ISSN 2385-1376
Testo massima
La distinzione tra cessione di ramo d’azienda, come tale assoggettabile a imposta di registro, e cessione di singoli cespiti, soggetti a IVA, non può fondarsi sulla sola volontà delle parti, essendo necessario verificare se i beni ceduti siano idonei o meno allo svolgimento di un’attività produttiva.
E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sezione tributaria, con sentenza n.10740 pronunziata in data 08-05-2013 a seguito del ricorso presentato dalla Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che aveva assoggettato ad imposta di registro, anziché ad IVA, la cessione di alcuni beni che non risultavano organizzati in complesso unitario e che erano inadeguati a soddisfare le finalità produttive proprie di un’impresa.
Nel caso di specie, infatti, ad avviso dei giudici di legittimità, la Commissione Tributaria Regionale erroneamente aveva ritenuto che, ad integrare la fattispecie della cessione dell’azienda, fosse sufficiente la semplice volontà delle parti contraenti, mentre, ai sensi dell’art.2555 cc, avrebbe dovuto dire, sulla scorta degli elementi di prova in atti, se la cessione della parte di beni sub iudice aveva o no carattere autonomo idoneo a dar luogo all’esercizio di impresa, facendo da qui discendere dapprima la qualificazione contrattuale, la cui disponibilità non appartiene alla voluntas delle parti, particolarmente in ambito fiscale, e in secondo luogo il conseguente trattamento tributario.
In conclusione, la Corte, dando seguito a pacifica giurisprudenza e conformandosi alla tradizionale interpretazione dell’art.2555 cc, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate cassando l’impugnata sentenza.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso n.20821/10 proposto da:
A
genzia delle Entrate
– ricorrente –
contro
ALFA S.p.A.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 186/15/09 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, depositata in data 13 luglio 2009;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza n.186/15/09 depositata in data 11 maggio 2009 la Commissione Tributaria Regionale della Campania, respinto l’appello proposto dalla territoriale Agenzia delle Entrate, confermava la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli n.258/29/06 che aveva annullato l’avviso di rettifica n. (OMISSIS) IVA 1995 nei confronti di ALFA S.p.A. ora in A.S. col quale venivano recuperati a tassazione L. 33.000.000.000 a seguito di contratto 21 dicembre 1995 inter partes qualificato di cessione di ramo d’azienda assoggettabile a imposta di registro e dall’Ufficio qualificato invece come di cessione di singoli cespiti.
La CTR osservava come la volontà contrattuale delle parti cedente ALFAS.p.a. e cessionaria BETA SPA – espressa nel rogito notarile del 21 dicembre 1995 – fosse nel senso della cessione di ramo d’azienda.
Tant’era vero che il contratto presentava gli elementi tipici della fattispecie, particolarmente quello del patto di non concorrenza. E che, in contrario, non potevano valorizzarsi la circostanza che nel ridetto contratto fossero indicati i singoli beni ceduti facenti parte del ramo d’azienda oggetto di negozio o la circostanza che fossero stati esclusi debiti e crediti afferenti il ramo d’azienda.
Contro la sentenza della CTR, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La contribuente resisteva con controricorso, avvalendosi della facoltà di presentare memoria.
Motivi della decisione
Col SECONDO motivo di ricorso, ma da esaminarsi per primo atteso il suo carattere logico preliminare, l’Agenzia delle Entrate censurava la sentenza ai sensi dell’art.360 cpc, comma 1, n.3, per violazione e falsa applicazione dell’art.2555 cc, oltreché di una non precisata disposizione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n.633.
La ricorrente Agenzia delle Entrate, dopo aver ricordato che “l’azienda costituisce un complesso di beni, materiali e immateriali, unitariamente organizzati e finalizzati al perseguimento dell’attività produttiva dell’impresa”, deduceva come la CTR fossa incorsa in errore “confondendo con l’azienda un complesso di singoli beni privi del requisito della reciproca coordinazione in un unico contesto organizzato e non idonei allo svolgimento di una qualsivoglia attività produttiva”.
E ciò, osservava ancora l’Agenzia delle Entrate, anche a “prescindere dalla circostanza che nel caso di specie non erano ravvisabili i principali elementi rivelatori di una cessione d’azienda (quali il pagamento di un prezzo per il valore di avviamento), né erano da registrarsi i principali effetti connessi ad un simile contratto (quali il trasferimento della clientela e dei debiti e dei crediti inerenti all’impresa esercitata attraverso l’azienda ceduta)”.
L’illustrazione del motivo, terminava col quesito: “se incorra nella violazione delle norme che definiscono la nozione di azienda, nonché di quelle che disciplinano il trattamento fiscale di una pluralità di beni non organizzati in azienda, la sentenza impugnata, che ha ritenuto assoggettato ad imposta di registro, anziché ad IVA, la cessione di alcuni beni (in prevalenza, alcuni marchi ed etichette, ed in misura assai marginale quattro macchinari di esiguo valore) che non risultano organizzati in complesso unitario e che sono inadeguati a soddisfare le finalità produttive proprie dell’impresa”.
Il motivo è fondato.
La tradizionale l’interpretazione dell’art.2555 cc è nel senso che possa rientrare nella fattispecie della cessione di azienda anche una sola parte dei beni ceduti che, pur non comprendendo tutti quelli che appartenevano all’azienda oggetto di cessione, abbia tuttavia mantenuto un’organizzazione autonoma idonea a consentire di esercitare un’attività d’impresa, seppur con inevitabili integrazioni che il cessionario abbia dovuto porre in essere (Cass. n.21481 del 2009; Cass. n.27286 del 2005).
Una conforme giurisprudenza, in tema di interpretazione del D.P.R. n.633 del 1972, art.2, si rinviene con riferimento alla distinzione tra assoggettabilità a imposta di registro della cessione d’azienda e assoggettabilità a IVA della cessione di singoli beni (Cass. n.24913 del 2008; Cass. n.23857 del 2007).
La CTR, invece, nella sostanza, ha ritenuto che, a integrare la fattispecie della cessione dell’azienda, bastasse la semplice “volontà delle parti contraenti“, tra l’altro esclusivamente ricavata dal nomen iuris convenuto inter partes.
La CTR, correttamente interpretando l’art.2555 cc, invece, avrebbe dovuto dire, sulla scorta degli elementi di prova in atti, se la cessione della parte di beni sub iudice aveva o no carattere autonomo idoneo a dar luogo all’esercizio di impresa, facendo da qui discendere dapprima la qualificazione contrattuale, la cui disponibilità, serve evidenziare, non appartiene alla voluntas delle parti, particolarmente in ambito fiscale, e in secondo luogo il conseguente trattamento tributario.
2. Col PRIMO motivo, la sentenza è stata censurata ex art.360 cpc, comma 1, n.5, per insufficiente e illogica motivazione circa punti decisivi della controversia. E, nella sostanza, per non aver adeguatamente e logicamente spiegato per quale ragione i beni ceduti fossero da considerarsi come facenti parte di una unitaria organizzazione aziendale nonostante i numerosi contrari indici, come per es. il fatto che i macchinari ceduti fossero di modesta entità e valore e si trattasse in realtà di sola compravendita di marchi e particolarmente di quello fondamentale denominato “Vino Castellino” ecc..
Il motivo è assorbito dall’accoglimento del primo.
3. La decisione va quindi cassata e rinviata, essendo necessario l’accertamento di fatti.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia ad altra Sezione della Commissione Regionale della Campania che, nel decidere, dovrà uniformarsi agli esposti principi e altresì regolare le spese di ogni fase e grado.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2013
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