ISSN 2385-1376
Testo massima
Si configura una nullità insanabile che determina l’inammissibilità dell’impugnazione e, dunque, il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado laddove la copia dell’atto di citazione in appello notificata all’appellato non contiene l’indicazione del giorno della udienza di comparizione: ne consegue la nullità insanabile dell’atto, irrilevante essendo la circostanza che nell’originale dell’atto, depositato dagli appellanti al momento della loro costituzione in giudizio, figuri detta indicazione (tra l’altro all’evidenza inserita in un momento successivo alla compilazione), dovendosi infatti ricordare che solo l’atto di appello conforme alle prescrizioni di cui all’art. 342 del codice di rito è idoneo ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza, senza alcuna possibilità per l’appellato di rimuovere gli effetti che derivano dalla inosservanza della disposizione, attesa l’indisponibilità degli effetti stessi.
Questo il principio affermato con sentenza n. 18868 dello scorso 08 settembre 2014 dalla Sez. I della Corte Civile di Cassazione.
Per opportuna sintesi e, forse, necessaria digressione, occorre ricordare che la riforma dell’appello filtrato, di cui alla legge 134/2012, ha certamente modificato il panorama processuale dell’ordinamento giuridico italiano con la creazione di quello sbarramento di inizio al gravame, volto a selezionare le cause meritevoli di andare avanti, in quanto fondate su una ragionevole probabilità di accoglimento, rispetto a quelle immeritevoli di proseguire la corsa verso lo stravolgimento degli effetti maturati in primo grado. Nel suo duplice carattere devolutivo/sostitutivo il giudizio in secondo grado ha il pregio di “cicatrizzare” gli errori compiuti in primo grado in ordine ai capi di sentenza oggetto di riesame.
L’art.342 c.p.c., rubricato “Forma dell’appello”, fa conoscere al proponente il modo di proposizione della domanda di chiamata al secondo grado di giudizio (citazione) e indica i requisiti di contenuto dell’atto: a) esposizione sommaria dei fatti di causa, b) motivi specifici dell’impugnazione, c) indicazioni prescritte dall’art.163 relativamente all’atto di citazione in primo grado.
Il requisito sub c) si limita a richiamare per relationem le indicazioni prescritte per l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, determinando, a pena di nullità, ai nn 1 7 la creazione di due sotto-atti appartenenti al medesimo insieme: 1) la vocation in ius, mediante la quale si costituisce il rapporto processuale in contraddittorio con la controparte (art. 163, nn. 1, 2, 6 e 7); l’editio actionis, con cui viene individuato l’oggetto del processo, ovvero la cosa oggetto della domanda (nn. 3 e 4).
In particolare, al n. 7 dell’articolo in commento è prescritta “l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione, con invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’articolo 166, ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini a comparire, all’udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell’articolo 168bis (
)”.
A tal proposito vale la pena di accennare che la dottrina ritiene che l’art.164 c.p.c. trovi applicazione anche con riferimento all’atto di citazione in appello, almeno quanto ai casi di nullità della citazione dovuti a vizi affliggenti la vocatio in jus (1), a differenza delle ipotesi di vizi afferenti la c.d. editio actionis e delle ipotesi di carenza dei requisiti specifici dell’impugnazione previsti dall’art.342 c.p.c. che debbono invece scontare l’applicazione della condizione di compatibilità sancita dall’art.359 c.p.c..
Rispetto a tale distinzione, coronata da più voci processual-civilistiche, occorre fare richiamo all’isolato precedente rappresentato dalla sentenza della Cassazione, sez. III del 25 febbraio 2004, n. 38091 poiché tale pronuncia, duramente criticata da autorevole dottrina, scaturisce da una interpretazione evidentemente erronea dell’insegnamento impartito dalle Sezioni Unite con la sentenza del 29.1.2000 n.16 e secondo la quale “stante l’inapplicabilità dell’art. 164 c.p.c. – sia nel testo precedente che in quello attuale – al giudizio di appello, la nullità dell’atto di citazione in secondo grado, dipendente da vizi della “vocatio in ius” non può essere sanata con la costituzione dell’appellato nè con la rinnovazione della citazione, ed è rilevabile anche d’ufficio, in quanto solo l’atto conforme alle prescrizioni di cui all’art. 342 c.p.c. è idoneo ad impedire la decadenza dall’impugnazione e quindi il passaggio in giudicato della sentenza impugnata; ne consegue che il giudizio di appello introdotto a mezzo di un atto di citazione nullo deve essere dichiarato inammissibile.”
Al fine di non incorrere in ipotesi di mero tuziorismo, malgrado nella prassi si contrapponga la nullità alla inammissibilità, quasi ad indicare diversi vizi dell’atto processuale difforme rispetto al modello che lo prevede, in realtà tali vizi rientrano tutti nell’esposto concetto della nullità e la diversità discende esclusivamente dalle conseguenze che l’ordinamento fa derivare dagli stessi. Dalla qualificazione del vizio di cui all’art. 342 c.p.c. come nullità discende che allo stesso debbano applicarsi i principi generali enunciati nei commi 2 e 3 dell’art. 156 c.p.c. secondo cui la nullità, anche se non espressamente comminata dalla legge può essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo, ma non anche quando l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato.
Di contro a quanto fin qui esposto, l’applicazione dell’art.164 c.p.c. ai vizi della vocatio in jus del procedimento di appello trova riscontro nell’impulso dell’organo giudicante che “allorché la citazione introduttiva del giudizio d’appello sia nulla per violazione del termine minimo di comparizione, il giudice deve fissare all’appellante un termine perentorio per la sua rinnovazione che sana il vizio con efficacia retroattiva.”(Cassazione civile, sez. I, 5 maggio 2004, n. 8539 ; conformi sez. III, 5 maggio 2004, n. 8526, sez. III, 24 gennaio 2003, n. 1116); in particolare, il secondo comma dello stesso art. 164 prevede che tale nullità, qualora il convenuto non si costituisca (come è avvenuto nel caso di specie), è rilevata di ufficio dal giudice, il quale dispone la rinnovazione dell’atto dichiarato nullo entro un termine perentorio (sent. Cass. Civ. del 13.5.2002, n. 6820). Questa rinnovazione sana il vizio dell’atto e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione.
Per giungere ad una attenta analisi del provvedimento della Suprema Corte, sent.n. 18868/2014 va, pertanto ribadito che, rispetto alla sentenza delle Sez. Un. n. 16 del 2000, riferita ad un vizio di editio actionis e, in particolare, alla mancata debita specificazione dei motivi di appello ai sensi dell’art.342 c.p.c., la pronuncia del 2004 era stata resa con riferimento ad una causa soggetta al rito anteriore alla novella del 1990 e quindi al vecchio testo dell’art.164 c.p.c.; si occupava del problema dell’effetto sanante della costituzione in giudizio del convenuto appellato, e in particolare della sua efficacia ex nunc o ex tunc, rispetto all’onere di specificazione dei motivi originariamente insoddisfatto nella struttura dell’atto di appello e, fra l’altro, non aveva escluso ogni forma di sanatoria dell’atto di appello nullo, perché si era limitata a escludere il rilievo della costituzione dell’appellato, salvo il potere dell’appellante di rinnovare l’atto nel rispetto dei termini di legge e prima della dichiarazione di inammissibilità.
Chiaramente orientata nel senso dell’applicabilità dell’art.164 c.p.c. al giudizio di secondo grado è tutta la giurisprudenza successiva, ed in particolare “Stante l’inapplicabilità dell’art. 164 c.p.c. – sia nel testo precedente che in quello attuale – al giudizio di appello, la nullità dell’atto di citazione in appello dipendente da vizi della “vocatio in ius” non può essere sanata con la costituzione dell’appellato né con la rinnovazione della citazione, ed è rilevabile anche d’ufficio, in quanto solo l’atto conforme alle prescrizioni di cui all’art. 342 c.p.c. è idoneo ad impedire la decadenza dall’impugnazione e quindi il passaggio in giudicato della sentenza impugnata; ne consegue che il giudizio di appello introdotto a mezzo di un atto di citazione nullo deve essere dichiarato inammissibile.
Nel caso in esame, comunque, la curatela non si era costituita nel giudizio, e quindi il vizio non si è sanato. Ciò ha determinato, ove si ritenga l’applicabilità nel giudizio di secondo grado dell’articolo 164 cod. proc. civ., non solo la nullità dell’atto di citazione in appello, ma anche, in virtù degli effetti estensivi di cui all’articolo 159 cod. proc. civ., la nullità dell’intero procedimento di secondo grado e l’invalidità della sentenza, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
La sentenza da ultimo frutto delle argomentazioni avallate dalla Suprema Corte non è che il risultato di una tradizione già consolidata ove la validità dell’atto di citazione e cioè l’idoneità dello stesso ad assolvere la propria funzione va valutata con riferimento alla copia notificata, indipendentemente dal ricorso ad integrazioni, in quanto la parte destinataria non ha il dovere di eliminare le incertezze o di colmare le lacune dell’atto che le viene consegnato; e, ancora, per opportuna conoscenza va osservato che l’originale depositato agli atti, come dimostrato dai ricorrenti, conteneva indicazione della data di udienza solo per inserimento avvenuto successivamente al deposito. Ne consegue che, in caso di discordanza tra l’originale e la copia dell’atto notificato, assume rilievo ciò che risulta nella copia, perché è su questa che la parte citata regola il proprio comportamento processuale (v. Cass., sent. n. 20993 del 2013, n. 3205 del 2008).
In argomento merita menzione quanto stabilito dalla Suprema Corte, secondo cui la nullità della citazione per mancata indicazione dell’udienza di comparizione nella copia notificata sussiste sia se manchi totalmente detta indicazione, sia se essa sia assolutamente incerta, ossia tale da non rendere possibile l’individuazione della data effettivamente fissata, senza che, a tal fine, si possa sopperire a simile lacuna attraverso le date indicate nell’originale, atteso che la parte interessata non ha il dovere di colmare le lacune ed eliminare le incertezze dell’atto che le viene consegnato, dovendo unicamente riferirsi al contenuto di esso per svolgere le attività processuali che le sono consentite a seguito della chiamata in giudizio; resta fermo che, in tale circostanza, l’accertamento relativo all’effettiva sussistenza di una incertezza nell’indicazione della data e all’insuperabilità di essa alla stregua delle risultanze documentali è accertamento di fatto riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (Cass. 2.9.1998, n. 8696; conf. Cass. 7.7.1999, n. 7037 e Cass. 16.4.2003, n. 6017).
In definitiva, solo l’atto di appello conforme alle prescrizioni di cui all’articolo 342 del codice di rito è idoneo ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza.
La predetta sentenza chiarisce che la costituzione dell’appellato, nel giudizio di appello, idoneo, a raggiungere uno dei suoi scopi (costituzione del rapporto giuridico processuale), e’ inidonea a raggiungere l’altro (impedimento del passaggio in giudicato della sentenza impugnata), che si consegue solo con il comportamento dell’appellante conforme alle previsioni di cui all’articolo 342 c.p.c., senza alcuna possibilità per l’appellato di rimuovere gli effetti che derivano dall’inosservanza di quest’ultima norma, attesa l’indisponibilità degli effetti stessi o per l’appellante di rimediare alla nullità attraverso la specificazione dei motivi in corso di causa. Questa inosservanza determina, come ha determinato, la pronuncia di inammissibilità dell’appello proposto, proprio perché il giudice, rilevato il vizio dell’atto inducente il passaggio in giudicato della sentenza, non ha potuto non rilevare che il giudizio d’impugnazione non giungerà mai alla sua naturale conclusione e cioè al giudizio sulla denunciata ingiustizia della pronuncia impugnata.
(1) ” I motivi di impugnazione in appello ex art.342 c.p.c.” Umberto SCOTTI, Torino, 2009
(2) “L’appello civile dopo la riforma” Mauro Di Marzio, pag. 342, Giuffrè editore, Milano 2013
Testo del provvedimento
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