L’ordinanza di ammissibilità dell’azione di classe emessa dalla Corte d’Appello in sede di reclamo, si compone di una pluralità di statuizioni tutte rivolte alla fase successiva, anche quelle volte ad escludere l’inammissibilità dell’azione ovvero la non manifesta infondatezza, l’esclusione del conflitto d’interessi e l’identità dei diritti individuali.
Tale accertamento, non revocabile e modificabile nel giudizio successivo a differenza delle statuizioni di natura organizzatoria endoprocessuale, è tuttavia strumentale alla predisposizione del provvedimento che apre la fase di merito.
Ne consegue che non è esperibile ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost., avverso l’ordinanza di ammissibilità dell’azione di classe ex art. 140 bis d.l.g n. 206 del 2005 per la sua inidoneità a chiudere il procedimento.
Questi i principi espressi dalla Cassazione civile, sez. prima, Pres. Dogliotti – Rel. Acierno, con la sentenza n. 23631 del 21.11.2016.
Nell fattispecie in esame, si discuteva della ricorribilità in Cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Torino che, in sede di reclamo ed in riforma della decisione di primo grado, aveva ritenuto ammissibile l’azione di classe proposta da un gruppo di consumatori nei confronti di un noto Istituto di Credito, per tutta una serie di asserite anomalie bancarie determinanti la violazione della normativa antiusura e di corretta pratica commerciale ed altro.
Come è noto, l’azione di classe (o class action) è un procedimento giudiziale semplificato introdotto con l’art. 140 bis, del Codice del Consumo e messo a disposizione di più consumatori al fine di tutelare tre diverse tipologie di diritti:
a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che vengono a trovarsi nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea, inclusi i diritti relativi ai contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 c.c.;
b) i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale;
c) i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.
Attraverso l’azione di classe è possibile chiedere al Giudice:
1) l’accertamento della responsabilità del produttore/fornitore;
2) la condanna di quest’ultimo al risarcimento del danno e/o alle restituzioni.
In via di riepilogativa: il consumatore o utente (detto “attore” o “proponente”) avvia un procedimento giudiziale contro un soggetto (ad esempio, un’impresa produttrice di un certo bene, un’azienda che fornisce un determinato servizio, ecc.) con atto di citazione notificato anche all’Ufficio del Pubblico Ministero presso il Tribunale adito, il quale può intervenire limitatamente al giudizio di ammissibilità.
Il Tribunale competente è quello del capoluogo della Regione in cui ha sede l’impresa, salvo le eccezioni di cui all’art. 14 bis, co. 4, Codice del Consumo.
L’azione legale può essere avviata autonomamente o conferendo mandato ad una Associazione oppure ad un Comitato (di cui fa parte il consumatore o l’utente stesso).
Una volta avviata l’azione, gli altri consumatori ed utenti, che si trovano nella stessa situazione del consumatore possono prendere parte all’azione, in modo che la decisione finale abbia effetto anche per il loro caso.
Gli interessati devono presentare un “atto di adesione” nella Cancelleria del Giudice competente che, tra l’altro, deve illustrare la situazione e le ragioni del consumatore e deve presentare la documentazione a sostegno di quanto esposto.
Dopo la presentazione dell’atto di adesione, i consumatori diventano tecnicamente “gli aderenti” (mentre il gruppo di aderenti forma la “classe”).
La presentazione dell’atto di adesione da parte degli aderenti può avvenire anche via fax o via posta elettronica certificata e senza l’assistenza di un difensore.
Va ricordato che, una volta depositato l’atto di adesione, gli aderenti perdono sia il diritto di avviare azioni individuali contro il medesimo soggetto (l’impresa), sia il diritto di aderire ad altre azioni di classe similari.
In pratica, l’impresa potrà in futuro essere la destinataria di azioni individuali avviate esclusivamente da consumatori non aderenti alla class action in questione.
Il Giudice effettua un primo controllo di ammissibilità che risulta negativo:
– quando l’azione è manifestamente infondata;
– quando sussiste un conflitto di interessi;
– quando il Giudice non ravvisa l’identità dei diritti individuali tutelabili;
– quando chi agisce (attore) non pare in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe.
All’esito di detto scrutinio, quindi, può accadere:
a) che la domanda venga ritenuta inammissibile. La relativa ordinanza viene resa pubblica e il proponente è condannato al pagamento delle spese legali;
b) che la domanda venga ritenuta ammissibile. Ed allora il Giudice precisa i diritti individuali oggetto della lite (e quindi i criteri di ammissione o di esclusione della classe) e dispone che ne sia data opportuna pubblicità a cura dell’attore (a pena di improcedibilità) e fissa il termine entro cui le adesioni devono essere presentate.
La procedura è semplificata rispetto alle azioni ordinarie. La legge prevede comunque che si debba assicurare “l’equa, efficace e sollecita gestione del processo” nel rispetto del contraddittorio tra le parti.
Il Giudice definisce le regole della istruttoria e disciplina ogni altra questione di rito, omessa ogni altra formalità non essenziale al contraddittorio.
Se la domanda è accolta, il Giudice pronuncia una sentenza con cui liquida le somme dovute ai consumatori ed agli utenti, oppure fissa i criteri per la loro liquidazione.
In questo secondo caso, il Giudice fissa un termine (al massimo di 90 giorni) entro il quale le parti devono raggiungere un accordo sul calcolo dell’importo dovuto; in mancanza di accordo, la liquidazione viene fatta dal Giudice.
Dopo 180 giorni, la sentenza di accoglimento diviene esecutiva.
La sentenza in commento interviene, per l’appunto, nella fase di filtro dell’iter procedimentale dell’azione di classe laddove deve esserne delibata l’ammissibilità o meno attraverso una pronuncia, ad ogni modo, reclamabile alla Corte di Appello competente.
La questione risolta dalla Corte Regolatrice, con la pronuncia in esame, riguarda il profilo di ammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost. avverso provvedimento adottato dalla Corte di Appello in sede di reclamo del provvedimento di diniego di ammissibilità della azione di classe.
Detto profilo è stato oggetto di diverse e contrapposte decisioni delle Sezioni semplici della Cassazione, tanto che con ordinanza interlocutoria 8433/2015 la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite.
Come ricordato dalla sentenza in esame, infatti, l’opinione espressa dalla S.C. con la precedente pronuncia n. 9722/2012 – che ha escluso il carattere di definitività dell’ordinanza della Corte di Appello de qua, essendo l’azione riproponibile senza limitazione e non essendo connotata dell’attitudine al giudicato – è stata messa in dubbio dalla suddetta ordinanza interlocutoria (8433/2015), contestandosi in particolare la libera riproponibilità dell’azione di classe, invero non prevista dalla norma, ed il fatto che, potendo l’inammissibilità essere fondata su un giudizio di manifesta infondatezza, dovrebbe far ritenere lo stesso a cognizione piena.
Queste due ultime caratteristiche contrasterebbero con la natura non definitiva del provvedimento rendendo ammissibile il ricorso ex art. 111 Cost..
È bene ricordare, a questo punto, quali siano le condizioni di ammissibilità del ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost. tenendo conto delle soluzioni esegetiche della giurisprudenza formatasi su tale istituto, la quale ammette il rimedio de quo avverso i provvedimenti che, pur avendo forma diversa dalla sentenza, presentino tuttavia i requisiti della decisorietà e definitività.
È appena il caso di rilevare, a tale ultimo riguardo, che di fondamentale importanza è la recente decisione della S.C. a Sezioni Unite 27.12.2016 n. 26989 che ha spiegato quale debba essere il significato da attribuire ai termini “decisorietà” e “definitività”.
Orbene, la decisorietà consiste “nell’attitudine del provvedimento del Giudice non solo ad incidere sui diritti soggettivi delle parti, ma ad incidervi con la particolare efficacia del giudicato (nel quale risiede appunto la differenza tra il semplice incidere ed il decidere- cfr Cass. 10254/1994), il quale, a sua volta, è effetto tipico della giurisdizione contenziosa, di quella cioè che si esprime su una controversia, anche solo potenziale, tra le parti contrapposte, chiamate perciò a confrontarsi in contraddittorio nel processo.
Affinché, peraltro, un provvedimento non avente veste di sentenza sia impugnabile in Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost, co. 7 non è sufficiente che abbia carattere decisorio, occorre anche che non sia soggetto ad un diverso mezzo di impugnazione, dovendosi altrimenti esperire anzitutto tale mezzo – appello, reclamo o quant’altro – sicché il ricorso per Cassazione riguarderà il successivo provvedimento emesso all’esito. In ciò consiste il requisito della definitività”.
Ricordano le Sezioni Unite che su tali principi vi è sostanziale continuità giurisprudenziale come, peraltro, attestato da altro precedente delle stesse S.U. 1914/2016, la quale intervenendo sulla vexata quaestio dell’ammissibilità del ricorso straordinario ex art. 111 c.c. avverso la decisione (c.d. filtro) della Corte di Appello di inammissibilità del gravame, perché in pratica privo di chance di accoglimento, ha fornito risposta positiva, in buona sostanza, in quanto deve essere sempre garantita la possibilità di impugnare per violazione di legge i provvedimenti del Giudice di merito non altrimenti modificabili e censurabili.
Una decisione, quest’ultima, opportuna, come sottolineato dagli operatori del diritto, per aver avuto il merito di scongiurare il pericolo di una sorta di soppressione del giudizio di secondo grado il cui svolgimento sarebbe rimesso alla insindacabile discrezionalità del Giudice, svincolato da qualsiasi controllo se non fosse ammessa la possibilità di impugnare la c.d. “ordinanza filtro”.
In definitiva, come anche ritenuto da Cass. 1914/2016, quando un provvedimento ancorché emesso in forma di ordinanza o decreto assume carattere decisorio ed è connotato della definitività, in quanto non altrimenti modificabile, non essendo prevista alcuna forma di impugnazione ordinaria, si realizza il presupposto per poter porre rimedio attraverso il ricorso straordinario in Cassazione ex art. 111 Cost..
I due connotati della decisorietà e definitività sono stati ritenuti insussistenti nel caso esaminato dalla Cassazione nella sentenza in commento, con ciò aderendo all’indirizzo espresso da Cass. 9772/2012.
Ed infatti, secondo la Corte Regolatrice, il provvedimento di inammissibilità dell’azione di classe in sede di reclamo ha un grado di decisorietà e definitività parzialmente assimilabile al giudicato, laddove si consideri il limitato effetto preclusivo previsto dal combinato esposto dell’art. 140 bis Codice Consumo, co. 9, lettera b e comma 14.
L’ordinanza di inammissibilità ex art. 140 bis, Codice Consumo non impedisce la proposizione dell’azione risarcitoria in sede ordinaria.
Ciò che è inibita non è la tutela giurisdizionale di un diritto, ma la tutela giurisdizionale di una determinata forma di un diritto tutelabile nelle forme ordinarie.
E ciò similmente a quanto avviene con la pronuncia di rigetto della domanda di ingiunzione, cioè di un provvedimento che non pregiudica la riproposizione della domanda anche in via ordinaria e che, quindi, non è ricorribile in Cassazione, nemmeno ex art. 111 Cost., in quanto insuscettibile di passare in cosa giudicata (cfr Cass. SU 19/04/2010 n. 9216).
L’ordinanza di ammissibilità della azione di classe, in definitiva, non è idonea a chiudere il procedimento svolgendo, al contrario, la opposta funzione di predisporre il piano per la prosecuzione ed il giudizio di merito, ancorché il Giudice sia chiamato a decidere sulla manifesta fondatezza dei diritti omogenei fatti valere dato che la valutazione del Tribunale (come anche opinato dalla richiamata decisione della SC 9772/12), essendo fondata su una delibazione sommaria, non potrebbe assumere la stabilità del giudicato sostanziale e produrre l’efficacia preclusiva del dedotto e del deducibile.
Insomma, laddove è disposto (art. 140 bis, co. 14, del Codice del Consumo) che “non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo la scadenza del termine per l’adesione assegnata dal Giudice ai sensi del precedente comma 9”, sta a significare (come argutamente affermato da Cass. 9772/12 rispetto alla quale la decisione in commento si pone in continuità) come sia proprio l’ordinanza di ammissibilità che preclude la proposizione della medesima azione di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo la scadenza dei termini per l’adesione mentre, al contrario, la ordinanza di inammissibilità non ne preclude la riproponibilità”.
Con ciò, in conclusione, la Suprema Corte, esclusa la sussistenza dei requisiti della decisorietà e definitività del provvedimento, dichiarava, di conseguenza, l’inammissibilità del ricorso straordinario in Cassazione ex art. 111 Cost., compensando tra le parti le spese di lite.
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