LA MASSIMA
Nel giudizio innanzi la Corte di Cassazione, in caso di soccombenza, le sole spese giudiziali liquidabili sono gli onorari e non i diritti di procuratore. Tanto in considerazione del decreto ministeriale di approvazione della tariffa forense, il quale esclude il riconoscimento dei diritti di procuratore per qualsiasi giudizio di Cassazione, compreso il regolamento di competenza.
IL CASO E LA DECISIONE
Nell’ambito di un procedimento innanzi la Cassazione, la Corte nel liquidare le spese prende in esame la nota spese presentata dalla parte vittoriosa e rileva che è stata chiesta la liquidazione dei diritti di procuratore.
La Corte rigetta la richiesta di condanna relativamente a tale voce, evidenziando che i diritti di procuratore non sono dovuti in sede di giudizio di legittimità in quanto il decreto ministeriale di approvazione della tariffa forense ha natura regolamentare per cui alla luce dei parametri e all’interno dei limiti stabiliti dalla Legge n.794 del 1942 si deve escludere il riconoscimento dei diritti di procuratore per qualsiasi giudizio di Cassazione compreso il regolamento di competenza, nonostante l’istanza possa essere proposta anche da un avvocato non iscritto nell’albo speciale dei cassazionisti.
Tale decisione è conforme all’orientamento già espresso con la pronunzia del 18/12/2008 (ord.) n.29577 nella quale è possibile leggere la seguente motivazione che testualmente si riporta.
In proposito è opportuno ricordare che la giurisprudenza di questa Corte, a seguito dell’introduzione da parte della Legge 7 novembre 1957, n. 1051, articolo unico, del sistema di determinazione dei compensi dei patrocinatori legali affidato al Consiglio nazionale forense con le modalità previste dalla Legge 3 agosto 1949, n.536, art.1, è da sempre ferma nell’affermare che, essendo il decreto ministeriale (da ultimo il vigente D.M. n.127 del 2004) con il quale viene resa efficace la deliberazione del Consiglio di approvazione e determinazione delle tariffe forensi un atto di natura regolamentare (come ha ritenuto Corte Cost. n.20 del 1960, che ne escluse qualsiasi valore di atto legislativo; nello stesso senso Cass. n. 277 del 1963), sostanzialmente di delegificazione, i limiti entro i quali la sua efficacia normativa è autorizzata debbono parametrare agli ambiti ed ai principi che erano espressi nella fonte legislativa che, anteriormente alla delegificazione operata dal detto articolo unico, regolavano direttamente i compensi dei patrocinatori legali, cioè a quelli contenuti nella Legge 13 giugno 1942, n.794.
Di modo che in tanto il potere regolamentare esercitato dal Consiglio è legittimo, in quanto si conformi a quei principi, che ne costituiscono, evidentemente, criterio interpretativo ed al tempo stesso limite.
La fonte legislativa, infatti, nell’articolo unico, limitava l’attribuzione del potere regolamentare ai “criteri per la determinazione degli onorai, dei diritti e delle indennità” ed è evidente che non contemplava la possibilità di estendere agli avvocati patrocinanti dinanzi alle Magistrature Superiori un regime diverso da quello loro attribuito in relazione a dette voci.
Ebbene, poichè fra i principi, come specificati nelle due tabelle annesse alla legge, la tabella A contemplava espressamente il patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione per gli onorari, mentre non lo contemplava se non per la prestazione dell’avvocato domiciliatario a proposito dei diritti di procuratore nella tabella B (n. 72) ed inoltre la stessa intitolazione sub 1 della tabella non considerava il giudizio dinanzi alla Corte di cassazione, si doveva ritenere che, vigente la tariffa di cui alla Legge n.794 del 1942, il sistema fosse nel senso della spettanza all’avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione soltanto degli onorari (salva l’eccezione del domiciliatario), nel quale dovevano reputarsi inglobate anche le prestazioni propriamente procuratorie di rappresentanza della parte.
Da tanto discendeva che le fonti regolamentari autorizzate dalla Legge n.1051 del 1957, ricevettero legittimazione nel presupposto del detto principio.
Ed a tutt’oggi vanno lette sempre in modo che esso risulti osservato.
Questi asserti trovano conferma nella giurisprudenza della Corte.
Così è stato statuito che “la Legge 13 giugno 1942, n 794, contenente la disciplina dei compensi spettanti agli avvocati ed ai procuratori per le prestazioni giudiziali in materia civile, prevedeva, alla tabella b, la liquidazione dei diritti di procuratore soltanto per i giudizi dinanzi alle magistrature ordinarie di merito, mentre per il giudizio di cassazione era previsto unicamente un diritto spettante al procuratore domiciliatario. Questo principio, estensibile anche alle altre magistrature superiori, è stato mantenuto fermo dalle nuove disposizioni in materia, e infatti, quantunque nella tabella b, allegata alla Delib. consiglio nazionale forense 15 febbraio 1958, approvato con D.M. 28 febbraio 1958, si parli genericamente del processo di cognizione davanti ai Giudici ordinari, anzichè, come nella tabella b della citata Legge del 1942, di giudizi dinanzi ai conciliatori, ai pretori, ai tribunali ed alle corti di appello, tuttavia tale più sintetica formula non significa che siano state estese al giudizio di cassazione, e a quelli davanti alle magistrature superiori, le norme relative ai processi di merito, infatti tutte le attività di rappresentanza e di difesa proprie del patrocinante in cassazione possono essere svolte davanti alla Suprema Corte ed alle magistrature superiori soltanto da avvocati, ai quali, nella loro veste, nulla può competere in aggiunta agli onorari stabiliti nella tabella A” (così Cass. n. 3323 del 1974; in precedenza: Cass. n. 1040 del 1971; n. 2989 del 1969; n. 2565 del 1958). Sempre Cass. n.3323 del 1974 ebbe a precisare che “è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. 13 giugno 1942, n 794, per preteso contrasto con gli artt.35 e 36 Cost., in quanto preveda la retribuzione per l’attività d’avvocato ma non per l’attività di procuratore nei giudizi di cassazione e davanti alle magistrature superiori, giacchè gli onorari d’avvocato, predisposti dal consiglio nazionale forense e previsti nel D.M. 28 febbraio 1958 allora costituente la prima Delibera del Consiglio Nazionale Forense vigente, tendono a remunerare, nella loro globalità, tutte le attività di rappresentanza e di difesa prestata da tali professionisti nell’esercizio del loro ministero davanti alle dette magistrature”.
A sua volta, Cass. n.45 del 1976 ebbe a precisare che “nonostante che nelle varie tariffe delle competenze professionali, emanate dal consiglio nazionale forense ed approvate con decreti ministeriali, ai sensi della Legge n.1051 del 1957, siano stati previsti (nella tabella B) i diritti di procuratore in relazione generica ai processi di cognizione innanzi ai Giudici ordinari, senza esclusione per i processi innanzi alla Corte di Cassazione (e, ciò, a differenza di quanto già disposto nella tabella b delle Legge n.794 del 1942, e Legge. n.957 del 1949), non può ritenersi che, in tal guisa, si sia voluto realizzare l’estensione, al giudizio di legittimità, delle norme, sui citati diritti, relative ai giudizi di merito. Infatti, se pur è vero che innanzi alla Corte di Cassazione l’avvocato cassazionista svolge, tra l’altro, il compito di rappresentare la parte, in questo procedimento manca assolutamente un’attività procuratoria analoga a quella propria delle fasi di merito, anzi il carattere essenzialmente tecnico del giudizio di legittimità rende assorbente l’attività tipica dell’assistenza, rispetto a quella della rappresentanza in giudizio. Inoltre, è significativo che, nella tabella B delle citate tariffe emanate dal CNF, la fase processuale di legittimità sia stata considerata espressamente soltanto nei paragrafi relativi alle prestazioni del procuratore esclusivamente domiciliatario”.
Ai principi qui richiamati la giurisprudenza di questa Corte si è, poi, da sempre attenuta, sia pure in modo sintetico, come traspare dalle massime ufficiali.
In questa sede è opportuno rilevare che la giustificazione della impossibilità di una spettanza dei diritti di procuratore in sede di giudizio di legittimità (e dinanzi alle Magistrature Superiori) resta ferma anche dopo che è stata abolita, in seno alla legge professionale, la distinzione fra la figura del procuratore e quella dell’avvocato.
Tale abolizione si presenta di oggettiva ininfluenza, tenuto conto che è rimasta la particolarità dell’iscrizione all’albo speciale per i patrocinanti dinanzi alle dette Magistrature.
Resta ancora di precisare che anche la tariffa professionale vigente, di cui al D.M. n.127 del 2004, va interpretata nei sensi indicati.
Lo si osserva:
a) sia perché essa adotta come intitolazione della tabella B, relativa si diritti di procuratore una dizione riferita al “processo di cognizione”, che potrebbe credersi – da chi non tenesse in conto i principi innanzi richiamati – riferita anche al processo di cassazione, che fa parte del processo di cognizione (cui è intitolato l’intero libro 2′ del cpc);
b) sia perché nel paragrafo 5′, dedicato alle “prestazioni dell’avvocato domiciliatario”, al n.78, dopo avere fatto riferimento alla spettanza al domiciliatario dinanzi alla Corte di cassazione e nei giudizi equiparati del relativo diritto, prevede che esso non possa cumularsi con gli altri diritti dal n.1 al 79, eccetto che con quello di cui al n. 22, così suggerendo l’idea che all’avvocato non domiciliatario possano invece spettare anche per il giudizio di cassazione i diritti di procuratore: una simile lettura non è possibile, dovendo riferirsi la previsione solo al domiciliatario nei giudizi diversi da quelli dinanzi alle Magistrature superiori.
Ove si dovesse dare una diversa lettura, si dovrebbe procedere alla disapplicazione della previsione.
E’, dunque, da ribadire il seguente principio di diritto: “poichè il decreto ministeriale di approvazione della tariffa forense deliberata dal Consiglio Nazionale Forense, sulla base dell’attribuzione di competenza disposta dalla Legge n.1051 del 1957, è una fonte regolamentare autorizzata da tale legge con l’ambito di disciplina ed i principi che regolavano la tariffa nella L. n. 794 del 1942 e nelle relative tabelle, la sua interpretazione deve avvenire in conformità a quell’ambito e a quei principi, che segnano il limite dell’autorizzazione. Ne consegue che, essendo dalla L. n. 794 del 1942, secondo l’interpretazione che delle sue norme e delle tabelle annesse si doveva dare, previsti per il patrocinio innanzi alla Corte di cassazione soltanto onorari di avvocato e non anche diritti di procuratore, salvo per la prestazione del domiciliatario (n. 72 della tabella B), il potere regolamentare autorizzato dalla Legge n.1051 del 1957, deve sempre intendersi soggetto a tale limite, fino a quando una fonte legislativa non disponga diversamente. Ne consegue ancora che qualsiasi disposizione di ogni decreto autorizzato dalla L. n.1051 del 1957, e, quindi, allo stato anche il D.M. n.127 del 2004, deve sempre essere interpretata in modo che sia rispettato il detto limite. Onde va confermato che dinanzi alla Corte di cassazione non competono diritti di procuratore e, quindi, essi non possono liquidarsi a carico della parte soccombente”.
IL COMMENTO
Nei giudizi innanzi la Corte di Cassazione non sono dovuti i diritti di procuratore.
Detta disposizione di legge è illogica e, purtroppo, è in vigore da tempo immemore.
Il mancato riconoscimento dei diritti è una delle tante contraddizioni del sistema giudiziario.
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