ISSN 2385-1376
Testo massima
Quando la tutela contro il trattamento dei dati personali venga invocata nell’ambito di un rapporto di consumo, competente è il giudice del luogo di residenza o di domicilio elettivo del consumatore come previsto dal d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, lett. u), in quanto la competenza del consumatore è inderogabile e prevale anche su quella del titolare del trattamento dati, prevista dal d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 152 e ora dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10.
Così si è pronunciata la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, con ordinanza n. 5705, emessa in data 12/02/2014.
Nel caso di specie un soggetto era stato segnalato alle Centrali Rischi da una società finanziaria, per il mancato versamento di una somma a saldo di un contratto di mutuo, che lo stesso aveva contestato come indebita.
Vistosi negati ulteriori finanziamenti da altri istituti di credito a causa della segnalazione in black list della centrale rischi di varie società, il soggetto segnalato proponeva ricorso innanzi il Tribunale di Palermo, domandando che venisse dichiarato non dovuto il credito vantato, che fosse dichiarata illegittima la sua iscrizione nelle Centrali rischi delle predette società e che i convenuti fossero condannati in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
Il Tribunale, pur condividendo la giurisprudenza di legittimità che aveva già avuto modo di affermare la prevalenza della tutela del consumatore sulla disciplina del codice in materia di protezione dei dati personali, aveva dichiarato la propria incompetenza territoriale rimettendo la causa dinanzi ai giudici considerati competenti alla luce dell’art. 152 del d.lgs. n. 196 del 2003, avendo ritenuto di escludere che il finanziamento fosse stato concesso nell’ambito di un rapporto di consumo per essere stato contratto in veste di avvocato.
Avverso tale pronuncia veniva proposto regolamento di competenza dinanzi alla Corte di Cassazione dalla parte ricorrente.
Il Supremo Collegio, quindi, dopo aver rilevato la correttezza della ricostruzione da parte del Giudice del merito, secondo cui, quando la tutela contro i trattamenti personali venga invocata nell’ambito di un rapporto di consumo, il Foro del consumatore prevale su quello sulla privacy, ha affermato la competenza del giudice del luogo di residenza o di domicilio elettivo del consumatore, che è una competenza esclusiva che prevale su ogni altra e, quindi, anche su quella di cui al d.lgs. n. 196 del 2003 che deroga alle norme codicistiche, sul rilievo che il finanziamento da cui la segnalazione contestata andava inquadrato nell’ambito di un rapporto di consumo.
Gli ermellini hanno, infatti, precisato che la normativa sulla tutela del consumatore è prevalente, non solo perché successiva, ratione temporis, a quella sul trattamento dei dati personali, ma anche perché, alla luce di un contemperamento di interessi, la tutela del consumatore ha un’importanza primaria nell’ordinamento giuridico italiano ed europeo. Infatti, anche se non richiamata dalla Costituzione italiana, a partire dagli anni ’80, quest’ultima è stato oggetto di un’attenta legislazione, nazionale e comunitaria, che ha posto tale argomento ad un livello tale da essere paragonabile a quello di un diritto costituzionale.
La tutela del consumatore, in via di principio applicabile alla persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta, rinviene le ragioni di fondo della protezione accordata in una presunzione di inesperienza e soprattutto debolezza contrattuale dello stesso nei confronti della controparte, che, in quanto professionista che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale è ragionevolmente molto meglio attrezzata a gestire tutte le fasi del contratto, per cui, a maggior ragione, non può non essere prevista una tutela anche processuale, attraverso la previsione di un foro comodo per l’utente.
La diversa decisione del giudice di legittimità, quindi, è stata determinata dalla qualificazione del rapporto come di consumo e non tra professionisti da cui discende la applicazione della relativa tutela.
Ed, infatti, i Giudice del Palazzaccio hanno rilevato che dagli atti altro non è emerso se non che la richiesta di concessione del finanziamento era stata avanzata da un soggetto presentatosi nella qualità di professionista in quanto avvocato per l’acquisto di un’autovettura e, pertanto, era da escludere che l’autovettura fosse stata inequivocabilmente scelta per essere destinata a un uso esclusivamente o prevalentemente professionale.
La Corte ha ribadito il principio più volte affermato secondo cui, ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della tutela del consumo, la qualifica di “consumatore” spetta solo alle persone fisiche e solo se e in quanto le stesse concludano un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, laddove deve essere considerato “professionista” tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che stipuli il contratto o nell’esercizio della sua attività imprenditoriale o professionale o per uno scopo a questa connesso.
Una diversa qualificazione del rapporto intercorso, infatti- chiarisce la Suprema Corte significherebbe compiere una torsione interpretativa contraria alla lettera e allo spirito della legge a tutela dei consumatori rendendo ipotetico e marginale il collegamento funzionale del contratto all’esercizio dell’attività professionale.
In conclusione l’accertamento di un rapporto di consumo ha imposto la deroga alla competenza per territorio in favore del foro del consumatore nei confronti di tutti gli istituti di credito.
La Corte ha quindi accolto il ricorso e dichiarato la competenza del Tribunale del luogo in cui ha residenza il mutuatario-consumatore, condannando gli istituti di credito alle spese del giudizio.
Per ulteriori approfondimenti sul punto si segnala una recente pronuncia del Tribunale di La Spezia, del 29/01/2014, con la quale richiamando l’ordinanza della Corte di Cassazione n.23280/07, si è sancito l’inderogabilità della competenza del Foro ove ha sede il titolare del trattamento dei dati, così come definito dall’art. 4, d.lgs. 196/03. In tale fattispecie, però, il soggetto che ha lamentato l’illegittimo utilizzo dei dati personali non aveva allegato di aver agito nell’ambito di un rapporto di consumo.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4893/2013 proposto da:
L.N.F.
– ricorrente –
contro
CTC
– resistente –
contro
E. – C. I. S. SPA
– resistente –
contro
C. SPA
– resistente –
contro
F. SPA
– resistente –
avverso l’ordinanza R.G. 2323/2012 del TRIBUNALE di PALERMO del 9.1.2013, depositata il 14/01/2013.
Svolgimento del processo
L.N.F. ha evocato in giudizio, innanzi al Tribunale di Palermo, F. s.p.a., C. s.p.a., E. s.p.a. e C.T.C. esponendo quanto segue.
In data 15 dicembre 2008 aveva concluso telefonicamente con F. s.p.a. un contratto avente ad oggetto l’erogazione in suo favore della somma di Euro 4.000,00, a titolo di mutuo.
Restituito l’intero ricevuto in prestito, F. lo aveva compulsato per il versamento di una ulteriore somma asseritamente dovuta a saldo, richiesta alla quale egli aveva risposto di non dovere alcunchè. Avendo quindi avanzato istanza di erogazione di finanziamento a tre istituti di credito, si era visto opporre un netto rifiuto, motivato con l’assunto che le Centrali rischi di C. s.p.a., E. s.p.a. e CTC avevano negativamente valutato la sua affidabilità perchè inserito, su istanza di F., in black list.
Lamentando violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., artt. 185 e 595 c.p., L. n. 675 del 1996, artt. 9 e 29, artt. 4 e 5 del Codice in materia di protezione dei dati personali, l’istante ha quindi chiesto: a) che venga dichiarato non dovuto il credito vantato da F. s.p.a.; b) che venga dichiarata illegittima la sua iscrizione nelle Centrali rischi delle predette società; c) che i convenuti siano condannati in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali da lui subiti; d) che venga inoltre ordinato la rimozione del suo nominativo dalle liste dagli stessi detenute nonchè l’inoltro di comunicazioni volte a chiarire l’illegittimità di quell’inserimento.
Costituitesi in giudizio, le controparti hanno contestato le avverse pretese, segnatamente eccependo l’incompetenza dell’adito Tribunale, D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152, comma 2, e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10. All’udienza di prima comparizione il g.i. si è riservato di decidere sulle questioni preliminari, assegnando alle parti termini per note; quindi, con provvedimento in data 2 luglio, depositato il successivo giorno 5, ritenuto che la controversia rientrava nell’ambito di applicazione del Codice della privacy, ha disposto il mutamento del rito, ex art. 426 c.p.c.; ha rilevato che tutte le altre questioni preliminari potevano essere decise unitamente al merito; ha fissato per la discussione, ex art. 420 c.p.c., l’udienza del 7 gennaio 2013, invitando le parti a integrare gli atti mediante deposito in cancelleria di memorie e documenti.
Infine, all’esito della predetta udienza, ha pronunciato ordinanza riservata con la quale ha dichiarato l’incompetenza del Tribunale di Palermo in favore di quello di Milano, per la controversia con F. s.p.a. e con C.T.C.; in favore di quello di Bologna, per la controversia con C. s.p.a.; in favore di quello di Roma, per la controversia con E. s.p.a..
Avverso della pronuncia propone ricorso per regolamento di competenza L.N.F., formulando due motivi.
Resistono con distinte memorie gli intimati.
Motivi della decisione
1. Nel motivare il suo convincimento il giudice di merito, premesso che l’incompetenza territoriale D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152, comma 2, è rilevabile d’ufficio entro l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., di talchè di nessuna utilità era la verifica della tempestività dell’eccezione sollevata dalle convenute, ha precisato che, secondo il giudice di legittimità, in tema di competenza territoriale, quando la tutela contro il trattamento dei dati personali nei confronti del titolare del trattamento venga invocata nell’ambito di un rapporto di consumo, come tale soggetto alla disciplina dettata dal D.Lgs. 9 giugno 2005, n. 206, art. 33, lett. u), il foro previsto da quest’ultima norma prevale su quello individuato dal D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 152, essendo la prima temporalmente posteriore alla seconda (confr. Cass. civ. 14 ottobre 2009, n. 21814). Ha aggiunto che il criterio della successione temporale non si prestava a operare con riferimento alla sopravvenuta previsione, in punto di competenza territoriale, del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 10 – secondo cui competente a conoscere delle controversie in materia di trattamento di dati personali è il tribunale del luogo in cui ha la residenza il titolare del trattamento stesso – stante il carattere ricognitivo e non innovativo di tale fonte. Ribadito quindi, in linea con la giurisprudenza di legittimità, che il c.d. foro del consumatore prevale quando la controversia sul trattamento dei dati si inserisca nell’ambito di un rapporto di consumo, ha escluso che, nella fattispecie, il rapporto tra l’attore e F. si prestasse a essere qualificato in siffatti termini, avendo il primo concluso il contratto di finanziamento in veste di avvocato.
2. Di tale decisione si duole quindi l’esponente che, con il primo motivo di ricorso, lamenta violazione dell’art. 38 c.p.c., commi 1 e 3.
Sostiene che l’incompetenza del giudice adito è stata rilevata dal decidente all’udienza di discussione ex art. 420 c.p.c., dopo il già disposto mutamento di rito. In ogni caso, evidenzia, egli aveva agito in giudizio anzitutto al fine di sentir dichiarare la non debenza delle somme pretese da F. nonchè l’illegittimità della sua iscrizione nelle Centrali rischi gestite dagli altri convenuti, domande rispetto alle quali le consequenziali richieste risarcitorie non si prestavano a essere imprigionate sotto l’esiguo spettro del Codice della privacy.
Quanto poi alle eccezioni di incompetenza, quelle di C. s.p.a. e di E. s.p.a. erano tardive e irrituali, di talchè in ogni caso le posizioni processuali delle stesse andavano stralciate.
3. Con il secondo mezzo, denunciando violazione del D.Lgs. n. 196 del 2007, art. 152, comma 2, nonchè del D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 33 e 63, l’impugnante contesta l’assunto secondo cui, nella fattispecie, non era ravvisabile un rapporto di consumo, avendo l’attore concluso il contratto di finanziamento, contenente l’autorizzazione al trattamento dei dati, in veste di “professionista”.
Precisa al riguardo che il contratto al quale aveva fatto riferimento il decidente, stipulato il 26 ottobre del 2004, nulla aveva a che vedere con quello che aveva originato la presente controversia, concluso tra le stesse parti nel 2008, trattandosi di mutui diversi.
In ogni caso, aggiunge, il finanziamento posto a base della scelta decisoria adottata aveva avuto ad oggetto l’erogazione di una somma di denaro destinata all’acquisto di un autoveicolo a uso personale, non già all’acquisto di beni strumentali all’attività esercitata, di talchè non poteva il solo riferimento alla professione di avvocato svolta dal mutuatario, riportata nel documento all’epoca da lui sottoscritto, far tracimare lo stipulato mutuo dall’area del rapporto di consumo, nel quale rientrava invece, a norma del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 3.
4. Nelle loro difese, per contro, i resistenti hanno reiterato che la causa rientra nell’ambito delle controversie in tema di trattamento di dati personali D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, ex art. 152, evidenziando che sulla materia il legislatore è ulteriormente intervenuto con il D.Lgs. n. 150 del 2011, modificando il rito da osservare nella trattazione delle stesse e contestualmente confermando la regola della competenza del tribunale del luogo in cui ha la residenza il titolare, di talchè, in applicazione del medesimo criterio di successione temporale indicato dalla Suprema Corte nella ordinanza n. 21814 del 2009, dovrebbe ritenersi la prevalenza di quest’ultimo foro, su quello di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 63.
5. Merita anzitutto evidenziare che l’esame delle censure formulate nel primo mezzo, segnatamente volte a contestare la tempestività del rilievo della incompetenza, da parte del giudice di merito, siccome avvenuto oltre il limite invalicabile sancito dall’art. 38 c.p.c., costituito dalla prima udienza di trattazione, ex art. 183 c.p.c., o di discussione, ex art. 420 c.p.c. (confr. Cass. civ. 11 settembre 2010, n. 19410), è assorbito dall’incontestata e incontestabile sussistenza di un’eccezione di incompetenza ritualmente sollevata da almeno due dei convenuti, e cioè il Consorzio per la Tutela del Credito e F. s.p.a., i quali l’hanno altresì reiterata nelle loro memorie difensive. Ne deriva che la fondatezza, in tesi, di quelle critiche non condurrebbe tout court a una pronuncia di accoglimento del ricorso del cui merito occorre in ogni caso occuparsi.
6. Tanto premesso e precisato, osserva il collegio che appare anzitutto condivisibile la ritenuta, perdurante valenza delle ragioni che hanno già indotto questa Corte ad affermare, con riferimento al contesto normativo antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, la prevalenza del foro del consumatore rispetto a quello stabilito per le controversie in materia di trattamento di dati personali.
La Corte intende cioè qui ribadire che, quando la tutela contro siffatto trattamento venga invocata nell’ambito di un rapporto di consumo, come tale soggetto al disposto del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, lett. u), (o, a maggior ragione, per quanto poi si dirà, a quelli dei successivi artt. 63 e 79) il foro ivi previsto prevale su quello individuato dal D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 152, e ora dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 10, (confr. Cass. civ. 14 ottobre 2009, n. 21814). E tanto sull’abbrivio dell’esegesi seguita dalle sezioni unite nell’arresto n. 14669 del 2003, sintetizzato nel rilievo, prioritario ed assorbente, che la competenza del giudice del luogo di residenza o di domicilio elettivo del consumatore è una competenza esclusiva, che prevale su ogni altra.
7. Per l’esatta comprensione della portata di tale affermazione, occorre muovere dalla considerazione che i diritti del consumatore – i quali, pur non essendo direttamente previsti dalla Costituzione repubblicana, sono tuttavia al centro di numerose norme dell’Unione Europea, a partire dal Trattato di Roma del 25 marzo 1957, che individua nella protezione del consumatore uno degli obiettivi primari dell’Unione (artt. 4, 12, 114 e 169), fino alla Carta di Nizza che all’art. 38 ne ribadisce la rilevanza – hanno trovato tutela, nel nostro ordinamento, in una serie di leggi che, a partire dagli anni ’80, si sono succedute in ordine sparso (quali, a puro titolo esemplificativo, il D.P.R. n. 903 del 1982, recante attuazione della direttiva 79/581/CEE, relativa alla indicazione dei prezzi dei prodotti alimentari ai fini della protezione dei consumatori; il D.Lgs. n. 224 del 1988, in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi; la L. n. 126 del 1991, recante norme per l’informazione del consumatore; il D.Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50, in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali), per confluire infine nel D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, non a caso intitolato Codice del consumo.
8. Per quanto qui interessa, questa sorta di statuto del consumatore – in via di principio applicabile alla persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta (ex art. 3, lett. a, come modificato dal D.Lgs. n. 221 del 2007, art. 3) – rinviene le ragioni di fondo della protezione accordata in una presunzione di inesperienza, scarsa informazione e soprattutto debolezza contrattuale dello stesso nei confronti della controparte, che, in quanto professionista, e cioè persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale (art. 3, lett. c, della medesima fonte testè citata), è ragionevolmente molto meglio attrezzata a gestire tutte le fasi del contratto, da quella delle trattative a un eventuale contenzioso.
Ora, siffatte esigenze di tutela (non a caso costantemente valorizzate nella giurisprudenza del Giudice delle leggi: confr. Corte cost. n. 180 del 2009; n. 372del 2008; n. 428 del 2000, n. 428), non potevano non avere una sponda anche sul terreno processuale, attraverso la previsione di un foro comodo per l’utente, essendo di intuitiva evidenza che l’obbligo di sostenere il giudizio in una località diversa da quella di residenza o di domicilio, limiterebbe fortemente il diritto del consumatore di agire in giudizio, in special modo quando, come il più delle volte accade, a fronte degli alti costi, economici e non, implicati da un processo che si svolga a notevole distanza da quei luoghi, la controversia sia di esiguo valore monetario.
Peraltro, proprio la stretta connessione funzionale della agevole accessibilità del giudice competente a conoscere di questo genere di cause alla effettività della protezione riconosciuta dall’ordinamento, marca la necessità di connotare quel foro come foro esclusivo e tendenzialmente preminente, posto che, in caso contrario, esso sarebbe destinato a essere agevolmente spazzato via attraverso la previsione, non importa se contrattuale o legale, di un foro vantaggioso per la controparte professionale.
9. In tale contesto, si colgono allora le ragioni dell’affermazione di questa Corte allorchè, ragionando con riferimento alla disposizione contenuta nell’art. 1469 bis c.c., n. 19, disse che, se è vessatoria la clausola che stabilisce il foro competente in una località diversa da quella della sede del consumatore, “si deve dire che il foro competente non può essere stabilito in nessun altro luogo che sia diverso da quello in cui il consumatore ha sede”, con l’ulteriore corollario di considerare tout court derogate le norme sulla competenza stabilite dal codice di procedura civile; inoperante, in parte qua, la generica previsione di salvezza delle clausole che riproducono norme di legge, dettata nel 3 comma dell’art. 1469 ter c.c., e conseguentemente vessatoria anche la clausola che stabilisca come foro competente, se il consumatore non vi ha sede, uno di quelli che avrebbero potuto risultare individuati in base al funzionamento dei vari criteri di collegamento stabiliti dal codice di procedura civile (confr. Cass. civ. sez. un. 1 ottobre 2003, n. 14669).
10. Ancora due notazioni indispensabili per completare la ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
La disciplina di protezione del consumatore non è limitata al caso in cui il contratto sia concluso per iscritto con rinvio a condizioni generali o mediante moduli o formulali. Lo si evince dal disposto dell’art. 34, comma 5, e art. 35 del codice del consumo (già artt. 1469 ter e quater c.c.), che elevano siffatte ipotesi a presupposto di applicazione di ulteriori disposizioni di tutela, così indirettamente qualificandole come meramente eventuali. Peraltro, come questa Corte ha già avuto modo di precisare (confr. Cass. civ. 9 giugno 2011, n. 12685), uno dei “considerando” di introduzione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio in data 5 aprile 1993, prevede espressamente che “il consumatore deve godere della medesima protezione nell’ambito di un contratto orale e di un contratto scritto”.
11. A ciò aggiungasi, quale ulteriore elemento sintomatico della particolare attenzione del legislatore alla preservazione, in favore del contraente debole, della concreta praticabilità della via giudiziaria, che gli artt. 63 e 79 del Codice del consumo (il primo dei quali specificamente richiamato dall’esponente, in relazione alle modalità di conclusione del contratto intercorso con F.), sanciscono l’inderogabilità della competenza territoriale del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, nel caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, a distanza, o aventi ad oggetto multiproprietà, così stabilendo una tutela ancora più forte di quella di cui all’art. 33, lett. u), posto che il foro ivi previsto può essere derogato attraverso una trattativa delle parti.
12. Se tutto questo è vero, correttamente il giudice di merito ha ritenuto che la competenza del tribunale del luogo in cui ha la residenza il titolare del trattamento dei dati, sancita dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 10, comma 2, è destinata inesorabilmente a cedere di fronte a quella del foro del consumatore, la cui specialità prevale sulla specialità della disposizione testè menzionata, così come era già prevalsa su quella della disciplina racchiusa nel D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, rispetto alla quale la normativa del 2011 ha del resto carattere meramente ricognitivo.
Ne deriva che di nessuna utilità è, sotto questo riguardo, enfatizzazione del richiamo al criterio della successione delle leggi, contenuto nell’arresto n. 21814 del 2009, testè menzionato, e ciò sia in quanto la preminenza della competenza del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore risponde a una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni che la prevedono, sia in quanto la nuova fonte nulla ha innovato, nella realtà, essendosi limitata a ribadire una scelta normativa già presente nell’ordinamento.
13. Va a questo punto affrontato il nodo cruciale della sussistenza delle condizioni per l’applicabilità del foro del consumatore, con riguardo alla ricorrenza o meno di un rapporto di consumo e alle implicazioni che dalla questione, ove alla stessa dovesse darsi soluzione positiva, è lecito trarre.
Come si è detto innanzi, il D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 3, come modificato dal D.Lgs. 23 ottobre 2007, n. 221, art. 3, definisce alla lett. a), il consumatore come la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta e alla lett. c) il professionista come la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario.
Trattasi di definizioni che chiaramente rimandano alla distinzione che il nostro ordinamento effettua tra imprenditore, artigiano e prestatore d’opera professionale.
Ora, se è evidente che la disciplina del consumatore si applica anche al professionista prestatore d’opera intellettuale (art. 2229 c.c.), quale è l’avvocato, nel senso che il cliente può, ricorrendone le condizioni, essere qualificato consumatore nel rapporto con il suo legale, ancorchè tale rapporto sia indubbiamente caratterizzato dall’intuitu personae (confr. Cass. civ. n. 12685 del 2011 cit), reciprocamente l’avvocato, che concluda un contratto, potrà essere qualificato professionista o consumatore a seconda che quel contratto sia o meno funzionale all’esercizio della sua attività professionale.
14. Si ricorda in proposito che questa Corte ha ripetutamente avuto modo di precisare che, ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della tutela forte di cui all’art. 33 del Codice del consumo, la qualifica di “consumatore” spetta solo alle persone fisiche e solo se e in quanto le stesse concludano un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, laddove deve essere considerato “professionista” tanto la persona fisica, quanto quella giuridica, sia pubblica che privata, che stipuli il contratto o nell’esercizio della sua attività imprenditoriale o professionale o per uno scopo a questa connesso (confr. Cass. civ. 23 settembre 2013, n. 21763; Cass. civ. 15 maggio 2013, n. 11773; Cass. civ. 14 luglio 2011, n. 15531; Cass. civ. 8 giugno 2007, n. 13377).
15. Sennonchè, nella fattispecie, null’altro è stato dedotto se non che il L.N., nella richiesta di concessione del finanziamento di Euro 4.000,00, destinato all’acquisto di un’autovettura, si era qualificato avvocato. In tale contesto, condividere il punto di vista delle resistenti – e cioè che l’autovettura fosse stata inequivocabilmente scelta dal ricorrente per valorizzare la propria immagine e il proprio status e fosse pertanto destinata a un uso esclusivamente o prevalentemente professionale – significa ammettere che la funzionalizzazione del contratto all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale idonea a escludere la praticabilità del foro del consumatore possa essere del tutto ipotetica e marginale, con una torsione interpretativa contraria alla lettera e allo spirito della legge.
16. La sussistenza di un rapporto di consumo tra il L.N. e F. e l’evidente nesso di connessione e subordinazione tra le varie pretese giudizialmente azionate, impone la deroga alla competenza per territorio in favore del foro del consumatore – in quanto foro più speciale e più inderogabile, tra fori speciali e inderogabili – nei confronti non solo di F., ma di tutti i convenuti, in linea con quelle pronunce che, pur evidenziando che il cumulo soggettivo di domande è espressione di una mera connessione per coordinazione, in cui la trattazione simultanea dipende dalla sola volontà delle parti, di talchè esso non consente la deroga alla competenza per territorio in favore di fori speciali, fa salva l’ipotesi, che qui, per l’appunto ricorre, in cui le cause siano connesse o collegate da rapporto di evidente subordinazione (confr. Cass. civ. 10 agosto 2012, n. 14386; Cass. civ. 25 marzo 2003, n. 4367).
In definitiva, in accoglimento del ricorso, va dichiarata la competenza del Tribunale di Palermo a conoscere di tutte le domande proposte dal L.N..
Segue la condanna dei resistenti al pagamento in solido delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Palermo; condanna i resistenti al pagamento in solido delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.700,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2014
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