ISSN 2385-1376
Testo massima
La nozione di insolvenza ai fini della segnalazione del credito “in sofferenza” non si identifica con quella dell’insolvenza fallimentare, dovendosi piuttosto far riferimento ad una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come “deficitaria”, ovvero come “grave difficoltà economica”, senza quindi alcun riferimento al concetto di incapienza ovvero di “definitiva irrecuperabilita”.
Ciò che rileva è la situazione “oggettiva” di incapacità finanziaria (“incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni assunte”), mentre nessun rilievo assume la manifestazione di volontà di non adempimento se giustificata da una seria contestazione sull’esistenza del titolo del credito vantato dalla banca.
IL CASO
Con ricorso al Tribunale di Firenze ai sensi del D.Lgs. n. 196/2003dell’art. 152 (in materia di protezione dei dati personali) un avvocato chiedeva il risarcimento dei danni asseritamente derivatigli dall’indebita segnalazione di un credito della BANCA nei suoi confronti nella categoria delle “sofferenze” dell’elenco della Centrale Rischi presso la Banca d’Italia.
Deduceva, a fondamento della domanda, di non trovarsi nell’impossibilità di adempiere alle proprie obbligazioni, ma che si trattava di un mero ritardo conseguente alla necessità di chiarimenti, per essere stata la richiesta di rimborso avanzata dalla BANCA a distanza di tempo dall’erogazione, allorché non era più in grado di ricordare l’esistenza dell’impegno.
Il Tribunale con sentenza pronunciata in data 09.01.2012 rigettava la domanda.
Avverso detta sentenza l’avvocato proponeva ricorso per cassazione deducendo, in buona sostanza, che, nella specie, non vi fosse uno “stato di insolvenza”, ma un “mero ritardo” nell’adempimento non ritenuto idoneo ai fini della segnalazione presso la Centrale Rischi.
IL CONTESTO NORMATIVO
Il servizio di centralizzazione dei rischi creditizi gestito dalla Banca d’Italia è disciplinato dalla delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio del 29 marzo 1994 (G.U. 20 aprile 1994, n. 91) e dalle istruzioni emanate dalla Banca d’Italia in conformità della stessa, trasfuse nella Circolare n. 139 dell’11.2.1991 e successivi aggiornamenti.
La Delib. è stata assunta ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 53, comma 1, lett. b), art. 67, comma 1, lett. b), e art. 107, comma 2, (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di seguito denominato “T.U.B.C.”), i quali conferiscono al CICR il potere di emanare disposizioni aventi a oggetto il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni nei confronti, rispettivamente, delle banche, delle società finanziarie appartenenti a gruppi creditizi e degli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale ex art.107 T.U. cit.
I PRINCIPI DI DIRITTO
La giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni precisato che – conformemente all’orientamento più diffuso nella dottrina e nella giurisprudenza di merito – l’appostazione a sofferenza del credito, lungi dal poter discendere dalla sola analisi dello specifico o degli specifici rapporti in corso di svolgimento tra la singola banca segnalante ed il cliente, implica invece una valutazione della complessiva situazione patrimoniale di quest’ultimo, ovvero del debitore di cui alla diagnosi di “sofferenza”.
Lo stesso tenore letterale delle sopra riportate Istruzioni e, segnatamente, l’accostamento che tali Istruzioni hanno inteso di stabilire tra stato di insolvenza (anche non accertato giudizialmente) e situazioni sostanzialmente equiparabili inducano a preferire quelle ricostruzioni che, oggettivamente gemmate (secondo l’espressione che trovasi adoperata in dottrina) dalla piattaforma della norma di cui alla L. Fall., art. 5, hanno tuttavia proposto, ai fini della segnalazione in sofferenza alla Centrale dei Rischi, una nozione levior rispetto a quella dell’insolvenza fallimentare, così da concepire lo stato di insolvenza e le situazioni equiparabili in termini di valutazione negativa di una situazione patrimoniale apprezzata come deficitaria, ovvero, in buona sostanza, di grave (e non transitoria) difficoltà economica, senza, cioè, fare necessario riferimento all’insolvenza intesa quale situazione di incapienza, ovvero di definitiva irrecuperabilità(cfr. Cass. 01 aprile 2009, n. 7958; Cass. 12 ottobre 2007, n. 21428).
Se la nozione di insolvenza rilevante a detti fini si identificasse effettivamente con quella contemplata in ambito fallimentare e se il debitore potesse legittimamente essere appostato a sofferenza soltanto qualora versasse in uno stato di decozione, sarebbe frustrata l’utilità del servizio di centralizzazione dei rischi, poiché gli altri intermediari si troverebbero nell’impossibilità di attivarsi in tempo utile per cautelare la propria posizione.
Del resto, in un ordine di idee nel quale la nozione stessa di sofferenza poggi sulla nozione di insolvenza fallimentare, le situazioni sostanzialmente equiparabili all’insolvenza, di cui è parola nelle più volte richiamate Istruzioni, verrebbero a manifestarsi, secondo quanto trovasi affermato in dottrina, come le sfumature di una sola tonalità cromatica, se non addirittura come delle addizioni di mero stile.
Invero ciò che rileva è la situazione “oggettiva” di incapacità finanziaria (“incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni assunte”), mentre nessun rilievo assume la manifestazione di volontà di non adempimento se giustificata da una seria contestazione sull’esistenza del titolo del credito vantato dalla banca.
LA DECISIONE
La Cassazione civile, sezione terza, PETTI pres. e AMBROSIO rel. con sentenza n. 26361 del 16 dicembre 2014 ha rilevato come la sentenza impugnata avesse correttamente interpretato e applicato i dati normativi di riferimento.
Infatti, il Tribunale di Firenze aveva evidenziato l’implausibilità degli argomenti che avevano determinato la sospensione dei pagamenti.
Invero, la suddetta sospensione era valutabile come ritardo solo ex post, ma di fatto essa si era protratta per diversi mesi e finanche, per oltre due mesi, dopo la trasmissione di una copia del contratto di finanziamento, di cui il debitore avrebbe, comunque, dovuto essere già in possesso.
Inoltre, risultava alla banca dallo stesso sistema informativo della Centrale dei Rischi che il debitore era pesantemente esposto verso il sistema creditizio e, comunque, in termini non giustificabili per un professionista dai costi gestionali e rischi limitati.
Conseguentemente, il diniego di pagamento poteva essere legittimamente assunto come sintomatico di una difficoltà (economica) perdurante e di serie prospettive di mancato recupero del credito da parte della finanziaria.
In conclusione, la Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al rimborso delle spese di giudizio.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 29/2014