ISSN 2385-1376
Testo massima
Nella determinazione del diritto dell’avvocato alla pensione va tenuto conto anche delle annualità contributive non versate integralmente alla Cassa forense in quanto nessuna norma ne prevede l’annullamento.
Il parziale adempimento dell’obbligo contributivo “influisce” sicuramente sulla misura della pensione, se gli anni in cui si è verificata l’omissione rientrano tra quelli utili per il calcolo della base pensionabile, ma la Cassa forense non può recuperare i contributi omessi invocando la causa sospensiva della prescrizione ex art.2941 cc, n. 8), che ricorre solo quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito, e precisamente quando l’effetto dell’occultamento sia da classificare quale impedimento non sormontabile con gli ordinari controlli.
Così si è pronunciata la Cassazione civile, sezione lavoro, con la sentenza n.26962, resa il 2.12.2013, decidendo sul ricorso presentato dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense avverso la sentenza d’appello che aveva riconosciuto, confermando il dictum del Giudice di primo grado, ad un avvocato il diritto alla pensione di vecchiaia, nonostante il mancato versamento di alcuni importi contributivi per gli anni ’92, ’93 e ’94.
Nella fattispecie, la Cassa aveva sospeso l’esame della domanda di pensione, in attesa della regolarizzazione della posizione debitoria. In seguito al ricorso dell’avvocato, poi, la domanda di pensione era stata accolta, ma senza conteggiare l’intera contribuzione relativa al triennio controverso.
Motivo della integrazione contributiva richiesta all’avvocato era, a dire dell’Ente previdenziale, la non veritiera dichiarazione dei dati reddituali con riferimento agli anni contestati.
Dal proprio canto, l’avvocato opponeva l’irripetibilità dei contributi, stante l’intervenuta prescrizione.
La Cassazione, pronunciandosi sui tre motivi di ricorso, ha nettamente confermato l’opzione interpretativa assunta dal Giudice d’appello.
Si è anzitutto soffermata sulla questione relativa al decorso della prescrizione, superando l’argomentazione di parte ricorrente, che aveva invocato la causa di sospensione di cui all’art. 2941 c.c., n. 8, operante nel caso del debitore che abbia dolosamente occultato l’esistenza del debito, finché il dolo non sia stato scoperto.
Richiamando una propria precedente pronuncia, il Collegio ha rilevato che, non trattandosi di dichiarazione omessa, ma solo di dichiarazione resa in modo non conforme al vero, la prescrizione decorre comunque dalla data di trasmissione di quest’ultima, che nel caso di specie era pacificamente avvenuta (cfr. Cass. ord. n. 6259 del 2011).
Più specificamente, con riguardo all’invocata sospensione del decorso del termine di prescrizione, il Collegio ha richiamato il principio secondo il quale il contenuto delle dichiarazioni inviate dai professionisti non avrebbe potuto impedire alla Cassa previdenziale di controllare la veridicità dei dati trasmessi, acquisendo le necessarie informazioni dai competenti uffici finanziari, ai sensi della L. n. 576 del 1980, art. 17. E ciò, come affermato già in un’analoga pronuncia del 2007 (la sent. n.9113), a conferma del fatto che l’operatività della fattispecie di cui all’art. 2941 c.c., n. 8) ricorre quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito, o, ancora meglio, di considerare l’effetto dell’occultamento in termini di impedimento non sormontabile con gli ordinari controlli.
Quanto all’inclusione degli anni controversi al fine della maturazione del diritto alla prestazione pensionistica, la Suprema Corte ha rilevato che, nel sistema previdenziale forense, anche gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l’anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo della pensione di vecchiaia, in quanto nessuna norma prevede che venga “annullata” l’annualità in cui il versamento sia stato inferiore al dovuto.
E d’altronde l’omissione posta in essere dall’avvocato incide comunque sulla “misura” della pensione, qualora come nel caso di specie gli anni per cui essa si è verificata siano ricompresi tra quelli determinanti per il calcolo dell’importo che la Cassa dovrà corrispondere. E ciò dal momento che la legge n.141 del 1992, all’art.1 prevede che la pensione di vecchiaia sia “pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, all’1,75 per cento della media dei più elevati dieci redditi professionali dichiarati dall’iscritto ai fini Irpef, risultanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione”. Si comprende bene come l’inadempienza, di fatto, “abbassi” la media del reddito professionale utilizzato come base di calcolo.
La Corte precisa che, quanto alla locuzione “effettiva contribuzione” utilizzata dal legislatore nella disposizione appena richiamata, essa va riferita al fatto che la pensione si commisura a quanto effettivamente versato e non può intendersi come sinonimo di “integrale”. E ciò, viene ribadito, in quanto nessuna disposizione della legge professionale prescrive che l’annualità non possa essere accreditata, ove i versamenti siano inferiori ad una determinata soglia, come invece previsto per i lavoratori dipendenti, a cui si applica la regola del “minimale”.
Quanto agli effetti negativi per la Cassa Forense, che potrebbe trovarsi a dover corrispondere all’avvocato una pensione superiore a quanto effettivamente versato (potendo bene l’omissione contributiva riguardare anni precedenti agli ultimi quindici utilizzati al fine di determinare la base di calcolo), il Collegio ha asserito che questa è una conseguenza ineliminabile della mancanza di norme che ricolleghino alla parziale omissione contributiva l’annullamento sia di quanto versato, né della intera annualità.
Sulla base di tali presupposti la Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla Cassa, pronunciandosi in maniera del tutto conforme ai propri precedenti e concludendo con l’affermazione del principio per cui “gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l’anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo della pensione, prendendo come base il reddito sul quale è stato effettivamente pagato il contributo”.
Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte ha integralmente confermato il proprio orientamento in materia di prescrizione dei contributi previdenziali dovuti alla Cassa forense. Tra i precedenti va ricordata la sentenza n.11725 del 15.05.2013, già oggetto di commento su questa rivista.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 19627/2009 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA FORENSE, in persona del legale rappresentante pro tempore;
– ricorrente –
contro
D.S.G. C.F. (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 563/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 22/05/2009 R.G.N. 443/2006;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
D.S.G. adiva il giudice del lavoro chiedendo che la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense fosse condannata al pagamento in suo favore della pensione di vecchiaia con decorrenza 1.6.2004, nella misura corrispondente a 35 anni di anzianità contributiva ed ai contributi accreditati e versati nella sua posizione assicurativa, e quindi in misura non inferiore a Euro 41.821,00 annui. Allegava di avere maturato il diritto a pensione in data 1.6.2004 e che la Cassa aveva sospeso l’esame della relativa domanda fino a che egli non avesse provveduto a pagare alcuni modesti importi contributivi, relativi all’IRPEF e all’IVA, che secondo la Cassa avrebbero dovuto essere versati negli anni 1992, 1993 e 1994.
Evidenziava che avendo sempre, e quindi anche negli anni in questione, versato contributi in misura superiore al limite massimo – l’eventuale accredito dei contributi ritenuti omessi sarebbe stato ininfluente in relazione all’ammontare del rateo di pensione poiché questo era già comunque dovuto nella misura massima prevista.
La Cassa costituitasi precisava che la domanda era stata accolta ma che non erano stata conteggiata la intera contribuzione relativa al triennio in controversia.
Il ricorrente, dato atto della avvenuta liquidazione della pensione, modificava le conclusioni chiedendo la riliquidazione della prestazione sulla base ( anche) dei contributi effettivamente versati negli anni 1992,1993 e 1994, che la Cassa non aveva considerato.
Il Tribunale accoglieva la domanda.
La decisione era investita con appello principale dalla Cassa e con appello incidentale, limitato alla statuizione sul regolamento delle spese di lite, dal D.S..
La Corte di appello di Venezia accoglieva l’appello principale limitatamente alla statuizione sugli accessori; accoglieva l’appello incidentale e confermava nel resto la sentenza di primo grado.
Il giudice di appello escludeva il ricorrere della causa di sospensione del decorso del termine di prescrizione di cui all’art. 2941 c.c., n. 8, in dichiarata adesione alla pronunzia di questa Corte n. 9113 del 2007, secondo la quale l’operatività della causa di sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941 c.c., n. 8), ricorre quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito, con la conseguenza che tale criterio non impone, in altri termini, di far riferimento ad un’impossibilità assoluta di superare l’ostacolo prodotto dal comportamento del debitore, ma richiede di considerare l’effetto dell’occultamento in termini di impedimento non sormontabile con gli ordinali controlli.
Riteneva quindi che solo in caso di omessa comunicazione da parte dell’obbligato il termine di prescrizione decorreva dalla data di trasmissione dei dati reddituali del professionista da parte dell’Anagrafe tributaria mentre in caso di dichiarazione, risultata non conforme al vero, resa dal professionista ai sensi della L. n. 576 del 1980, art. 17, il termine decorreva dalla data della relativa trasmissione. In base a tale assunto, rilevato che la Cassa non aveva allegato la mancata trasmissione delle dichiarazioni ex art. 17 L. cit., ma solo la loro non corrispondenza al vero, affermava la estinzione del credito contributivo per decorso del termine – quinquennale – di prescrizione. In merito al calcolo della pensione ribadiva che la stessa doveva essere liquidata sulla base dei contributi effettivamente versati sottolineando che la pretesa della Cassa di escludere del tutto dal computo la contribuzione versata per gli anni 1992, 1993 e 1994 in quanto asseritamente inferiore, seppure di poco, a quella dovuta era priva di fondamento normativo. Osservava infatti che le uniche conseguenze che la L. n. 576 del 1980, art. 17, ricollegava alla omessa o infedele dichiarazione erano l’assoggettamento a sanzione pecuniaria, la possibilità la possibilità di assoggettamento a sanzioni disciplinari da parte dell’Ordine professionale e la possibilità per la Cassa di agire coattivamente, mediante ruolo, per la riscossione del credito contributivo.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la Cassa nazionale di previdenza assistenza forense sulla base di tre motivi.
L’intimato ha depositato controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del comb. disp della L. n. 576 del 1980, artt. 17 e 18, e art. 19, comma 2, e art. 23, dell’art. 2935 c.c., dell’art. 2941 c.c., n. 8, nonchè motivazione contraddittoria ed insufficiente su un punto decisivo.
Contesta in primo luogo che, anche con riferimento ai contributi dovuti in base ai dati reddituali omessi nella dichiarazione ex art. 17, la prescrizione decorra dalla data di trasmissione della dichiarazione obbligatoria da parte del professionista. Sostiene che il riferimento contenuto nella L. n. 576 del 1980, art. 19, che individua quale dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione la data di trasmissione della dichiarazione obbligatoria, non può che riferirsi alla contribuzione previdenziale denunciata con il Mod. n.5. Se così non fosse, stante la possibilità per la Cassa di interloquire con gli uffici finanziari L. n. 576 del 1980, ex art. 18, comma 7, acquisendo i dati utili relativi agli iscritti, la previsione dell’obbligo di comunicazione a carico del professionista sarebbe del tutto pleonastico. Ribadisce quindi parte ricorrente che per la parte di reddito non dichiarato si è in presenza di dichiarazione omessa e che pertanto con riferimento a tali redditi il decorso del termine di prescrizione dei contributi sugli stessi decorre dal momento in cui la Cassa ne ha avuto effettiva conoscenza sulla base della comunicazione degli Uffici finanziari.
Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 576 del 1980, artt. 17 e 18, e art. 19, comma 2, e art. 23, dell’art. 2935 c.c., dell’art. 2941 c.c., nonché motivazione contraddittoria ed insufficiente su un punto decisivo. Ribadisce l’errore della decisione impugnata con riferimento alla individuazione del momento di decorrenza della prescrizione relativa ai contributi dovuti su dati reddituali omessi nella dichiarazione trasmessa ai sensi della L. n. 576 del 1980, art. 17, sulla base di ulteriori argomentazioni rispetto a quelle illustrate con il primo motivo. Richiama in particolare il comma 8 dell’art. 17, L. cit., sul potere della Cassa di ottenere i dati necessari dagli uffici finanziari; rileva che il reddito dichiarato dal professionista ai fini IRPEF è soggetto al controllo da parte degli organi dell’Amministrazione finanziaria a ciò deputati e può considerarsi definitivo solo successivamente al controllo delle denunce fiscali da parte degli Uffici finanziari. In conseguenza, fino a quando a quando la Cassa non ha ricevuto l’esito del controllo, sussiste un impedimento all’esercizio del diritto ai contributi destinato a riverberarsi sul decorso del termine di prescrizione ai sensi dell’art. 2941 c.c.. Richiama la giurisprudenza secondo la quale il comportamento omissivo del debitore ha efficacia sospensiva della prescrizione qualora ha ad oggetto un atto dovuto.
Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del comb. disp. della L. n. 576 del 1980, artt. 2, 10 e 11. Censura la decisione della Corte territoriale per avere affermato la validità, ai fini pensionistici, della contribuzione relativa agli anni in relazione ai quali vi è stato solo un parziale versamento dei contributi dovuti. Rileva che il principio di automaticità non trova applicazione nel sistema previdenziale dei liberi professionisti nel quale le prestazioni sono condizionate all’effettivo versamento del contributo.. Infatti la L. n. 576 del 1980, art. 2, laddove fa riferimento alla “effettiva” contribuzione non può che interpretarsi nel senso di integrale contribuzione dovuta, diversamente risultando l’espressione del tutto pleonastica.
Non è possibile ridurre la contribuzione accreditata rapportandola all’importo versato dal professionista dal momento che nella previdenza forense la determinazione dell’anzianità assicurativa fa riferimento ad annualità intere non computandosi le frazioni di anno.
Il primo motivo di ricorso, premesso che è pacifico che il D. S. negli anni in contestazione ha presentato la dichiarazione prescritta dalla L. n. 576 del 1980, art. 17, deve essere respinto alla luce del condivisibile principio affermato da questa Corte ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., secondo il quale “La L. 20 settembre 1980, n. 576, art. 19, che contiene la disciplina della prescrizione dei contributi, dei relativi accessori e dei crediti conseguenti a sanzioni dovuti in favore della Cassa nazionale forense, individua un distinto regime della prescrizione medesima a seconda che la comunicazione dovuta da parte dell’obbligato, in relazione alla dichiarazione di cui agli artt. 17 e 23 della stessa legge, sia stata omessa o sia stata resa in modo non conforme al vero, riferendosi solo al primo caso l’ipotesi di esclusione del decorso del termine prescrizionale decennale, mentre, in ordine alla seconda fattispecie, il decorso di siffatto termine è da intendersi riconducibile al momento della data di trasmissione all’anzidetta cassa previdenziale della menzionata dichiarazione” (Cass. ord. n. 6259del 2011).
Il secondo motivo è infondato.
Questa Corte infatti, con riferimento a fattispecie analoga relativa a controversia in materia di opposizione a cartelle esattoriali per il recupero di crediti riconducibili al pagamento di contributi e sanzioni pretesi dalla CNPAF nei confronti di alcuni avvocati, ha confermato la sentenza di appello secondo la quale il contenuto delle dichiarazioni inviate dai professionisti non avrebbe potuto impedire alla Cassa previdenziale di controllare la veridicità dei dati trasmessi, acquisendo le necessarie informazioni dai competenti uffici finanziari ai sensi della L. n. 576 del 1980, art. 17. E’ stato infatti chiarito che “L’operatività della causa di sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941 c.c., n. 8), ricorre quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito, con la conseguenza che tale criterio non impone, in altri termini, di far riferimento ad un’impossibilità assoluta di superare l’ostacolo prodotto dal comportamento del debitore, ma richiede di considerare l’effetto dell’occultamento in termini di impedimento non sormontabile con gli ordinali controlli”. (Cass. n. 9113 del 2007). Al principio affermato dalla sentenza ora richiamata, espressione di un orientamento consolidato in tema di esclusione dell’effetto sospensivo del decorso del termine prescrizionale in presenza di mera difficoltà di accertamento del credito (v. Cass. n. 10952 del 1998, n. 1222 del 2004, n. 26355 del 2005, n. 23809del 2011), si ritiene di dare continuità conseguendone l’integrale rigetto del secondo motivo.
Parimenti infondato è il terzo motivo. La questione proposta è stata affrontata in una recente pronunzia di questa Corte la quale ha chiarito che “Nel sistema previdenziale forense, anche gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l’anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo della pensione di vecchiaia, in quanto nessuna norma prevede che venga “annullata” l’annualità in cui il versamento sia stato inferiore al dovuto. Ne consegue che la L. n. 141 del 1992, art. 1, secondo il quale la pensione di vecchiaia è pari, per ogni anno di “effettiva” iscrizione e contribuzione, all’1,75 per cento della media dei più elevati dieci redditi professionali dichiarati dall’iscritto ai fini IRPEF nel quindicennio anteriore alla maturazione del diritto a pensione, va interpretato nel senso che la pensione si commisura alla contribuzione “effettiva”, non rilevando cioè il principio di automatismo delle prestazioni valido nel lavoro dipendente, mentre il termine “effettivo”, estraneo al concetto di “misura”, non può intendersi come sinonimo di “integrale”. (Cass. n. 5672 del 2012). In particolare è stato affermato che “…secondo il sistema della previdenza forense, in caso di parziale adempimento dell’obbligo contributivo, il versamento di una contribuzione inferiore al dovuto “influisce” sicuramente sulla misura della pensione, atteso che l’inadempienza (se riferita agli anni utili per la base pensionabile) abbassa la media del reddito professionale su cui si calcola la pensione. Si consideri infatti che secondo la L. 11 febbraio 1992, n. 141, art. 1, che ha modificato la L. n. 576 del 1980, la pensione di vecchiaia “è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, all’1,75 per cento della media dei più elevati dieci redditi professionali dichiarati dall’iscritto ai fini Irpef, risultanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione”.
5.2. La questione degli effetti della parziale omissione contributiva ha assunto maggior rilevanza a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 335 del 1995, che, com’è noto, all’art. 3, comma 9 e ss., ha ridotto il termine di prescrizione da decennale a quinquennale ed ha escluso la possibilità di versare i contributi prescritti, disposizione ormai ritenuta operante anche nei confronti delle casse professionali dalla giurisprudenza di legittimità.
6.2. Nessuna norma della previdenza forense prevede che la parziale omissione del contributo determini la perdita o la riduzione dell’anzianità contributiva e della effettività di iscrizione alla Cassa, giacché la normativa prevede solo il pagamento di somme aggiuntive. Nessuna norma quindi prevede che venga “annullata” l’annualità in cui vi siano stati versamenti inferiori al dovuto.
5.3. L’unico aggancio normativo reperibile è quello di cui alla norma sopra citata della L. n. 141 del 1992, art. 1, ove si prevede appunto che la pensione di vecchiaia “è pari, per ogni anno di “effettiva” iscrizione e contribuzione, all’1,75 per cento della media dei più elevati dieci redditi professionali…”. Tuttavia il termine “effettivo” non può interpretarsi come precettivo del fatto che la contribuzione deve essere “integrale”, lo vieta in primo luogo la comune accezione del termine che non fa alcun riferimento ad una “misura”. L’aggettivazione usata sta invece ad indicare che la pensione si commisura sulla base della contribuzione “effettivamente” versata, escludendo così ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione, principio che vige invece per il lavoro dipendente e che è ovviamente inapplicabile alla previdenza dei liberi professionisti, in cui l’iscritto e beneficiario delle prestazioni è anche l’unico soggetto tenuto al pagamento della contribuzione. 6.3. Si consideri poi la particolare struttura dell’obbligo contributivo gravante sul professionista, che si compone di un contributo soggettivo (L. n. 576 del 1980, art. 10) commisurato al reddito Irpef e determinato sulla base di scaglioni di reddito, con una misura minima predeterminata ed un contributo integrativo (art. 11) ossia una maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ai fini dell’IVA; nessuna disposizione della legge professionale prescrive che, l’annualità non possa essere accreditata, ove i versamenti siano inferiori ad una determinata soglia, non vi è quindi la regola del “minimale” per la pensionabilità come invece previsto per i lavoratori dipendenti (cfr. L. n. 638 del 1983, art. 7). 6.4. E’ pur vero che con questo meccanismo si finisce di computare sia ai fini della anzianità contributiva prescritta, sia ai fini della misura della pensione, anche gli anni in cui si è versato meno del dovuto e che detto minore versamento potrebbe anche non influire sull’ammontare della prestazione, andando così a scapito della Cassa, dal momento che, come detto, rileva la media de 10 redditi professionali più elevati di cui alle dichiarazioni dei redditi del quindicennio anteriore alla pensione. Tuttavia sembra questo un effetto ineliminabile della mancanza, nell’ambito della legge professionale, di una disposizione che ricolleghi alla parziale omissione contributiva, l’annullamento sia di quanto versato, sia della intera annualità. 6.4. Si deve allora concludere che gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l’anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo della pensione, prendendo come base il reddito sul quale è stato effettivamente pagato il contributo”. (Cass. n. 5672 del 2012, cit.).
Consegue l’integrale rigetto del ricorso.
La particolarità della questione e il consolidarsi dei principi affermati da questo giudice di legittimità in epoca successiva al deposito del ricorso configurano giusti motivi di compensazione delle spese del giudizio.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2013
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Numero Protocolo Interno : 715/2013