Ai fini della segnalazione alla centrale dei rischi, la nozione di insolvenza non si identifica con quella propria fallimentare, ma si concretizza in una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come “deficitaria”, ovvero come di “grave difficoltà economica”, senza, quindi, alcun riferimento al concetto di incapienza o irrecuperabilità: dunque, pur oggettivamente derivata dal modello di cui all’art. 5 1.f., si tratta tuttavia di una nozione levior rispetto a quella dell’insolvenza fallimentare.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, sez. prima, Pres. Forte – Rel. Nazzicone, con sentenza n. 2913 del 15.02.2016.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Milano aveva confermato la sentenza del tribunale con cui era stata respinta la domanda proposta dalle due società ricorrenti contro una terza società, e volta al risarcimento del danno per l’indebita segnalazione alla centrale dei rischi di un credito in sofferenza per € 248.705,00.
La corte territoriale riteneva che la documentazione prodotta dimostrasse la doverosità della segnalazione del credito a sofferenza, posta la situazione di grave difficoltà economica nei pagamenti della società utilizzatrice, non essendo, invece, richiesta la definitiva irrecuperabilità della stessa.
Avverso tale decisione le società proponevano ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Col primo motivo deducevano nella normativa regolamentare è previsto che l’appostazione a sofferenza implica, da parte dell’intermediario, la valutazione della complessiva situazione finanziaria del cliente e non deriva automaticamente da un ritardo: laddove la corte del merito aveva fondato il suo convincimento su circostanze inidonee a configurare una incapacità non transitoria, considerato che ad ogni inadempimento contestato era sempre seguita la riattivazione del contratto. Infatti, la società di leasing, pur dopo l’intimazione della risoluzione, aveva permesso sempre la prosecuzione del rapporto, evidentemente non reputando esistere un’incapacità nei pagamenti. La mancata consegna dei “rid” non era, poi, idonea a dimostrare lo stato di incapacità patrimoniale, ma costituiva mera modalità di pagamento.
Col secondo motivo lamentavano che la concedente aveva sempre offerto la possibilità di ripristino dei contratti, comportamento in sè significativo del giudizio positivo sulla condizione finanziaria della utilizzatrice: onde condizionare poi il ripristino del contratto al rilascio dei “rid” si palesava contrario a buona fede.
Con il terzo motivo deducevano l’omesso esame di documenti e l’omessa ammissione di prove, nonchè il travisamento del bilancio al 31 dicembre 2002, non sussistendo alcun elemento che potesse contraddire le risultanze contabili positive in questo presenti, mentre comunque era onere della controparte acquisire detto bilancio ed informarsi sulle condizioni patrimoniali dell’utilizzatrice.
Con la sentenza in oggetto, la Corte, rigetta la domanda e conferma il procedimento logico-giuridico sviluppato nell’impugnata decisione a sostegno delle conclusioni, ritenendolo coerente e razionale, nonché frutto di un esame puntuale delle risultanze di causa; si palesa, nella fattispecie che la segnalazione del credito “in sofferenza “avvenne ai fini conformi a quelli della doverosa informativa al sistema creditizio, rispecchiando esattamente la situazione oggettiva di incapacità finanziaria rilevante.
La Corte muove il proprio esame dalla deliberazione CICR del 16 maggio 1962, che ha istituito il Servizio per la centralizzazione dei rischi bancari gestito dalla Banca d’Italia, dalla deliberazione CICR del 29 marzo 1994, emessa ai sensi degli art. 53, l °comma, lett. b), 67, l°comma, lett. b) e 107, 2 comma, d.lgs. n. 385 del 1993, che disciplina il servizio e dalle Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia di cui alla Circolare dell’11 febbraio 1991, n. 139, e successivi aggiornamenti.
Orbene, la Corte ha ritenuto infondati i primi due motivi. Segnatamente, il passo centrale della motivazione afferma che “ai fini della segnalazione alla centrale dei rischi, la nozione di insolvenza non si identifica con quella propria fallimentare, ma si concretizza in una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come “deficitaria”, ovvero come di “grave difficoltà economica”, senza, quindi, alcun riferimento al concetto di incapienza o irrecuperabilità” Si soggiunge, quanto alla correttezza della sentenza impugnata, come il rifiuto di consegnare i moduli “R.I.D.” costituiva un elemento che evidenziava la situazione di difficoltà ad adempiere; condizione cui, invece, la concedente aveva subordinato la ripresa del rapporto, e che non costituiva una mera modalità di pagamento, ma la legittima conditio.
Il “Servizio per la centralizzazione dei rischi creditizi”, costituisce uno strumento di ausilio per gli intermediari per la valutazione del merito creditizio della clientela e per la gestione del relativo rischio, al fine di accrescere la stabilità del sistema.
Come si è sostenuto in dottrina ed in giurisprudenza, il sistema centralizzato dei rischi, trova contemporaneamente la sua giustificazione e un suo limite nelle stesse norme costituzionali.
Difatti, da un lato non vi è dubbio che dall’art. 47 della Costituzione discenda l’esistenza di un interesse di natura pubblicistica al controllo e alla solidità del sistema economico; dalla parte opposta si deve, però riconoscere che la segnalazione illegittima e non giustificata rischierebbe di compromettere, a volte in maniera irreversibile, l’identità individuale e la libertà di iniziativa economico.
Tale servizio trova la sua regolamentazione nelle Istruzioni le quali specificano quali rischi devono essere segnalati alla Centrale suddividendoli in diverse categorie di censimento. Segnatamente, le banche hanno l’obbligo di segnalare alla Centrale le posizioni assunte nei confronti dei propri clienti qualora di importo superiore a una certa soglia, nonché le posizioni di “Sofferenza”. Con riferimento alla nozione di “Sofferenza” l’art. 5 comma I, cap. II, sez. II delle Istruzioni, vi riconduce l’intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalle aziende.
Sempre secondo le Istruzioni l’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’istituto segnalante della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito (art. 5 cit., comma II) . Sulla base del tenore testuale della disposizione resta, dunque, estraneo alla nozione l’inadempimento correlato ad una situazione di illiquidità contingente e non strutturale, non accompagnato, cioè, da un oggettivo stato di difficoltà a far fronte alle proprie obbligazioni.
Difatti, la Corte con la pronuncia in commento precisa che la segnalazione richiede una valutazione da parte dell’intermediario riferibile alla complessiva situazione finanziaria del cliente e non può, quindi, scaturire dal mero ritardo nel pagamento del debito o dal volontario inadempimento, ma deve essere determinata dal riscontro di una situazione patrimoniale deficitaria, caratterizzata da una grave e non transitoria difficoltà economica equiparabile, anche se non coincidente, con la condizione di insolvenza.
L’appostazione a sofferenza non richiede, inoltre, una previsione di perdita del credito, e dunque, secondo quanto sostenuto in dottrina, ben può sussistere anche qualora il patrimonio del debitore consenta ancora, allo stato e nel contesto della sua negatività, margini di rientro; ciò che conta, in sostanza, è la chiara e documentabile emergenza che, al momento della segnalazione, il rientro non appaia sicuro o, quantomeno, altamente probabile e che pertanto si configuri un serio pericolo di insolvenza.
Il presupposto per la segnalazione è rappresentato da una condizione di difficoltà economica minore rispetto allo stato di insolvenza fallimentare. Se la segnalazione coincidesse con la nozione di insolvenza si assisterebbe al pericolo di “Segnalazioni tardive”, violando così la ratio ad esse sottesa, ovvero la comunicazione tempestiva alle banche della difficoltà finanziaria di un determinato soggetto, al fine di evitare che altri intermediari finanziari facciano credito a chi non potrà onorare i propri debiti.
Il concetto di “Sofferenza” dunque, deve essere ricondotto ad una situazioni di difficoltà economica meno grave rispetto all’incapacità di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni. Deve trattarsi di una condizione di incapacità finanziaria oggettivamente sussistente, che non appaia meramente temporanea, sebbene non necessariamente irreversibile.
In conclusione l’accostamento fra “stato di insolvenza (anche non accertato giudizialmente)” e “situazioni ad esso equiparabili” convince ancor di più che l’appostazione a “sofferenza” non comporta la necessità che la situazione del debitore coincida con quella propria dell’insolvenza fallimentare. Ne consegue che è sufficiente una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzata come deficitaria, ovvero come grave (e non transitoria) difficoltà economica, senza alcun riferimento ai concetti di incapienza o di definitiva irrecuperabilità del credito.
La vicenda di cui all’annotata sentenza va, dunque, ricondotta nell’alveo della “grave difficoltà economica, difatti l’inadempimento non aveva affatto il carattere della occasionalità, proprio perché nonostante le reiterate riattivazioni dell’accordo, l’utilizzatrice continuava ad essere gravemente morosa.
A tale conclusione non osta la circostanza che dopo l’intimazione di risoluzione per inadempimento del contratto di leasing, seguita altresì dal pagamento di canoni pregressi, la società di leasing aveva permesso di proseguire il rapporto, poiché il rifiuto di consegnare l’autorizzazione permanente di addebito in conto dei canoni, mediante il modello RID, condizione a cui la riattivazione era stata subordinata, costituiva ulteriore elemento che evidenziava la situazione di difficoltà ad adempiere.
Si veda anche:
CENTRALE RISCHI: ai fini della segnalazione “in sofferenza”, la nozione dell’insolvenza non coincide con quella fallimentare
Segnalazione legittima se il debitore ha una situazione patrimoniale “deficitaria”
Sentenza | Cassazione civile, Sezione Terza, dott. Petti Giovanni Presidente, dott. Ambrosio Annamaria Rel. Consigliere | 16.12.2014 | n.26361
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