – quando pattuite e completamente maturate al momento della stipulazione del contratto, salva diversa struttura delle previsioni convenzionali – attenendo esclusivamente al momento genetico del rapporto, rientrano tra i costi c.d. up-front non oggetto di rimborso, non essendo ragionevole far gravare sul soggetto mutuante gli effetti di una scelta liberamente effettuata dal mutuatario nell’estinguere anticipatamente il finanziamento.
Ciò porta ad escludere qualsiasi vessatorietà, ai sensi dell’art. 33 del codice consumo, della clausola che ne abbia previsto l’irrimborsabilità, posto che l’analisi della natura vessatoria o meno della clausola potrebbe essere effettuata soltanto qualora si ritenga che le voci anzidette maturino nel corso del rapporto perché nel caso in cui i costi contestati siano già completamente maturati al momento della stipulazione del contratto è evidente che alcun significativo squilibrio può ritenersi sussistente a danno del consumatore.
Così si è espresso il Tribunale di Napoli, in persona del dott. Giovanni Tedesco, con sentenza n. 10 marzo 2020 n. 2391, che conferma l’orientamento già assunto dal medesimo Ufficio all’indomani del “caso Lexitor” con sentenza n. n.10489 del 22 novembre 2019 e la linea interpretativa “suggerita” sulle pagine di questa Rivista con contributo del 18 ottobre 2019.
I principi “interpretativi” della Corte di Giustizia UE del 11 settembre 2019 non sono invocabili, dunque, nel contenzioso Banca-cliente.
Nel rimarcare tale assunto, il Tribunale ha confermato la fondamentale distinzione tra la vincolatività della pronuncia interpretativa – di per sé indiscutibile – e la diretta efficacia della “fonte interpretata”.
L’antefatto, ormai, è noto.
In riferimento alla tematica dell’individuazione dei “costi” rimborsabili al consumatore in conseguenza dell’estinzione anticipata di un finanziamento, i Giudici di Lussemburgo hanno sancito la rimborsabilità anche dei costi “che non dipendono dalla durata del contratto”.
Sicché, alcuni commentatori interpretano la pronuncia come destinata a superare la tradizionale distinzione tra oneri “up-front” e “recurring”.
Tuttavia, non può indagarsi la portata della pronuncia in questione, senza considerare che trattasi di sentenza interpretativa che ha ad oggetto una fonte non direttamente applicabile dal giudice italiano.
La norma interpretata, infatti, è la Direttiva 2008/48 UE, la quale non ha natura di direttiva self-executing – da cui deriverebbe l’obbligo in capo al giudice di merito di disapplicare, anche in assenza di un provvedimento di recepimento da parte dello Stato membro, la normativa interna in contrasto con la fonte sovranazionale, per l’effetto decidendo il caso concreto in virtù delle disposizioni comunitarie.
Gli interpreti, d’altronde, avevano sin da subito nutrito dubbi sulla diretta efficacia della Direttiva, in particolare sulla circostanza che essa sia sufficientemente specifica nella determinazione dei diritti che intende attribuire al consumatore.
In particolare, se è chiara l’affermazione di principio di cui all’art. 16, par. 1, circa l’attribuzione al cliente del “diritto” alla “riduzione del costo totale del credito”, non è altrettanto dettagliato il criterio temporale di restituzione che il “legislatore” europeo intende adottare (pro rata temporis? E per i costi che non sono legati al fattore-tempo?). Trattasi di aspetto non secondario, per una materia in cui gli aspetti tecnici assorbono, talvolta, le considerazioni giuridiche di principio, in quanto l’adozione di un criterio computazionale (ovvero di un altro) finisce per incidere sul contenuto dei diritti che la normativa stessa intende attribuire.
In una recente pronuncia del Tribunale di Monza (sentenza n. n.2573 del 22 novembre 2019) la natura self-executing della Direttiva era stata esclusa proprio in ragione dei numerosi dubbi interpretativi che essa aveva suscitato e che avevano costretto i giudici di merito di svariati Stati comunitari a rivolgersi alla Corte di Giustizia UE per definire una linea ermeneutica univoca.
D’altronde – può aggiungersi – nell’ordinamento italiano la direttiva è stata recepita, sicché, ove si ritenesse che la stessa sia stata mal-trasposta, la soluzione applicativa non potrebbe che risiedere nella responsabilità dello Stato italiano per erronea trasposizione.
Nella sentenza oggi in commento, il Tribunale di Napoli, dato per assunto il carattere non “self-executing” della Direttiva in questione ed esclusa, pertanto, ogni interferenza immediata del “caso Lexitor” sul contenzioso nazionale tra Banca e cliente, ha arricchito l’iter argomentativo con alcune considerazioni degne di nota in relazione alla permanente distinzione tra costi “up-front” e “recurring”, connotando i primi ed i secondi in relazione al contesto normativo, alla disciplina tecnica secondaria ed all’atteggiarsi delle singole pattuizioni del caso di specie.
La vicenda processuale origina dalla domanda proposta – in prime cure – innanzi al Giudice di Pace di Barra dal consumatore, che aveva quantificato le somme a cui aveva diritto a seguito di estinzione anticipata di un finanziamento con “cessione del quinto”, mediante il cd. Metodo proporzionale o pro-rata temporis o Metodo lineare, e cioè dividendo le somme versate al momento della stipula del contratto, per il pagamento delle commissioni bancarie e di intermediazione, per il numero di rate di cui si compone il piano di ammortamento del mutuo, e moltiplicando il risultato per le rate corrisposte in un’unica soluzione all’atto dell’estinzione anticipata.
Soccombente in primo grado, l’istituto mutuante proponeva appello innanzi al Tribunale di Napoli, deducendo di aver fatto legittima applicazione della clausola contrattuale che eliminava ogni diritto del mutuatario alla restituzione di alcune delle spese anticipate per il mutuo, tra cui le anzidette commissioni bancarie e di intermediazione.
In Tribunale partenopeo, chiarito che deve ancora ritenersi sussistente, in riferimento alle spese accessorie ad un contratto di finanziamento, la distinzione tra la remunerazione di servizi temporalmente collocabili nella fase preliminare e/o formativa del regolamento negoziale, c.dd. up-front, e remunerazione di attività destinate a trovare svolgimento nella fase esecutiva, c.dd. recurring, ha enucleato un primo “catalogo” di voci ascrivibili alla prima ed alla seconda categoria.
Spese “recurring” sono gli interessi sulle rate non scadute, le commissioni finanziarie ed accessorie, le spese di assicurazione divise per il numero di rate, con restituzione solo di quelle limitatamente alle rate non scadute.
Va esclusa – anche sulla scorta della giurisprudenza arbitrale – la natura “recurring” delle commissioni di intermediazione, salva l’ipotesi in cui sia in esse incontroversa la sussistenza di forme di remunerazione per attività che l’intermediario avrebbe dovuto rendere per tutta la durata del rapporto, e da cui però, per effetto dell’estinzione anticipata, è stato anticipatamente liberato.
Fra i costi per servizi accessori certamente rientranti nella categoria “recurring” si ritrovano, poi, i premi per polizze assicurative (sulla vita, sull’impiego, sugli infortuni) a copertura del rischio di non realizzo cui è naturalmente esposto il mutuante. Anche tali oneri, per prassi negoziale, sono addebitati anticipatamente e integralmente al mutuatario al momento dell’accensione del finanziamento e nessun indennizzo sembra oggi poter maturare in favore alla banca, finché non sia stata fornita la dimostrazione che gli «eventuali» costi, «direttamente collegati» al rimborso anticipato, siano stati effettivamente sostenuti. In mancanza, appare ragionevole ritenere che nulla a tale titolo sia dovuto.
Il Giudice ha quindi ricostruito nel dettaglio la disciplina di settore, che, a partire dall’entrata in vigore del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, ruota intorno all’interpretazione dell’art. 125 sexies del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (T.U.B.), ma che anche nell’impostazione previgente vedeva frastagliarsi il quadro normativo tra “vecchie” direttive comunitarie (87/102/CEE), legislazione primaria, decreti ministeriali (su tutti, Decreto del Ministero del Tesoro 8 luglio 1992, art. 3, comma 1) e disposizioni di Vigilanza.
Quadro frastagliato, sì, soprattutto tenuto conto che le fonti primarie non entrano nei dettagli del criterio di calcolo del rimborso dovuto al consumatore, ma a ben vedere – ha notato il Tribunale – destinato a semplificarsi in ragione di considerazioni fondamentali emergenti dall’esame della normativa secondaria:
- in primo luogo, il tema si collega alla direttiva generale della trasparenza contrattuale;
- in secondo luogo, ai costi recurring si deve applicare il principio di competenza economica, posto che si tratta di costi che maturano in ragione del tempo e, di conseguenza, che essi sono da rilevare pro rata temporis.
Il problema quindi diviene quello di stabilire quale rilievo giuridico debba darsi alle indicazioni contenute nelle fonti secondarie.
Al riguardo il Tribunale ha osservato che in tema di rapporti obbligatori rilevano non solo le disposizioni normative primarie specifiche che si sono appena riportate, ma anche le clausole generali di cui agli artt. 1175, 1337, 1358, 1366, 1375, 2598 n. 3 c.c.
Sicché alle autorità di vigilanza compete il compito di definire le regole di dettaglio, mentre alle corti spetta vigilare che tali regole non siano palesemente in contrasto con detti scopi o con regole inderogabili del sistema giuridico.
In tale ottica – si legge nella sentenza in commento – in relazione alle commissioni da rimborsare, ex post, il criterio pro rata temporis applicato sul loro intero ammontare è il più logico e, con ciò stesso, il più conforme al diritto ed all’equità sostanziale.
Criterio – si aggiunge – valido in astratto anche sotto la vigenza del vecchio art. 125 TUB, che faceva perno sul concetto di “equa riduzione del costo del credito”.
Operata tale ricostruzione sistematica, il Tribunale ha confermato che in astratto sarebbe stata nulla la pattuizione contrattuale con la quale, nel caso di specie, il consumatore aveva rinunziato al rimborso degli oneri “recurring” in caso di estinzione anticipata, sia per contrarietà a norma imperativa (art. 125 TUB vecchia formulazione od attuale art. 125 sexies TUB), che per vessatorietà derivante da uno squilibrio eccessivo del sinallagma contrattuale a danno del cliente consumatore.
Pur tuttavia, i costi dei quali, nella fattispecie, l’istituto mutuante non aveva riconosciuto il rimborso (commissioni bancarie e commissioni di intermediazione), non potevano rientrare tra quelli “recurring”, configurandosi piuttosto – anche in relazione all’analisi letterale delle pattuizioni – come afferenti esclusivamente al momento genetico del rapporto e svincolati dalla dimensione temporale dello svolgimento del rapporto.
Ne è discesa l’affermazione dei principi giuridici riportati in massima, che contribuiscono ad arricchire il dibattito giurisprudenziale, tracciando coordinate interpretative di sicuro impatto per la futura gestione del contenzioso.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
ESTINZIONE ANTICIPATA E DIRITTI DEL CONSUMATORE: L’IMPATTO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE SUL “CASO ITALIANO”
Rimborsabili anche i costi “che non dipendono dalla durata del contratto”: ma può dirsi inadempiente la Banca che si sia conformata alla normativa italiana?
Articolo Giuridico | Ex Parte Creditoris | 18.10.2019
ESTINZIONE ANTICIPATA: INAPPLICABILI I PRINCIPI DELLA CORTE EUROPEA NEL CONTENZIOSO BANCA-CLIENTE
Gli effetti della inesatta trasposizione della direttiva non si producono nei rapporti tra soggetti privati
Sentenza | Tribunale di Napoli, Giudice Ettore Pastore Alinante | 22.11.2019 | n.10489
CASO “LEXITOR”: IRRILEVANTE LA SENTENZA INTERPRETATIVA NEL CONTENZIOSO BANCA-CLIENTE
La fonte “interpretata” dalla CGUE non è direttamente applicabile
Sentenza | Tribunale di Monza, Giudice Carlo Albanese | 22.11.2019 | n.2573
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST RICHIEDI CONSULENZA© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno