Per la declaratoria di cessazione della materia del contendere è necessario che il fatto nuovo sia successivo alla proposizione della domanda, che esso determini l’integrale eliminazione della materia della lite e che vi sia accordo tra le parti sul venir meno di ogni residuo motivo di contrasto.
Questo il principio espresso dal Tribunale di Trani, Dott. Elio Di Molfetta, con la sentenza n. 1157 del 22.05.2017.
Il Tribunale adito, con la sentenza in commento, ha richiamato i principi evincibili da dottrina e giurisprudenza in tema di cessazione della materia del contendere, che si realizza in tutte quelle ipotesi, non tassativamente enunciabili in ragione del loro possibile vario atteggiarsi, in cui sopravvengano nel corso del giudizio eventi di natura fattuale o atti volontari delle parti idonei ad eliminare ogni posizione di contrasto (anche in relazione alla rilevanza giuridica delle vicende sopraggiunte) ed a fare, conseguentemente, venir meno la necessità di una pronuncia del giudice su quanto costitutiva oggetto della controversia.
Come di recente specificato dalla Suprema Corte, “Per la declaratoria di cessazione della materia del contendere è necessario, quindi, che il fatto nuovo sia successivo alla proposizione della domanda, che esso determini l’integrale eliminazione della materia della lite e che vi sia accordo tra le parti sul venir meno di ogni residuo motivo di contrasto“ (cfr. ex plurimis Cass. 22446/2016).
Nel caso di specie, in presenza di una transazione tra la Banca ed il correntista che costui non aveva interamente onorato, l’adito Tribunale, correttamente, ha precisato che in nessun caso il giudice può emettere la declaratoria di cessazione della materia del contendere, ove la parte, nell’opporsi alla relativa richiesta, eccepisca, ove si tratti di transazione semplice o non novativa (cfr. ex multis Cass. 4257/2017), la risoluzione della stessa per inadempimento.
Del resto, in materia di diritti disponibili, soltanto l’eliminazione di qualsiasi posizione di contrasto tra le parti in causa, “determina il venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio, ed impone al giudice di dichiarare anche d’ufficio la cessazione della materia del contendere, ostativa a qualsiasi altra pronuncia di rito o di merito” (cfr. Cass. 17.11.1990 n. 6137).
Ed era propria questa la fattispecie concreta, avendo la Banca eccepito l’inadempimento del correntista della transazione non novativa, così paralizzando la richiesta avversa di cessazione della materia del contendere, nell’ambito della quale, per le spese, deve pur sempre farsi riferimento alla c.d. “soccombenza virtuale”.
Ciò che ha correttamente fatto l’adito Tribunale, che ha dovuto condannare parte inadempiente a tutte le spese del procedimento.
Non sarebbe stato, infatti, corretto operare diversamente e compensare le spese, come richiedeva controparte, così come insegnato dai Supremi Giudici della nomofilachia con la sentenza n. 5555/2016, pubblicata il 21 marzo 2016, in tema di soccombenza virtuale.
Sulla base di quanto esposto, il Tribunale di Trani ha rigettato la domanda, condannando parte opponente al pagamento delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia al seguente contributo pubblicato in Rivista:
CESSAZIONE MATERIA DEL CONTENDERE: È RILEVABILE DI UFFICIO E NON È UNA ECCEZIONE IN SENSO PROPRIO
NEL RITO CONTENZIOSO ORDINARIO LA CESSAZIONE DELLA MATERIA DEL CONTENDERE È UNA FATTISPECIE CREATA DALLA PRASSI GIURISPRUDENZIALE E APPLICABILE IN OGNI FASE E GRADO DEL GIUDIZIO
Sentenza | Tribunale di Torino, sezione terza civile, Dott. Edoardo Di Capua | 10.05.2013 | n.3165
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